Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1795 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1795 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME nata in Romania il 19/06/1994 NOME NOME COGNOME nato in Romania il 05/02/1976 NOMECOGNOME nata in Romania il 05/08/1964
avverso la sentenza del 31/01/2024 della Corte di appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che i ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME siano rigettati e che il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME Marina sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Brescia, con la decisione impugnata, in parziale riforma della sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bergamo in data 16 dicembre 2022, ha disposto, in accoglimento dell’impugnazione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo,
la confisca dei conti correnti e degli immobili ivi meglio specificati, confermando nel resto la condanna nei confronti, per quanto qui rileva, di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 416 (capo 1, tutti), 81 e 110 cod. pen. e 132, d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (capo 2, NOME e NOME COGNOME), artt. 81 e 644 cod. pen. (capi 3-4-5-6-7-16, NOME COGNOME), artt. 81, 110 e 644 cod. pen. (capi 8-10-11-12-13-14-15-18, NOME e NOME COGNOME), 81, 644 e 648 cod. pen. (capo 9, NOME COGNOME), 81, 110 e 644 cod. pen. (capi 17, NOME COGNOME e NOME COGNOME), 81, 110, 512-bis e 648-bis cod. pen. (capo 19, NOME COGNOME e NOME COGNOME), 81, 110, 512-bis, 648-bis e 648-ter.1 cod. pen. (capi 20-26, NOME COGNOME e NOME COGNOME), 81, 110 e 512-bis cod. pen. (capo 21, NOME COGNOME), 81 e 648-ter.1 cod. pen. (capo 22, NOME COGNOME), 81, 110, 648-bis e 648-ter.1 cod. pen. (capo 27, NOME COGNOME e NOME COGNOME), 81, 512-bis, 648-bis e 648-ter.1 cod. pen. (capo 29, COGNOME).
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i suddetti imputati, formulando i motivi di censura di seguito sinteticamente esposti, nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Ricorso di Rozalia Cosmina Cosmina Fita
3.1. Violazione di legge in relazione all’art. 129 cod. proc. pen. in relazione alla mancata declaratoria di non doversi procedere, in ordine al reato contestato al capo 2, limitatamente ai soli prestiti antecedenti al 18 febbraio 2014, asseritamente estinti per intervenuta prescrizione. Al delitto di cui all’art. 13 d.lgs. 10 settembre 1993, n. 385, dovrebbe riconoscersi natura di reato istantaneo che si consuma con la concessione/erogazione di ciascun finanziamento.
3.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 125, comma 3, e 530 cod. proc. pen. e mancanza e illogicità della motivazione, riguardo alla mancata assoluzione dai reati contestati ai capi 1-2-29 con la formula “perché il fatto non sussiste” e dai reati contestati ai capi 6-8-10-11-12-13-14-15 con la formula “perché il fatto non costituisce reato”.
I giudici di appello non avrebbero preso contezza di tutte le emergenze probatorie, evitando di confutare gli specifici argomenti difensivi e poggiando la propria decisione su argomenti privi di efficacia dimostrativa al di là di ogni ragionevole dubbio. In particolare, sarebbe stato illogicamente disatteso il verbale dell’interrogatorio reso da NOME COGNOME laddove il coimputato confessava di avere praticato in autonomia la propria attività di usuraio, senza che le altre coimputate ne avessero conoscenza.
3.2.1. Capo 1. Non emergerebbe la prova di un effettivo vincolo associativo, poiché la ricorrente avrebbe avuto rapporti solo con NOME COGNOME quale mera esecutrice senza voce in capitolo sulle negoziazioni usurarie, e NOME COGNOME al pari del marito NOME e della figlia NOME (e di NOME COGNOME, avrebbe del tutto ignorato l’illiceità dei traffici del genero, prestandosi talvolt coadiuvarlo del tutto inconsapevolmente. D’altronde, le conversazioni intercettate non lascerebbero emergere un qualunque criterio di spartizione dei proventi, di pertinenza del solo NOME COGNOME.
3.2.2. Capo 2. L’attività di erogazione di crediti usurari da parte di NOME COGNOME non potrebbe ricondursi alla fattispecie di esercizio abusivo dell’attività finanziaria, in quanto rivolta a una limitata cerchia di perso (selezionata per la comune provenienza geografica, la solvibilità e, talora, la frequentazione del milieu della prostituzione). D’altronde, la ricorrente avrebbe svolto un ruolo marginale, per sporadiche consegne o ritiro di denaro.
3.2.3. Capo 6. Non risulterebbe accertata in capo alla ricorrente la consapevolezza dell’usurarietà del prestito in favore di COGNOME (rectius, COGNOME), considerata l’ammissione di responsabilità in via esclusiva da parte di NOME COGNOME e le dichiarazioni della persona offesa (che aveva visto NOME COGNOME solo in un’occasione, quale incaricata di una consegna, peraltro caratterizzata dalla minor somma ricevuta senza sollevare obiezioni).
3.2.4. Capo 8. Anche in merito all’usura in danno di NOME COGNOME l’unico elemento valorizzato contra ream consisterebbe in una conversazione telefonica, laddove NOME COGNOME aveva riferito soltanto di una generica consegna da parte della ricorrente.
3.2.5. Capo 10. Quanto all’usura in danno di NOME COGNOME apparirebbe congetturale la deduzione dei giudici di merito in ordine alla consapevolezza in capo alla ricorrente che l’autovettura custodita presso il giardino di quest’ultima fosse stata concessa in garanzia, a fronte delle affermazioni a discarico rese dalla proprietaria del mezzo.
3.2.6. Capo 11. Neppure dovrebbero ritenersi solide le prove in ordine all’usura in danno di NOME COGNOME posto che anche per tale delitto NOME COGNOME aveva scagionato la ricorrente e che le dichiarazioni della persona offesa sulle consegne da parte di NOME COGNOME non erano confortate da riscontri oggettivi e non lasciavano desumere la coscienza del carattere usurario del prestito.
3.2.7. Capi 12-13-14-15. La ricorrente è già stata condannata per lo sfruttamento della prostituzione di plurime ragazze rumene. In tali delitti dovrebbero ritenersi assorbite anche le condotte – anche in questo caso poste in essere sotto la direzione di NOME COGNOME che ha confessato di
esserne l’unico responsabile – di ricezione del denaro da imputare, oltre al pagamento per «l’occupazione delle piazzole di lavoro», a titolo di restituzione da parte dei fidanzati/protettori delle giovani di piccoli prestiti loro concessi medesimo COGNOME.
3.2.8. Capo 29. Difetterebbero solidi elementi a carico dei delitti di autoriciclaggio e di intestazione fittizia, per quanto attiene all’immobile acquistato in Romania e formalmente nella titolarità della madre della ricorrente, dal momento che le indagini avrebbero trascurato il possibile apporto finanziario del marito della proprietaria e la tradizionale diffidenza romena per le transazioni non in contanti. In difetto di più compiuti accertamenti, il secondo delitto dovrebbe, comunque, ritenersi interamente compiuto all’estero. In ogni caso, dovrebbe essere revocata la confisca del suddetto immobile.
3.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 27 Cost., primo e terzo comma, e 132 e 133 cod. pen. e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, riguardo alla eccessività della pena irrogata, anche per gli aumenti ex art. 81 cod. pen., e al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. I giudici di merito non avrebbero tenuto in adeguata considerazione le disperate condizioni di vita della ricorrente, esercente il meretricio su strada prima d intraprendere la relazione sentimentale con NOME COGNOME e di cominciare «a lavorare con lui». Parimenti illogica e immotivata dovrebbe reputarsi la mancata esclusione della recidiva, data la lontananza temporale dell’unico precedente.
4. Ricorso di NOME COGNOME
4.1. Violazione di legge in relazione all’art. 129 cod. proc. pen. in relazione alla mancata declaratoria di non doversi procedere, limitatamente ai fatti antecedenti al 16 giugno 2015, in ordine al reato contestato al capo 2, asseritamente estinto per intervenuta prescrizione. Al delitto di cui all’art. 132 d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, dovrebbe riconoscersi natura di reato istantaneo che si consuma con la concessione/erogazione di ciascun finanziamento.
4.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 125, comma 3, e 530 cod. proc. pen. e mancanza e illogicità della motivazione riguardo alla mancata assoluzione dai reati contestati ai capi 1-2-4-9-19-20-26 con la formula perché il fatto non sussiste. Il ricorrente si era sottoposto volontariamente ad interrogatorio, ammettendo la pratica dello strozzinaggio, svolta in totale autonomia, senza il consapevole apporto di terzi, con specifici chiarimenti sulle singole imputazioni ascrittegli.
4.2.1. Capo 1. Non emergerebbe la prova di un effettivo vincolo associativo, poiché il ricorrente avrebbe avuto rapporti solo con NOME COGNOME mera
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esecutrice senza voce in capitolo sulle negoziazioni usurarie, mentre NOME COGNOME, al pari del marito NOME e della figlia NOME (e di NOME COGNOME), avrebbe del tutto ignorato l’illiceità dei traffici del genero, prestandosi talvolt coadiuvarlo del tutto inconsapevolmente. D’altronde, le conversazioni intercettate non lascerebbero emergere un qualunque criterio di spartizione dei proventi, di pertinenza del solo NOME COGNOME.
4.2.2. Capo 2. L’attività di erogazione di crediti usurari da parte di NOME COGNOME non potrebbe ricondursi alla fattispecie di esercizio abusivo dell’attività finanziaria, in quanto rivolta a una limitata cerchia di perso (selezionata per la comune provenienza geografica, la solvibilità e, talora, la frequentazione del milieu della prostituzione).
4.2.3. Capo 4. Le conversazioni poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità in ordine all’usura in danno di NOME COGNOME non avrebbero contenuto chiaro e univoco.
4.2.4. Capo 9. Le conversazioni poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità in ordine all’usura in danno di NOME COGNOME non avrebbero contenuto chiaro e univoco. Il ricorrente aveva ammesso il prestito, affermandone però la gratuità, in ragione del rapporto di amicizia, come confermato anche dalla persona offesa, negando la cessione dell’immobile.
4.2.5. Capo 19. Non risulterebbe smentita la tesi difensiva per cui l’autorimessa in Bonate di Sopra, INDIRIZZO formalmente intestata alla moglie NOME COGNOME e ai di lei genitori, sarebbe stata acquistata con risorse lecite, derivanti dal lavoro al nero della coniuge e da una consistente eredità ricevuta dai suoceri, e non dal riciclaggio delle somme di denaro provenienti dall’usura e dallo sfruttamento della prostituzione (anche avuto riguardo alla collocazione temporale, successiva ai fatti in contestazione, della maggior parte dei suddetti delitti, come descritti nella rubrica imputativa).
4.2.6. Capo 20. Anche la provvista utilizzata per comprare un’autorimessa in Bonate di Sopra, INDIRIZZO dovrebbe ricondursi a liquidità conferita dalla suocera NOME COGNOME, che aveva lavorato all’estero, e non all’autoriciclaggio di proventi delittuosi.
4.2.7. Capo 26. Parimenti, non potrebbe dirsi provata la provenienza delittuosa del denaro utilizzato per l’acquisto dell’appartamento in Romania. In ogni caso, l’intera condotta dovrebbe reputarsi interamente commessa all’estero.
4.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 27 Cost., primo e terzo comma, e 132 e 133 cod. pen. e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione riguardo alla eccessività della pena irrogata, anche ex art. 81 cod. pen., e al diniego delle attenuanti generiche (nonostante l’ampia confessione resa e lo scarso spessore delinquenziale).
4.4. Violazione di legge in relazione all’art. 240-bis cod. pen. in relazione alla ribadita sussistenza dei presupposti per la confisca dell’appartamento e del box auto siti in Bonate Sopra, INDIRIZZO In particolare, a fronte di una documentata giustificazione difensiva in ordine alla liceità della provvista, i giudic di merito non avrebbero tenuto conto del principio della ragionevolezza temporale, posto che la casa era stata acquistata nel 2012 e le condotte di lenocinio sono state contestate solo a far data dal 2014, mentre i proventi usurari risulterebbero affatto insufficienti rispetto all’esborso complessivo.
5. Ricorso di NOME COGNOME
5.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 125, comma 3, e 530 cod. proc. pen, e mancanza e illogicità della motivazione riguardo alla mancata assoluzione dai reati contestati ai capi 1-17-19-20-26-27 con la formula perché il fatto non sussiste.
I giudici di appello non avrebbero preso contezza di tutte le emergenze probatorie, evitando di confutare gli specifici argomenti difensivi e poggiando la propria decisione su argomenti privi di efficacia dimostrativa al di là di ogni ragionevole dubbio. In particolare, sarebbe stato illogicamente disatteso il verbale dell’interrogatorio reso da NOME COGNOME laddove il coimputato confessava di avere praticato in autonomia la propria attività di usuraio, senza che le altre coimputate ne avessero conoscenza.
5.1.1. Capo 1. Non emergerebbe la prova di un effettivo vincolo associativo, NOME COGNOME avrebbe avuto rapporti con NOME COGNOME, peraltro quale mera esecutrice senza voce in capitolo sulle negoziazioni usurarie. La ricorrente, al pari del marito NOME e della figlia NOME (e di NOME COGNOME), avrebbe del tutto ignorato l’illiceità dei traffici del genero, prestandosi talvolt coadiuvarlo del tutto inconsapevolmente. D’altronde, le conversazioni intercettate non lascerebbero emergere un qualunque criterio di spartizione dei proventi, di pertinenza del solo NOME COGNOME.
5.1.2. Capo 17. Quanto al delitto di concorso in usura in danno di NOMECOGNOME l’affermazione di responsabilità deriverebbe da un’erronea interpretazione di un dialogo intercettato e dalle dichiarazioni della persona offesa, imprecise sul punto; le emergenze istruttorie non lascerebbero desumere la consapevolezza in capo alla ricorrente dell’illiceità delle transazioni finanziarie.
5.1.3. Capo 19. Non risulterebbe smentita la tesi difensiva per cui l’autorimessa in Bonate di Sopra, INDIRIZZO formalmente intestata anche alla figlia e al marito della ricorrente, NOME COGNOME e NOME COGNOME, sarebbe stata acquistata con risorse lecite, derivanti dal lavoro al nero di NOME e da una consistente eredità ricevuta dai coniugi COGNOME, e non dal riciclaggio delle somme
di denaro provenienti dall’usura e dallo sfruttamento della prostituzione (anche avuto riguardo alla collocazione temporale, successiva ai fatti in contestazione, della maggior parte dei suddetti delitti, come descritti nella rubrica imputativa).
5.1.4. Capo 20. Anche la provvista utilizzata per comprare un’autorimessa in Bonate di Sopra, INDIRIZZO dovrebbe ricondursi a liquidità conferita dalla ricorrente, che aveva lavorato all’estero, e non all’autoriciclaggio di proventi delittuosi.
5.1.5. Capo 26. Parimenti, non potrebbe dirsi provata la provenienza delittuosa del denaro utilizzato per l’acquisto dell’appartamento in Romania. In ogni caso, l’intera condotta dovrebbe reputarsi interamente commessa all’estero.
5.1.6. Capo 27. Anche per tale contestazione di riciclaggio, la difesa eccepisce la mancata prova del dolo, non rilevandosi dagli atti la conoscenza da parte della ricorrente e del marito dei traffici criminali di NOME COGNOME
5.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 27 Cost., primo e terzo comma, e 132 e 133 cod. pen. e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione riguardo alla eccessività della pena irrogata, anche ex art. 81 cod. pen., e alla mancata concessione delle attenuanti generiche, nonostante la marginalità dell’apporto fornito dalla ricorrente e la formale incensuratezza, segno di scarso spessore delinquenziale.
5.3. Violazione di legge in relazione all’art. 240-bis cod. pen. in relazione alla ribadita sussistenza dei presupposti per la confisca dell’appartamento sito in Bonate Sopra, INDIRIZZO In particolare, a fronte di una documentata giustificazione difensiva in ordine alla liceità della provvista, i giudici di merito n avrebbero tenuto conto del principio della ragionevolezza temporale, posto che la casa era stata acquistata nel 2012 e le condotte di lenocinio sono state contestate solo a far data dal 2014, mentre i proventi usurari risulterebbero affatto insufficienti rispetto all’esborso complessivo.
Si è proceduto con trattazione scritta, ai sensi dell’art. 611, comma 1, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti nell’interessa di NOME COGNOME e di NOME COGNOME sono complessivamente infondati.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
Vale la pena di premettere alla disamina delle singole doglianze, senza sacrificio di un esame specifico delle peculiarità di ciascuna di esse, alcune
questioni di diritto inerenti a plurimi motivi di ricorso proposti con argomentazioni sovrapponibili in maniera quasi palmare.
2.1. La doppia conforme pronuncia di condanna.
In primo luogo, occorre registrare la piena conferma della ricostruzione in fatto e delle considerazioni in diritto operate dal primo giudice da parte della Corte bresciana, che giunge ad analoghe conclusioni (salvo l’accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero in tema di confisca), sulla scorta di una conforme ponderazione del compendio istruttorio.
I giudici di appello hanno pienamente condiviso, con motivazione logica e persuasiva, la decisione di primo grado, ricostruendo analiticamente la posizione e le condotte direttamente imputabili ai ricorrenti. La sentenza di appello si salda, pertanto, con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, specie quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella pronuncia di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229-01; Sez. 6, n. 8309 del 14/01/2021, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01). D’altronde, in presenza di una “doppia conforme” anche nell’iter motivazionale, il giudice di appello non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che, in tal caso, debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593-01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260841-01). Neppure la mancata enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguar all’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione, determina la nullità della sentenza d’appello per mancanza di motivazione, se tali prove non risultano decisive e se il vaglio sulla loro attendibilità possa, comunque, essere ricavato per relationem dalla lettura della motivazione (Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853-01). In sede di legittimità, invero, non è censurabile la sentenza per il silenzio su una specifica doglianza prospettata con il gravame, quando questa risulti disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente che essa evidenzi una ricostruzione dei fatti che implicitamente conduca alla reiezione della prospettazione difensiva, senza lasciare spazio a una valida alternativa (Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Sirica, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rv. 276741-01; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 27550001).
