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Abusiva attività finanziaria e singolo prestito

La Cassazione ha annullato una condanna per abusiva attività finanziaria, chiarendo che un singolo prestito non basta a configurare il reato. È necessaria un’attività professionale e organizzata rivolta al pubblico, elemento che la Corte d’Appello non ha adeguatamente verificato. Il caso riguardava un finanziamento di 1,5 milioni di euro mascherato da contratto di associazione in partecipazione.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Abusiva Attività Finanziaria: Un Singolo Prestito Basta per la Condanna?

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 26110/2024 affronta un tema cruciale nel diritto penale dell’economia: quali sono i confini del reato di abusiva attività finanziaria? In particolare, un’unica operazione di finanziamento, seppur di importo rilevante, è sufficiente per integrare il reato previsto dall’art. 132 del Testo Unico Bancario? La Suprema Corte fornisce un’interpretazione rigorosa, sottolineando la necessità di un’attività professionale e organizzata, annullando con rinvio la condanna emessa nei gradi di merito.

I Fatti del Caso: Un Finanziamento Mascherato

Il caso trae origine da un’operazione finanziaria complessa. Una società erogava, tramite un intermediario, un finanziamento di 1,5 milioni di euro al socio di una farmacia. Per formalizzare l’accordo, le parti stipulavano un contratto di “associazione in partecipazione”.

Tuttavia, sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello ritenevano che, al di là del nome, il contratto celasse in realtà un mutuo. Diversi elementi portavano a questa conclusione:

* L’obbligo per il farmacista di restituire l’intera somma ricevuta, indipendentemente dall’esito dell’attività d’impresa.
* La previsione di un compenso fisso e garantito per la società finanziatrice.
* La presenza di garanzie personali (fideiussione) tipiche dei contratti di finanziamento.

Sulla base di questa riqualificazione, i giudici di merito condannavano l’amministratore della società e l’intermediario per il reato di abusiva attività finanziaria.

La Questione Giuridica e il Reato di Abusiva Attività Finanziaria

Il cuore della difesa, e il punto centrale della decisione della Cassazione, non risiede tanto nella qualificazione del contratto, quanto nei requisiti necessari per configurare il reato. L’art. 132 del Testo Unico Bancario punisce chiunque svolga “nei confronti del pubblico una o più attività finanziarie” senza autorizzazione.

La difesa sosteneva che un singolo episodio, per quanto significativo, non potesse integrare il concetto di “attività”, che presuppone un carattere di professionalità, organizzazione e sistematicità. Si trattava, a loro dire, di un’operazione isolata e non di un’offerta di servizi finanziari rivolta al pubblico.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, nell’analizzare i ricorsi, distingue due profili:

1. Qualificazione del contratto: Su questo punto, la Corte conferma la valutazione dei giudici di merito. È corretto guardare alla “causa concreta” dell’operazione, ovvero allo scopo reale perseguito dalle parti. Le clausole contrattuali (restituzione integrale del capitale, compenso fisso) dimostravano inequivocabilmente che si trattava di un finanziamento e non di una reale partecipazione al rischio d’impresa.

2. Sussistenza del reato: Qui la Cassazione accoglie le doglianze dei ricorrenti. I giudici di legittimità ribadiscono un principio fondamentale: il reato di abusiva attività finanziaria non punisce il singolo atto, ma l’esercizio di un’attività. Questo implica la necessità di accertare:
* Un carattere professionale, inteso come un’attività svolta in modo organizzato e non occasionale.
* Una struttura potenzialmente funzionale alla reiterazione delle operazioni.
* Lo svolgimento dell’attività “nei confronti del pubblico”, ovvero rivolta a un numero indeterminato di soggetti.

La Corte d’Appello, secondo la Cassazione, ha errato nel motivare la condanna, limitandosi a un generico richiamo alla giurisprudenza che ammette la possibilità di configurare il reato anche con un solo atto, senza però spiegare perché, nel caso specifico, quell’unico atto fosse la manifestazione di una più ampia e strutturata attività imprenditoriale abusiva. La motivazione è stata giudicata carente proprio su questo aspetto decisivo.

Le Motivazioni della Cassazione

La motivazione della sentenza è un importante vademecum sui requisiti del reato di abusiva attività finanziaria. La Corte chiarisce che la norma incriminatrice ha lo scopo di controllare l’esercizio organizzato e abituale di attività finanziarie, per proteggere il mercato e i risparmiatori. Pertanto, l’accertamento non può fermarsi alla natura del singolo contratto, ma deve estendersi alla verifica del contesto in cui esso si inserisce. È necessario provare l’esistenza di un’organizzazione (anche minima) finalizzata a concedere finanziamenti in modo sistematico a una platea indeterminata di destinatari. Nel caso di specie, la Corte d’Appello non ha fornito una motivazione adeguata sul perché la singola operazione fosse indice di una tale organizzazione, limitandosi a dedurlo in modo automatico dalla natura finanziaria dell’operazione stessa. Questo vuoto motivazionale ha portato all’annullamento della sentenza.

Le Conclusioni

Con la sentenza n. 26110/2024, la Corte di Cassazione riafferma che per integrare il reato di abusiva attività finanziaria non è sufficiente compiere un singolo atto di finanziamento. È indispensabile che tale atto sia l’espressione di un’attività svolta professionalmente, con una struttura organizzata e rivolta al pubblico. La decisione è di fondamentale importanza pratica: sposta l’onere dell’accusa dal semplice provare la natura dell’operazione al dover dimostrare l’esistenza di un’attività imprenditoriale illecita. La causa è stata quindi rinviata a una diversa sezione della Corte d’Appello, che dovrà riesaminare i fatti attenendosi a questo rigoroso principio di diritto.

Un contratto formalmente definito “associazione in partecipazione” può essere considerato un finanziamento ai fini penali?
Sì. I giudici non si fermano al nome del contratto (nomen iuris), ma analizzano la sua “causa concreta”, ovvero lo scopo reale delle parti. Se le clausole prevedono la restituzione integrale del capitale e una remunerazione fissa, indipendentemente dai risultati dell’impresa, il contratto viene qualificato come finanziamento.

Per commettere il reato di abusiva attività finanziaria è sufficiente concedere un solo prestito?
Di norma, no. La sentenza chiarisce che il reato non punisce il singolo atto, ma l’esercizio di un'”attività”. Questo richiede la prova di un carattere professionale, sistematico e organizzato, e non di una condotta meramente occasionale o isolata.

Cosa significa che l’attività finanziaria deve essere svolta “nei confronti del pubblico”?
Significa che l’attività deve essere rivolta a un numero potenzialmente illimitato e indeterminato di persone. Non è necessario che i destinatari siano molti, ma l’organizzazione deve essere tale da poter erogare finanziamenti in modo reiterato, non limitandosi a un singolo destinatario in un’unica occasione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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