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Abrogazione reddito di cittadinanza: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso riguardante il reato di indebita percezione del reddito di cittadinanza. La Corte ha chiarito che, nonostante la soppressione del beneficio, una norma transitoria ha garantito la continuità del reato per le condotte commesse fino al 31 dicembre 2023. Pertanto, l’argomento dell’abrogazione del reddito di cittadinanza come causa di estinzione del reato è stato respinto. Altri motivi sono stati giudicati inammissibili per genericità o perché non proposti in appello.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Abrogazione Reddito di Cittadinanza: La Cassazione Conferma la Sopravvivenza del Reato

La recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema di grande attualità: le conseguenze penali legate all’indebita percezione del Reddito di Cittadinanza a seguito delle recenti modifiche legislative. Molti si sono chiesti se l’abrogazione reddito di cittadinanza avesse cancellato anche i reati connessi. La Suprema Corte ha fornito una risposta chiara, stabilendo la continuità normativa per le condotte illecite commesse fino al 31 dicembre 2023.

I fatti del caso e il ricorso in Cassazione

Il caso trae origine dal ricorso di un cittadino condannato per il reato previsto dall’art. 7 del D.L. 4/2019, per aver indebitamente percepito il Reddito di Cittadinanza. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. La violazione di legge per l’avvenuta abrogazione della norma incriminatrice.
2. L’omessa assunzione di una prova decisiva e la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
3. Un vizio di motivazione della sentenza d’appello, ritenuta illogica.

La questione cruciale dell’abrogazione reddito di cittadinanza

Il primo motivo di ricorso, e il più rilevante, sosteneva che la Legge di Bilancio 2023 (L. n. 197/2022) avesse disposto l’abrogazione, con effetto dal 1° gennaio 2024, delle norme sul Reddito di Cittadinanza, inclusa la disposizione penale dell’art. 7. Secondo il ricorrente, tale abrogazione avrebbe dovuto comportare l’assoluzione, in base al principio di successione delle leggi penali nel tempo. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto questa tesi manifestamente infondata.

Gli altri motivi di ricorso e la loro inammissibilità

La Corte ha rapidamente liquidato gli altri due motivi, dichiarandoli entrambi inammissibili. Il secondo motivo, relativo alla mancata assunzione di prove, è stato respinto perché la questione non era stata sollevata nei motivi d’appello, rendendola non proponibile per la prima volta in Cassazione. Il terzo motivo, che lamentava un vizio di motivazione, è stato giudicato inammissibile per la sua genericità: il ricorrente non aveva mosso critiche specifiche e puntuali alla logica della sentenza impugnata, limitandosi a una contestazione assertiva.

Le motivazioni

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella ricostruzione della successione normativa. Gli Ermellini hanno chiarito che, sebbene la Legge n. 197/2022 abbia effettivamente abrogato le norme sul Reddito di Cittadinanza, il legislatore è intervenuto nuovamente con il D.L. n. 48/2023. Questo decreto non solo ha introdotto nuove misure di inclusione, ma ha anche previsto una specifica disposizione transitoria (art. 13, comma 3).

Questa norma stabilisce espressamente che, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023, continuano ad applicarsi le disposizioni penali dell’art. 7 del D.L. 4/2019. Di conseguenza, non si è verificato alcun vuoto normativo né un effetto abrogativo della norma penale per le condotte poste in essere prima di tale data. La volontà del legislatore è stata quella di garantire una continuità sanzionatoria, evitando che le condotte illecite passate rimanessero impunite a causa della soppressione del beneficio.

Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione ha un’importante implicazione pratica: chi ha indebitamente percepito il Reddito di Cittadinanza commettendo il reato fino al 31 dicembre 2023 non può beneficiare dell’abolizione della misura. La norma penale rimane pienamente applicabile a tali condotte. La decisione ribadisce un principio fondamentale: l’abrogazione di un beneficio non comporta automaticamente l’abolizione del reato connesso, specialmente quando il legislatore interviene con norme transitorie per salvaguardare la continuità dell’ordinamento penale. La sentenza serve quindi da monito, confermando che le conseguenze legali per la percezione illecita di benefici statali persistono anche dopo la riforma della misura stessa.

Il reato legato all’indebita percezione del reddito di cittadinanza è stato abrogato?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che, per tutti i fatti illeciti commessi fino alla data del 31 dicembre 2023, la norma penale (art. 7 del D.L. 4/2019) rimane pienamente in vigore grazie a una specifica disposizione transitoria contenuta nel D.L. 48/2023.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché il motivo principale, relativo all’abrogazione del reato, era manifestamente infondato. Gli altri due motivi sono stati respinti rispettivamente perché non erano stati presentati nel precedente grado di giudizio (appello) e per eccessiva genericità, in quanto non muovevano critiche specifiche alla sentenza impugnata.

Cosa significa che un motivo di ricorso è ‘generico’?
Un motivo di ricorso è considerato ‘generico’ quando non articola una critica precisa e dettagliata contro la decisione del giudice precedente, ma si limita a contestare la sentenza in modo vago e assertivo, senza individuare i punti specifici della motivazione che si ritengono errati o illogici. Questo vizio ne comporta l’inammissibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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