2.2. Può osservarsi, ancora in via preliminare, come numerosi motivi si caratterizzino per l’avere, nella maggior parte della loro articolazione, reiterato argomenti già introdotti con l’atto di appello, riproponendo, in pratica, le medesime argomentazioni difensive al fine di giungere ad una lettura alternativa del merito, senza realmente confrontarsi con l’ampia, logica e persuasiva motivazione della Corte di appello. Le difese, di fatto, sollecitano un’impossibile rilettura delle prov acquisite in dibattimento: è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa ed alternativa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217-01; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, dep. 2019, Battaglia, Rv. 275100-01). Da ciò consegue l’inammissibilità di tutte le doglianze che criticano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatori del singolo elemento, rappresentando tutto ciò una non ammissibile interferenza con la valutazione del fatto riservata al giudice del merito (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747-01; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01).
2.3. I ricorsi contestano reiteratamente la portata delle captazioni acquisite in giudizio e valutate ampiamente, in modo logico e persuasivo, dai giudici di merito. Alla luce delle considerazioni che precedono, appare, dunque, evidente come, all’attività valutativa propria del giudicante di merito non si sottragga il concret contenuto e tenore dei colloqui intercettati. L’interpretazione del linguaggio adoperato dai dialoganti costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, non può essere sindacata dalla Corte di cassazione, se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715-01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389-01).
Analogamente, la valutazione dell’attendibilità delle persone offese dal reato, come quella degli altri soggetti che hanno reso sommarie informazioni testimoniali ovvero dichiarazioni informali poi confluite nelle annotazioni della polizia giudiziaria, rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura
nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice stesso non sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, De Ritis, Rv. 240524-01; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, COGNOME, Rv. 239342-01).
2.4. Parimenti, non sono consentiti i motivi con cui si deduca la ricorrenza di violazione di legge, con riferimento agli artt. 192, 125 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per censurare l’omessa o l’erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla precedente lett. c), avuto peraltro riguardo alla mancanza di una espressa sanzione di inutilizzabilità, nullità, inammissibilità, decadenza (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-04).
Ai sensi dell’art. 132, d.lgs. 10 settembre 1993, n. 385, è punito chiunque svolge, nei confronti del pubblico, un’attività di concessione di finanziamenti (riservata agli intermediari finanziari iscritti nell’apposito albo tenuto dalla Ban d’Italia, ai sensi dell’art. 106 del medesimo decreto), in assenza delle autorizzazioni e delle iscrizioni di legge.
Trattasi di fattispecie di pericolo presunto, posta a presidio della funzione di controllo delle attività finanziarie (Sez. 5 n. 18317 del 16/12/2016, dep. 2017, Kienesberger, Rv. 269616-01, in motivazione).
3.1. La costante interpretazione di legittimità ritiene configurato il reato d abusivismo finanziario, quando si pongano in essere le condotte previste dalla norma incriminatrice (ovvero l’erogazione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, secondo quanto specificato nel d.m. Tesoro del 17 febbraio 2009, n. 29), inserendosi nel libero mercato e sottraendosi ai controlli di stabilità e di affidabil normativamente previsti.
L’art. 9, comma 1, del citato decreto ministeriale, definendo «l’esercizio di attività nei confronti del pubblico», prescrive che «le attività indicate negli artic 3, 4 e 5 sono esercitate nei confronti del pubblico qualora siano svolte nei confronti di terzi con carattere di professionalità».
Quanto al requisito della professionalità, che si esprime attraverso un necessario minimum di organizzazione, si richiede, dunque, che l’attività, per quanto rudimentale, sia svolta in modo continuativo e non occasionale, con modalità e strumenti tali da prevedere e consentire la concessione di mutui e di finanziamenti, a un numero, non necessariamente vasto, di persone (Sez. 5 n. 21927 del 17/05/2018, COGNOME, Rv. 273017-01; Sez. 6 n. 27187 del
13/04/2018, COGNOME Rv. 273583-01, in motivazione; Sez. 5 n. 18317 del 2016, cit.).
