Reddito di cittadinanza: l’abrogazione del reato non è retroattiva
La recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema di grande attualità: gli effetti della abrogazione del reddito di cittadinanza sui reati commessi prima della sua soppressione. La Suprema Corte ha stabilito che la cancellazione della norma incriminatrice non comporta un’automatica assoluzione per le condotte passate, derogando al principio generale della legge più favorevole.
Il Fatto: Omessa Comunicazione di Redditi da Gioco
Il caso esaminato riguarda un cittadino condannato per il reato previsto dall’art. 7 del D.L. 4/2019. L’imputato, beneficiario del reddito di cittadinanza, aveva omesso di comunicare all’ente preposto le informazioni relative al proprio reddito personale, derivante dalla titolarità di conti di gioco. Di fronte alla condanna, ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su un unico motivo: l’intervenuta abrogazione della fattispecie incriminatrice a partire dal 1° gennaio 2024.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Secondo i giudici, la doglianza del ricorrente era manifestamente infondata. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: Perché l’abrogazione del reddito di cittadinanza non cancella i reati passati
Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione della norma che ha soppresso il reddito di cittadinanza (art. 1, comma 318, legge n. 197/2022). La Corte ha chiarito che, sebbene il reato sia stato formalmente abrogato dal 1° gennaio 2024, la stessa legge ha previsto una clausola di salvaguardia. Questa clausola stabilisce che le sanzioni penali continuano ad applicarsi per tutti i fatti commessi fino al termine di efficacia della disciplina del reddito di cittadinanza.
Questa disposizione rappresenta una chiara deroga al principio di retroattività della ‘lex mitior’ (legge più favorevole), sancito dall’art. 2, secondo comma, del codice penale. La ratio di questa scelta legislativa, come sottolineato dalla Cassazione, è quella di garantire la tutela penale contro l’indebita erogazione del beneficio fino a quando è stato possibile fruirne.
In altre parole, il legislatore ha voluto evitare un ‘vuoto normativo’ che avrebbe lasciato impunite le condotte illecite commesse sotto la vigenza della vecchia normativa. La soppressione del vecchio reato, infatti, si coordina cronologicamente con l’introduzione di una nuova fattispecie incriminatrice (art. 8, D.L. n. 48/2023) legata ai nuovi benefici che hanno sostituito il reddito di cittadinanza, assicurando una continuità nella protezione degli interessi dello Stato.
Le Conclusioni: Implicazioni pratiche della sentenza
Questa ordinanza consolida un importante principio giuridico: l’abrogazione di una norma penale non sempre comporta la cancellazione retroattiva delle sue conseguenze. Quando il legislatore lo prevede espressamente per tutelare specifici interessi, la vecchia norma può continuare a produrre i suoi effetti per i fatti commessi durante la sua vigenza.
Per i cittadini, ciò significa che le condotte illecite legate alla percezione del reddito di cittadinanza, come l’omessa comunicazione di redditi, rimangono penalmente perseguibili anche dopo la soppressione del beneficio. La decisione rafforza il principio di legalità e di certezza del diritto, assicurando che la transizione tra diverse discipline normative non crei zone franche in cui i comportamenti fraudolenti restino impuniti.
L’abrogazione della norma che puniva le false dichiarazioni per il reddito di cittadinanza cancella i reati commessi in passato?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che, nonostante l’abrogazione della norma dal 1° gennaio 2024, le sanzioni penali continuano ad applicarsi per tutti i fatti illeciti commessi fino a quando la disciplina del reddito di cittadinanza è rimasta in vigore.
Perché in questo caso non si applica il principio della legge più favorevole (lex mitior)?
Non si applica perché la stessa legge che ha abrogato il reato (legge n. 197/2022) ha introdotto una specifica deroga. Questa deroga fa salva l’applicazione delle vecchie sanzioni penali per garantire la continuità della tutela legale contro l’indebita percezione del beneficio.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte non esamina il merito della questione. La conseguenza diretta, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, è la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4380 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4380 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ENNA il 24/01/1971
avverso la sentenza del 22/04/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME ricorre per cassazione avverso sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 7 D.L. 4 del 2019 in relazione all’omessa comunicazione di informazioni relative a reddito personale, essendo egli titolare di conti di gioco. Il ricorrente, con unico motivo di rico deduce l’intervenuta abrogazione della fattispecie incriminatrice.
Si è affermato che l’abrogazione, a far data dall’01/01/2024, del delitto di cui all’art. 7 d. gennaio 2019, n. 4 disposta ex art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, nel far salva l’applicazione delle sanzioni penali dallo stesso previste per i fatti commessi sino al termine fina di efficacia della relativa disciplina, deroga al principio di retroattività della “lex mitior”, conseguente ex art. 2, comma secondo, cod. pen., in quanto assicura la tutela penale all’indebita erogazione del reddito di cittadinanza sin tanto che sarà possibile continuare a fruire di dett beneficio, posto che la sua prevista soppressione si coordina cronologicamente con la nuova incriminazione di cui all’art. 8 d.l. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, d legge 3 luglio 2023, n. 85, riferita agli analoghi benefici per il futuro introdotti in sostituzi reddito di cittadinanza (Sez. 3, n. 7541 del 24/01/2024 Rv. 285964). La doglianza è dunque manifestamente infondata.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’oner delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 06/12/2024
Il Presidente
Il Consigliere estensore