Abrogazione del Reato sul Reddito di Cittadinanza: La Cassazione Conferma la Non Retroattività
L’introduzione e la successiva eliminazione del reddito di cittadinanza hanno sollevato numerose questioni legali, in particolare riguardo alle conseguenze penali per le condotte illecite. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 46429/2024) ha fornito un chiarimento decisivo sul tema dell’abrogazione del reato previsto dalla normativa originaria, stabilendo un principio fondamentale sulla successione delle leggi penali nel tempo.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un individuo condannato per il reato previsto dall’art. 7 del D.L. n. 4 del 2019, la norma che istituiva il reddito di cittadinanza. La difesa del ricorrente si basava su un’argomentazione precisa: la Legge di Bilancio del 2023 (L. n. 197/2022) avrebbe disposto l’abrogazione della fattispecie di reato, rendendo quindi non più punibile la condotta contestata.
Secondo questa tesi, la cancellazione della norma incriminatrice avrebbe dovuto avere un effetto retroattivo, portando all’annullamento della condanna. Il ricorrente ha quindi adito la Corte di Cassazione per vedere riconosciuta la propria tesi.
La Decisione della Corte e l’Abrogazione del Reato
La Corte di Cassazione ha respinto completamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato. I giudici hanno confermato la validità della condanna, basandosi su un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato.
La Corte ha specificato che, sebbene la Legge di Bilancio 2023 abbia effettivamente previsto l’abrogazione del reato a far data dal 1° gennaio 2024, essa fa salva l’applicazione delle sanzioni penali per tutti i fatti commessi fino al termine di efficacia della disciplina del reddito di cittadinanza. In altre parole, la nuova legge non cancella il passato.
Le Motivazioni della Decisione
Il cuore del ragionamento della Cassazione risiede nel principio della successione delle leggi penali nel tempo. La Corte ha ribadito che l’intenzione del legislatore non era quella di concedere un’impunità generalizzata per le violazioni passate. Al contrario, la riforma mirava a un progressivo superamento dell’istituto del reddito di cittadinanza, ma senza annullare le conseguenze delle condotte illecite poste in essere quando la legge era in vigore.
La decisione si allinea a precedenti pronunce (tra cui la n. 7541/2024 e la n. 37836/2023), che avevano già tracciato il percorso interpretativo. L’abrogazione del reato non opera retroattivamente perché la stessa norma abrogatrice ha previsto una clausola di salvaguardia per i fatti pregressi. Pertanto, chi ha violato la legge prima del 1° gennaio 2024 rimane soggetto alle sanzioni previste dalla vecchia normativa. Di conseguenza, il ricorso è stato giudicato privo di fondamento e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. Essa conferma che la fine del reddito di cittadinanza non si traduce in un colpo di spugna per le condotte fraudolente o illecite commesse durante la sua vigenza. I procedimenti penali in corso proseguiranno e le condanne già emesse restano valide.
La decisione riafferma un principio di certezza del diritto: le leggi, pur cambiando nel tempo, mantengono la loro efficacia per il periodo in cui sono state in vigore, salvo diversa ed esplicita disposizione del legislatore. In questo caso, il legislatore ha chiaramente voluto che l’abrogazione non avesse effetto retroattivo, una scelta che la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto corretta e vincolante.
L’abrogazione del reato relativo al reddito di cittadinanza ha effetto retroattivo?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’abrogazione del reato, con efficacia dal 1° gennaio 2024, non è retroattiva. Le sanzioni penali continuano ad applicarsi per i fatti commessi prima di tale data, poiché la legge stessa fa salva l’applicazione delle sanzioni per le condotte pregresse.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché manifestamente infondato. La tesi del ricorrente, secondo cui l’abrogazione della norma avrebbe dovuto cancellare la condanna, era in diretto contrasto con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità.
Cosa comporta per il ricorrente la dichiarazione di inammissibilità?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle Ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46429 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46429 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 08/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BARLETTA il 21/10/1977
avverso la sentenza del 22/09/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
)Put
Ritenuto che il ricorso di NOME NOMECOGNOME che contesta la correttezza della motivazione posta base della dichiarazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 7 del d.l. n. 4 del 2019, sostenendo l’abrogazione del reato ad opera dell’art. 1 comma 318 della legge di Bilancio del 2023, è inammissibile perché manifestamente infondato alla luce dell’orientamento consolidato espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui l’abrogazione, a far data dall’01/01/2024, del delitto di cui all’art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, disposta ex art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, fa salva l’applicazione delle sanzioni penali dallo stesso previste per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina (Sez. 3, n. 7541 del 24/01/2024, COGNOME, Rv. 285964 – 01; Sez. 3 n. 37836 del 18/04/2023 e Sez.3, n.49047 del 2023, non massimate ove si ripercorre le tappe della riforma volta, in un primo tempo, ad un ridimensionamento dell’istituto del reddito di cittadinanza e alla conseguente eliminazione, in un arco temporale più ampio, della disciplina di cui al d.l. n. 4 del 2019 e successive modificazioni).
Rilevato che pertanto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 1’08/11/2024
Il Presidente