La destinazione al pubblico dell’attività finanziaria ricorre anche quando questa sia rivolta in concreto a una cerchia ristretta di persone, purché, tuttavia, coinvolga un numero potenzialmente illimitato di soggetti. È superato da tempo l’orientamento che aveva postulato la necessità che l’agente operasse indiscriminatamente tra il pubblico, con una latitudine gestoria tale da far trasmigrare l’attività dal settore privato a quello pubblico e ricondurla nell’ambito di operatività della legge bancaria (cfr., in tal senso, Sez. 2 n. 5285 del 02/10/1997, COGNOME, Rv. 209597-01; Sez. 2 n. 4882 del 12/11/2001, dep. 2002, COGNOME, Rv. 220659-01). Nell’opzione ermeneutica più recente, ormai da tempo consolidata, è viceversa sufficiente ad integrare il fatto tipico l’inserimento nel libero mercato, eludendo i controlli di legge, in presenza di un necessario, pur scarno, apparato organizzativo; in tal modo, i servizi sono resi “al pubblico”, inteso quale comunità indifferenziata di destinatari, anche se individuati secondo un concetto “qualitativo” (Sez. 2, n. 10795 del 16/12/2015, COGNOME, Rv. 266164-01, che aveva, già a suo tempo, correttamente sottolineato come possa «ritenersi superato da oltre un decennio l’opposto orientamento». In senso conforme, Sez. 5, n. 24447 del 15/02/2019, COGNOME, non mass., relativa alla concessione di contratti di leasing da parte del titolare di una società di arredamenti ai clienti in difficoltà nei pagamenti; Sez. 5, n. 18317 del 2017, cit., relativa allo svolgimento di attività di rilascio di fideiussioni a titolo gratuito in favore di allevatori alto di lingua tedesca o ladina; Sez. 2 n. 41142 del 19/09/2013, Rea, Rv. 257337-01; Sez. 2, n. 47559 del 27/11/2012, Cardo, Rv. 253941-01, che ha ritenuto configurabile il reato nei confronti di chi fornisca a credito merci necessarie per lo svolgimento dell’attività di impresa, praticando prezzi superiori al valore effettivo e concedendo agli acquirenti ripetute dilazioni di pagamento; Sez. 5, n. 10189 del 06/02/2007, COGNOME, Rv. 235846-01, che ha qualificato come esercizio abusivo di un’attività finanziaria anche la condotta di chi abitualmente eroghi a un numero indeterminato di persone – nella specie, i clienti di un supermercato somme di danaro a fronte della cessione di assegni e cambiali, trattandosi di un numero potenzialmente indeterminato di persone; Sez. 6, n. 5118 del 12/02/1999, COGNOME, Rv. 213674-01, in tema di attività di “cambista” presso una casa da giuoco, il quale erogava prestiti ai frequentatori della medesima casa “scontando” assegni bancari). Resta, peraltro, ininfluente la destinazione data al danaro, poiché la norma incriminatrice non prevede il perseguimento di uno scopo di lucro, o comunque, l’obiettivo della economicità di gestione (Sez. 5, n. 21927 del 17/04/2018, COGNOME, Rv. 273017-01; Sez. 5, n. 18317 del 2017, cit.; Sez. 6, n. 5118 del 12/02/1999, Rv. 213674-01), Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Come esattamente già osservato nella sentenza impugnata (pp. 51-52), la preventiva selezione della clientela da parte dell’operatore finanziario costituisce un dato fisiologico di consimili attività, anche quando svolte da soggetti a ciò ritualmente legittimati. La non occasionalità delle condotte ascritte ai ricorrenti stata logicamente fatta derivare non solo dal consistente numero di persone offese coinvolte, ma anche dalle orgogliose rivendicazioni di NOME COGNOME che soleva vantarsi della propria costante disponibilità ad erogare nuovi prestiti, sia pure solo a una platea di connazionali (ostentazione riscontrata dalla costante disponibilità di provvista mutuabile e dal riconosciuto ruolo di “finanziatore” nella comunità di connazionali).
In base al medesimo quadro istruttorio, COGNOME in posizione indubbiamente ancillare, collaborava in termini continuativi e sistematici con tale attività, come più ampiamente illustrato infra in tema di partecipazione al delitto associativo.
Risultano, quindi, manifestamente infondate le deduzioni di NOME COGNOME (§ 4.2.2 del Ritenuto in fatto) e NOME (§ 3.2.2) in ordine all’insussistenza del delitto in questione e alla mancanza di dolo in capo alla suddetta imputata.
3.2. Secondo l’indirizzo assolutamente maggioritario, inoltre, il delitto in questione ha natura eventualmente abituale, potendosi risolvere tanto in un’unica condotta idonea a configurarlo, quanto nella reiterazione di più condotte omogenee che danno vita ad uno stesso reato; in quest’ultimo caso, pertanto, coincidendo il momento della consumazione delittuosa con la cessazione dell’abitualità, ai fini della prescrizione, il termine decorre dal compimento dell’ultimo atto antigiuridico (Sez. 5, n. 8026 del 14/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269451-01. In termini, Sez. 2, n. 2159 del 24/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285908, in motivazione; Sez. 2, n. 24284 del 10/02/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 16710 del 29/03/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 6, n. 21403 del 23/03/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 3113 del 04/10/2022, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 7576 del 12/01/2021, Candit, Rv. 280888-02, in motivazione; Sez. 2, n. 4651 del 12/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280561-01; Sez. 5, n. 16118 del 14/12/2015, COGNOME, Rv. 267142-01. Si veda anche, con riferimento al paradigma generale dei reati eventualmente abituali, Sez. 1, n. 29233 del 22/05/2024, B., Rv. 286807-01; Sez. 3, n. 2559 del 25/10/2023, dep. 2024, Cerea, Rv. 285839-02; Sez. 5, n. 12498 del 13/12/2022, dep. 2023, Cerea, Rv. 284306-01; Sez. 3, n. 364 del 17/09/2019, dep. 2020, C., Rv. 278392-04; Sez. 3, n. 43255 del 19/09/2019, C., Rv. 277130-01).
A fronte della continuità di tale linea esegetica (pressoché ininterrotta in tempi recenti), deve ritenersi, oramai, non più attuale il contrasto con il precedente orientamento che attribuiva al delitto in questione natura di reato istantaneo, consumato con la concessione e l’erogazione di ciascun finanziamento (Sez. 2, n.
46287 del 28/06/2016, COGNOME, Rv. 268136-01; Sez. 5, n. 31724 del 4/05/2004, COGNOME, non mass., che esclude la natura di reato permanente, ma non si confronta con la distinta nozione di abitualità; nonché, tralaticiamente, Sez. 5, n. 12777 del 16/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275996-02, in motivazione).
La posizione interpretativa per cui tale delitto non costituisce un reato abituale, ma si esaurisce con la concessione e l’erogazione del singolo finanziamento è stata superata, con argomentazioni che il Collegio condivide appieno e intende ribadire, facendo leva sulla configurazione del fatto tipico e sulle sue riscontrate forme di manifestazione nella realtà effettuale. Notava la citata Sez. 5, n. 8026 del 14/12/2016, dep. 2017, «Non vi è dubbio, infatti, che sia sufficiente ad integrare il delitto anche il compimento di un unico atto di raccolta di ordini di investimento da parte di un soggetto che sia privo della abilitazione richiesta dalla legge, ma tale condotta può assumere (eventualmente) la connotazione dell’abitualità per effetto della sua reiterazione in una pluralità di atti omogenei, già uti singuli penalmente rilevanti, dando luogo ad un’unica fattispecie punibile».
Risulta dirimente il richiamo alla struttura del fatto tipico, come delineato dalla norma incriminatrice, alla luce dell’ampia attività ermeneutica di ricostruzione della fattispecie, con gli esiti illustrati sub 3.1: qualora la condotta non si risolva dato eccezionale nella casistica giudiziaria uno actu, ma si connoti come reiterazione di più comportamenti omogenei, la sanzione penale colpisce proprio l’esercizio della protratta e professionale attività di concessione di finanziamento, sostituendosi agli intermediari ritualmente autorizzati (cfr. Sez. 2, n. 16710 del 2023, cit.). Questa attività, d’altronde, si esplica in termini di operatività n confronti del pubblico, mediante una necessaria organizzazione (che, per quanto minimale, deve essere idonea a gestire erogazioni in favore di un numero indeterminato di persone), con modalità professionali che escludono l’esercizio puramente occasionale e postulano al contrario il suo svolgimento continuativo.
Non appare, in conclusione, revocabile in dubbio, la connotazione del reato come eventualmente abituale. Anche alla luce degli epifenomeni in cui si concreta ordinariamente nella realtà socio-economica la norma generale e astratta (poiché una struttura (semi)professionale difficilmente sarà allestita in favore di un unico beneficiario; e, se non lo fosse, per quanto detto, difetterebbe il requisito dello svolgimento «nei confronti del pubblico»), opinare il contrario condurrebbe inevitabilmente ad esiti aporetici e in contrasto con il favor rei: la fisiologica “non occasionalità” (rectius, almeno potenziale serialità) della condotta imporrebbe nella maggior parte dei casi un notevole aggravio, ex art. 81, secondo comma, cod. pen., del trattamento sanzionatorio.
Ai fini del calcolo della prescrizione, pertanto, il termine decorre, quindi, dall cessazione dell’ultimo segmento di condotta. Nel caso di specie, questo dies a quo ricade sicuramente nel corso dell’anno 2019, secondo quanto emerge dalla rubrica imputativa – anche in merito alle singole usure perpetrate nell’ambito dell’illecita attività di erogazione di finanziamenti – e dalla accurata ricostruzione dei giudici di merito (cfr. la sentenza di appello, pp. 39 e 47-48, nonché la sentenza di primo grado, pp. 96-99, ove sono trascritte frasi ampiamente confessorie sul punto, intercettate sino all’aprile 2019), in difetto di contestazioni sul punto da parte d ricorrenti. Il termine prescrizionale di sette anni e sei mesi, ai sensi degli artt. 1 e 161 cod. pen., non è, dunque, ad oggi ancora maturato.
Il primo motivo dei ricorsi di Fita e di NOME COGNOME è, pertanto, infondato.
4. I giudici di merito hanno affermato la sussistenza di un’associazione per delinquere, gestita da NOME COGNOME con la partecipazione – per quanto qui rileva – della moglie NOME COGNOME, dei suoceri NOME COGNOME e dell’amante NOME COGNOME e finalizzata alla commissione di plurimi reati di usura e alle conseguenti operazioni di riciclaggio e autoriciclaggio, con investimento dei proventi nell’acquisto di immobili in Italia e in Romania. Questo sodalizio era in parte soggettivamente coincidente con altra organizzazione criminale (in cui NOME COGNOME e NOME ricoprivano una posizione apicale), dedita alla tratta di esseri umani e allo sfruttamento della prostituzione di giovani donne romene, in sinergia con il gruppo albanese che controllava lo sfruttamento della prostituzione in quell’area della provincia bergamasca.
4.1. La Corte lombarda, condividendo appieno le conclusioni del Giudice dell’udienza preliminare, ha giudicato «di speciale inconsistenza», a fronte della solidità del compendio istruttorio, gli argomenti addotti dalla difesa – e reiterat anche in questa sede di legittimità – per contestare la ribadita sussistenza di un gruppo organizzato, diretto da NOME COGNOME con la continuativa cooperazione di Fita, che curava l’erogazione dei finanziamenti e la riscossione dei conseguenti ratei (non solo con riguardo ai prestiti elargiti alle prostitute e ai lor protettori), e la costante collaborazione di NOME COGNOME e del di lei marito, diligenti custodi e tenutari della contabilità.
Salva la fisiologica gerarchia piramidale, gli esiti dell’attività intercettiva, documentazione (anche digitale) in sequestro e le dichiarazioni delle persone offese non consentono di dubitare del ruolo di riconosciuto alter ego di NOME COGNOME in capo a COGNOME in continuità con le funzioni già rivestite nei delitti di tra e sfruttamento, né dei compiti burocratico-finanziari affidati a NOME COGNOME. Le conversazioni captate evidenziano un’assoluta circolarità di informazioni – su cui i
ricorrenti tacciono del tutto – tale da annichilire ogni ipotesi di inconsapevolezza, pur reiteratamente suggerita dalle imputate (sentenza di appello, pp. 18, 37-39, 49-51).
4.2. I relativi profili di censura articolati nei ricorsi di Fita (§ 3.4.2 del Rit in fatto), di NOME COGNOME (§ 4.4.2) e di NOME COGNOME (§ 5.1.1) sono, pertanto, non consentiti, in quanto schiettamente fattuali, e insuperabilmente generici, siccome sterilmente reiterativi e avulsi da un effettivo confronto con l’ampio apparato argomentativo.
Ugualmente non consentite e generiche, nei termini sopra illustrati, risultano le censure mosse da COGNOME all’affermazione di responsabilità per i delitti di usura ascrittile sub 6, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 15 (cfr. §§ da 3.2.3 a 3.2.7 del Ritenuto in fatto).
Per ciascuno di tali delitti satellite, la valutazione dei giudici di merito – c pp. 57-60 della sentenza di appello, in particolare, per quanto qui rileva, in relazione alla evidente sussistenza del dolo di legge – muove congruamente dalla già accennata ricostruzione dell’assetto organizzativo e delle modalità operative dell’associazione contestata al capo 1, nonché della distinta associazione già coperta dal giudicato.
