Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37259 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37259 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/10/2025
SETTIMA SEZIONE PENALE
NOME DI COGNOME
– Relatore – ha pronunciato la seguente
Sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Buccino il DATA_NASCITA, avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno del 20/12/2024, visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso; dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Con sentenza del 20/12/2024, la Corte di appello di Salerno confermava la sentenza del Tribunale di Salerno del 05/12/2023, che aveva condannato NOME COGNOME alla pena condizionalmente sospesa di anni 1 e mesi 4 di reclusione in ordine al reato di cui all’articolo 7 d.l. 4/2019.
Avverso tale sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo lamenta violazione di legge in relazione al rigetto della deduzione difensiva relativa all’intervenuta abolitio criminis della norma incriminatrice.
2.2. Con un secondo motivo lamenta violazione dell’articolo 7 d.l. 4/2019 in relazione all’omessa indicazione della rilevanza della presenza di altri familiari nello stato di famiglia ai fini della percezione del beneficio economico.
Il ricorso Ł inammissibile.
3.1. Il primo motivo Ł manifestamente infondato.
In relazione alla dedotta abolitio criminis , il Collegio ribadisce (v. Sez. 3, n. 5999 del 09/01/2024, COGNOME; Sez. 3 n. 37836 del 18/04/2023, COGNOME; Sez.3, n.49047 del 2023, COGNOME, non massimate), come del resto ha fatto il provvedimento impugnato a pag. 3, che l’art. 7 del d.l. n. 4 del 2019, contenente le disposizioni di carattere penale intese a sanzionare chi abbia indebitamente conseguito il beneficio economico previsto dalla medesima legge Ł stato effettivamente abrogato.
Per espressa previsione di legge, l’efficacia di tale effetto abrogativo Ł stata fissata dal legislatore alla data del 1 gennaio 2024; prima dell’indicata data, il legislatore Ł intervenuto (con d.l. 4 maggio 2023 n. 48, recante “misure urgenti per l’inclusione e l’accesso al mondo del lavoro”, conv., con modiff., dalla l. 3 luglio 2023 n. 85) stabilendo che «al beneficio di cui all’articolo 1 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 7 del medesimo decreto-legge, vigenti alla data in cui il beneficio Ł stato
Ord. n. sez. 15208/2025
CC – 31/10/2025
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023».
Sul punto anche le Sezioni Unite hanno osservato che il legislatore, peraltro, nell’introdurre il cd. «assegno di inclusione», ha contestualmente ed espressamente previsto che al Rdc continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’art. 7 d.l. n. 4 del 2019 vigenti alla data in cui il beneficio Ł stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023 (Sez.U, n. 49686 del 13/07/2023, Rv.285435 – 01, in motivazione).
Il motivo, che non si confronta con la sedimentata giurisprudenza di questa Corte senza addurre motivi e valutazioni nuovi, Ł pertanto manifestamente infondato.
3.2. Il secondo motivo, come peraltro anche il primo, Ł inammissibile in quanto, a fronte di una doppia conforme affermazione di responsabilità, il ricorrente si limita a riproporre pedissequamente in sede di legittimità di doglianze già correttamente disattese, in fatto e diritto, dalla Corte territoriale e, prima di lei, dal Tribunale.
E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217).
Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione Ł, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioŁ con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (testualmente Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv 254584 e Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
Se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d’appello, quindi, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale Ł previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente «attaccato», lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, Ł di fatto del tutto ignorato (sempre, da ultimo, Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
Scendendo in concreto, la sentenza impugnata, dopo avere richiamato in toto i contenuti della prima sentenza, chiarisce a pagina 3 che l’omissione riguardava la madre convivente COGNOME NOME, titolare di tre pensioni per un imponibile annuo di euro 20.476,92 e il figlio NOME COGNOME, con reddito dichiarato pari a euro 22.631,00; per effetto della presenza nel nucleo familiare dei due soggetti l’imputato risultava al di fuori dei requisiti economici di cui all’articolo 3 d.l. 4/2019.
Avverso tale motivazione il ricorrente nulla ribatte, limitandosi ad una contestazione generica, difettando così la doglianza della necessaria specificità.
4. Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonchØ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro
3.000,00.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così Ł deciso, 31/10/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME