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Abolitio criminis e abuso d’ufficio: la decisione

Un ex amministratore pubblico ha richiesto la revoca di due sentenze per abuso d’ufficio a seguito della riforma del reato (abolitio criminis). La Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che il giudice dell’esecuzione penale non può revocare le statuizioni civili se il relativo processo è ancora pendente in sede civile. Inoltre, ha confermato che la violazione di specifiche norme di legge continua a integrare il reato di abuso d’ufficio anche dopo la riforma del 2020.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Abolitio Criminis e Abuso d’Ufficio: la Cassazione fa chiarezza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione fornisce importanti chiarimenti sull’applicazione del principio di abolitio criminis, specialmente in relazione alla complessa figura del reato di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.), recentemente riformato. La pronuncia analizza due distinti casi legati allo stesso imputato, un ex amministratore pubblico, offrendo una guida preziosa sui limiti della revoca delle sentenze penali e sulla sorte delle connesse statuizioni civili.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso di un ex Presidente di un ente regionale avverso un’ordinanza della Corte d’Appello, che aveva parzialmente accolto le sue istanze di revoca di due diverse sentenze a seguito della modifica del reato di abuso d’ufficio introdotta nel 2020.

1. Prima vicenda (capo 88E): L’imputato era stato giudicato per un reato di abuso d’ufficio, conclusosi con una declaratoria di estinzione per prescrizione. La Corte d’Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva revocato le statuizioni penali della sentenza per abolitio criminis, ma aveva rigettato la revoca delle corrispondenti statuizioni civili (relative al risarcimento del danno in favore dell’Ente Regionale).

2. Seconda vicenda (capo 89E): Per un’altra imputazione, qualificata come tentativo di abuso d’ufficio e anch’essa prescritta, la Corte d’Appello aveva invece rigettato integralmente l’istanza di revoca, ritenendo che la condotta contestata (violazione di una specifica legge regionale) costituisse reato anche secondo la nuova formulazione dell’art. 323 c.p.

L’imputato ha quindi proposto ricorso per cassazione contro entrambe le decisioni.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’impatto dell’abolitio criminis

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, seppur con motivazioni parzialmente diverse da quelle del giudice di merito, delineando confini netti sull’operatività dell’istituto della revoca.

Statuizioni Civili e Processo Pendente: un binario separato

Con riferimento alla prima vicenda, la Cassazione ha corretto il ragionamento della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva negato la revoca delle statuizioni civili basandosi sul presupposto (errato) che su di esse si fosse formato un giudicato. La Suprema Corte, invece, ha rilevato che il processo civile per il risarcimento del danno era ancora pendente.

Proprio questa pendenza, tuttavia, rende impossibile la revoca in sede di esecuzione penale. La Corte ha stabilito che l’oggetto del procedimento civile è ormai autonomo e distinto da quello penale. Sarà il giudice civile, nell’ambito del processo ancora in corso, a dover valutare le conseguenze della abolitio criminis del fatto penale sulla pretesa risarcitoria. In sostanza, il giudice dell’esecuzione penale non ha il potere di intervenire su un contenzioso civile non ancora definito.

La Nuova Configurazione dell’Abuso d’Ufficio

Per quanto riguarda la seconda vicenda, la Cassazione ha dichiarato il motivo di ricorso inammissibile. Ha confermato la correttezza della decisione del giudice dell’esecuzione nel ritenere che la condotta contestata non fosse stata decriminalizzata.

Il punto centrale è che il giudice dell’esecuzione, quando valuta una richiesta di abolitio criminis, non può riesaminare i fatti del processo, ma deve limitarsi a un confronto tra la vecchia e la nuova fattispecie astratta, applicandole al fatto così come accertato nella sentenza di cognizione. Nel caso specifico, la sentenza originaria aveva accertato che l’imputato aveva agito in violazione di una specifica legge regionale. Poiché la riforma del 2020 ha limitato la rilevanza penale dell’abuso d’ufficio alle sole condotte tenute in violazione di specifiche norme di legge o di regolamento, escludendo la discrezionalità, la condotta accertata rientrava pienamente anche nella nuova fattispecie. Di conseguenza, nessuna abolitio criminis si era verificata per quel fatto.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali della procedura penale. In primo luogo, ha sottolineato la netta separazione tra il giudizio penale e quello civile, specialmente quando quest’ultimo prosegue autonomamente. La revoca per abolitio criminis, disciplinata dall’art. 673 c.p.p., riguarda esclusivamente gli effetti penali della condanna. Gli effetti civili, una volta che il relativo giudizio è stato incardinato, seguono un percorso autonomo che non può essere interrotto dal giudice dell’esecuzione penale.

In secondo luogo, la sentenza ha riaffermato i limiti cognitivi del giudice dell’esecuzione. Questo giudice non è un secondo giudice di merito. Il suo compito non è rivalutare le prove o la fondatezza dell’accusa, ma solo verificare se, alla luce della nuova legge, il fatto storico, così come cristallizzato nella sentenza irrevocabile, costituisca ancora reato. Qualsiasi tentativo di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti è inammissibile in questa sede.

Le Conclusioni

La pronuncia ha due importanti implicazioni pratiche. Anzitutto, chiarisce che l’abolitio criminis non cancella con un colpo di spugna le possibili conseguenze civili di un fatto illecito. Se la parte danneggiata ha avviato un’azione civile, sarà in quella sede che si deciderà sulla richiesta di risarcimento, tenendo conto della mutata qualificazione giuridica del fatto. In secondo luogo, la sentenza conferma che la riforma dell’abuso d’ufficio del 2020, pur avendo ristretto significativamente l’area del penalmente rilevante, non ha creato una zona di impunità per i pubblici ufficiali che violano specifiche e vincolanti norme di legge.

Se un reato viene abolito (abolitio criminis), vengono cancellate automaticamente anche le richieste di risarcimento danni?
No, non automaticamente. La sentenza chiarisce che se il processo per il risarcimento del danno è ancora pendente in sede civile, il giudice dell’esecuzione penale non ha il potere di revocare le statuizioni civili. La questione risarcitoria dovrà essere decisa dal giudice civile.

Cosa deve valutare il giudice dell’esecuzione quando si chiede la revoca di una sentenza per abolitio criminis?
Il giudice dell’esecuzione deve limitarsi a confrontare la vecchia e la nuova norma penale, applicandole ai fatti così come sono stati accertati in via definitiva nel precedente processo. Non può in alcun modo rivalutare i fatti, le prove o la ricostruzione della vicenda.

La riforma del reato di abuso d’ufficio del 2020 ha depenalizzato tutte le condotte?
No. La sentenza conferma che la condotta di abuso d’ufficio commessa attraverso la violazione di specifiche norme di legge (e non di norme generali o di regolamenti che lasciano margini di discrezionalità) continua a essere un reato anche secondo la nuova formulazione dell’art. 323 del codice penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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