Gli assunti difensivi, notano correttamente i giudici di appello, si caratterizzano per la «prospettiva atomistica del tutto scollegata con il contesto complessivo delle interazioni tra il COGNOME e la Fita, che dimostrano di per sé l’adesione incondizionata, continuativa ed intranea di quest’ultima all’attività usuraria diffusa e ripetuta in un contesto generalizzato gestito dal primo». In tale scenario, che postula il ruolo della ricorrente di stabile incaricata del maneggio di denaro in entrata e in uscita, occorre dunque collocare le usure in danno di
COGNOME – Capo 6 (le intercettazioni evidenziano le strette indicazioni di COGNOME, pedissequamente ottemperate dalla ricorrente, e la documentazione sequestrata presso l’abitazione di Fita ricomprende annotazioni relative a tale rapporto di credito-debito);
Pasare – Capo 8 (oltre alla diretta erogazione di una tranche del prestito, la ricorrente – che conservava a casa sua annotazioni con importi degli interessi dovuti – è intercettata mentre discute con la persona offesa, sollecitando pagamenti completi e tempestivi);
COGNOME – Capo 10 (a fronte della assoluta opinabilità della narrazione di COGNOME in ordine alla cessione del veicolo, di cui COGNOME aveva le chiavi insieme alla contabilità del finanziamento, la funzione di garanzia dell’auto è chiaramente specificata in una conversazione tra NOME COGNOME e COGNOME);
Geanau – Capo 11 (anche in questo caso, un’intercettazione ambientale conferma che i due imputati hanno pianificato l’attività di riscossione e il dato è riscontrato ulteriormente dalla documentazione sequestrata all’imputata);
COGNOME, COGNOME, COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME Capi 12-13-14-15 (le doglianze, totalmente generiche, articolate nell’atto di gravame trascurano completamente i puntuali riferimenti del Giudice dell’udienza preliminare alle eloquenti ed esplicite intercettazioni e alle convergenti dichiarazioni delle persone offese).
Resta, in conclusione, inequivoca, anche a fronte della serialità delle condotte accertate (oltre che dell’approccio strumentalmente frazionato alla piattaforma probatoria da patte della ricorrente), la sua piena consapevolezza dell’effettiva natura dei rapporti negoziali sottesi ai pagamenti rateali, ferma restandone la incontestata oggettiva usurarietà.
Ugualmente non consentite e generiche, nei termini sopra illustrati, risultano le censure mosse da NOME COGNOME rispetto all’affermazione di responsabilità per le usure ascrittegli sub 4 e 9 (cfr. §§ 4.2.3 e 4.2.4 del Ritenuto in fatto).
I giudici di appello – cfr. pp. 52-53 della sentenza – valorizzano congruamente, nella pienezza della giurisdizione di merito, per quanto attiene al delitto in danno di COGNOME, le trasparenti ammissioni di COGNOME (che riconosce che la disponibilità del furgone discende da un prestito usurario) e dell’imputato (che imputa specificamente una recente dazione proprio a titolo di interessi, così superando le implausibili dichiarazioni della persona offesa) e, per quel che concerne il delitto in danno di COGNOME, quanto riferito proprio da quest’ultimo e coerente con le ricevute dei versamenti tramite Western Union, oltre che le propalazioni confessorie captate dagli inquirenti.
Queste lineari motivazioni, scevre di vizi logico-giuridici e non incise da motivi specifici, restano impermeabili allo scrutinio di legittimità.
Analogamente, la sentenza impugnata – pp. 53-54 – offre congrua risposta alle deduzioni di NOME COGNOME in ordine all’usura contestatale al capo 17, reiterate in questa sede. La Corte di appello ha preso in carico il motivo (pp. 4344) e ha richiamato, per condivisione, la motivazione di merito (pp. 32-33, in ordine alla solidità degli elementi ricavati dall’attività intercettiva e d dichiarazioni della persona offesa NOME raccolte dalle autorità romene, e riscontrate dagli accertamenti bancari).
Le censure della ricorrente in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo, già adeguatamente disattese nel generale inquadramento della vicenda, sono, dunque, affatto generiche e manifestamente infondate.
8. Le doglianze attinenti la liceità delle risorse finanziarie utilizzate p l’acquisto di vari immobili in Italia e in Romania e, comunque, per quel che concerne le due imputate, il difetto dell’elemento soggettivo (§ 3.2.8 del ricorso di Fita, §§ 4.2.5, 4.2.6 e 4.2.7 del ricorso di NOME COGNOME, §§ 5.1.3, 5.1.4, 5.1.5 e 5.1.6 del ricorso di NOME COGNOME, relativi anche alle connesse contestazioni di riciclaggio e autoriciclaggio) – tutte dirette a sollecitare, in term oltremodo aspecifici e con argomenti di pressoché palmare sovrapponibilità, una complessiva rilettura della piattaforma istruttoria, impossibile nel giudizio di cassazione – possono essere esaminate congiuntamente.
8.1. Per quanto attiene alle deduzioni, anch’esse stringatissime e prive di concreti riferimenti alle specifiche contestazioni, in ordine alla asserita extraterritorialità delle condotte, può rilevarsi preliminarmente, come – in forza dell’art. 6, secondo comma, cod. pen., secondo cui il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando l’azione o l’omissione che lo costituisce è ivi avvenuta in tutto o in parte – sussista la giurisdizione dello Stato italiano quando anche solo un frammento (seppur privo dei requisiti di idoneità e inequivocità richiesti per il tentativo) delle condotte poste in essere da alcuni dei correi, intes in senso naturalistico, si sia svolto nel territorio nazionale (Sez. 4, n. 31665 del 25/06/2024, COGNOME, Rv. 286871-03; Sez. 4, n. 39993 del 07/10/2021, COGNOME, Rv. 282061-01; Sez. 3, n. 27989 del 15/04/2021, COGNOME, Rv. 282327-01. In particolare, in tema di riciclaggio commesso in parte all’estero, Sez. 2, n. 4583 del 10/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282812-01, ha, condivisibilmente, ritenuto corretto il riconoscimento della giurisdizione italiana nel caso di consegna in Italia, da parte di alcuni imputati, di denaro costituente provento di delit commessi in Italia, ad altri correi, che lo avevano poi trasportato all’estero e lo avevano versato su conti correnti accesi presso una banca straniera). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel caso di specie, non è revocata in dubbio l’origine “italiana” dei proventi derivanti dallo sfruttamento della prostituzione (e, alla stregua delle considerazioni che precedono, neppure dei delitti di usura), ed è evidente – sin dalla rubrica imputativa e in difetto di precisazioni di segno contrario da parte della difesa – che almeno la parte iniziale delle condotte di movimentazione finanziaria sia avvenuta sul territorio nazionale.
8.2. La Corte territoriale richiama, innanzitutto, per condivisione, le riflessioni spese dal primo giudice in ordine al reinvestimento dei proventi derivanti dalle attività illecite, ricostruite minuziosamente per quel che attiene sia alle operazioni
di trasferimento del denaro, sia alle conseguenti intestazioni fittizie, come oggetto di imputazione ai capi 19, 20, 26, 27 e 29 (pp. 33-37). A fronte dei motivi di gravame, la sentenza impugnata ribadisce, poi, l’assoluta inconsistenza delle allegazioni in tema di pretesa provenienza lecita della provvista, prive di ogni conforto istruttorio, e di incongruità cronologica tra l’epoca di commissione dei delitti contestati e l’impiego delle risorse finanziarie, alla luce della sussistenza flussi continuativi e consistenti, risalenti al 2012, per le condotte di lenocinio, e 2005, per le usure, con protrazione ininterrotta. Quanto alla indubitabile sussistenza, anche per le due imputate, dell’atteggiamento soggettivo doloso, si rimarcano, oltre a quanto già chiarito a proposito del delitto associativo, anche le trasparenti conversazioni intercettate (pp. 53-57, 60).
8.3. Anche in questa sede, tutti i motivi di ricorso sul punto hanno semplicemente replicato le doglianze già così congruamente disattese, reiterate in modo meramente assertivo, senza riferimenti a specifiche risultanze processuali di valenza opposta.
Ugualmente non consentiti e generici risultano il terzo motivo dei ricorsi di COGNOME e di NOME COGNOME e il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME in tema di complessivo trattamento sanzionatorio.
9.1. Per consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen. È, dunque, inammissibile ogni censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142-01), ciò che non ricorre in nessuna delle posizioni che qui vengono in rilievo. Nondimeno, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. anche solo espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288-01; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243-01).
La sussistenza di circostanze attenuanti generiche, inoltre, è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, purché congrua e non contraddittoria, che non può essere sindacata in cassazione, neppure quando
difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509-03; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME, Rv. 242419). Il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale deve quindi motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la propria valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Pertanto, il diniego dell circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente fondato anche sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri, disattesi o superati da tale valutazione, d modo che è sufficiente il richiamo anche soltanto ai precedenti penali dell’imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269-01; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 26582601).
9.2. Quanto a NOME COGNOME la dosimetria – in aumento, a titolo di continuazione con la precedente condanna già accennata – e il denegato riconoscimento delle attenuanti generiche sono congruamente fatte discendere dal ruolo di braccio destro di NOME COGNOME e dalla disinvoltura e dallo zelo con cui la ricorrente si è elevata al ruolo di aguzzina delle proprie colleghe, approfittando della relazione sentimentale con il protettore.
La recidiva, infine, è stata riconosciuta in forza della incontestata infraquinquennalità rispetto alla precedente condanna per furto (così rigettando le deduzioni difensive in tema di lontananza nel tempo delle precedenti condotte), della medesimezza di indole predatoria, della insensibilità dimostrata verso la sanzione penale già irrogata e della accertata proclività alla consumazione di delitti a fine di lucro.
9.3. Quanto a NOME COGNOME, la dosimetria – in aumento, a titolo di continuazione con la precedente condanna già accennata – deriva, logicamente, dal ruolo apicale e dalle plurime aggravanti per i delitti di usura (stato di bisogno o condizione di imprenditore delle persone offese, richiesta di garanzie, transnazionalità), sottolineando la «notevole cifra di offensività delle numerose e variegate condotte»; la pregnanza, la gravità e la ripetitività degli illeciti, inolt impediscono l’applicazione dell’art. 62-bis cod. pen. (e, peraltro, le dichiarazioni confessorie, o para-confessorie, sarebbero state rese nel «non commendevole intento di alleviare le proprie responsabilità e quelle dei correi»).
9.4. Quanto a NOME COGNOME, la dosimetria – muovendo dal minimo edittale per il più grave delitto di usura – è parametrata, congruamente, sul suo ruolo centrale nella gestione e allocazione fraudolenta dei proventi delittuosi; l’assenza di ogni rielaborazione del disvalore delle proprie condotte e la protrazione dell’attività criminale anche successivamente al fermo del genero, per sottrarre risorse alle verifiche degli inquirenti, risultano ostative alla concessione delle attenuanti generiche.
9.5. I motivi di ricorso sul punto risultano, pertanto, apodittici e meramente confutativi.
Quanto, infine, alle deduzioni in merito alla confisca articolate, in riferimento a due immobili distinti, nel quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME e nel terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME è sufficiente – avuto riguardo a quanto già chiarito al precedente paragrafo 8 – richiamare le corrette valutazioni dei giudici di merito, secondo i quali, alla luce dell’infondatezza del gravame in ordine agli addebiti di trasferimento di valori, riciclaggio e autoriciclaggio, la misura ablativa consegue di diritto ai sensi degli artt. 644, ultimo comma, 648-quater e 240-bis cod. pen. (pp. 63).
I suddetti motivi sono, quindi, non consentiti e, comunque, manifestamente infondati.
I ricorsi presentati nell’interessi di NOME COGNOME e NOME COGNOME devono, in conclusione, essere rigettati e i ricorrenti condannati, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile e, del pari ex art. 616 cod. proc. pen., la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi di NOME COGNOME e COGNOME NOME COGNOME e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
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Il Pr sidente