Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 16983 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 16983 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato il 28/02/1971 a Padova
avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia del 26/02/2024
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio con revoca delle statuizioni civili; letta la memoria inviata dal difensore del ricorrente; lette le conclusioni delle parti civili.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4 novembre 2019 il G.i.p. del Tribunale di Padova ha assolto, perché il fatto non sussiste, NOME COGNOME e NOME COGNOME rispettivamente Sindaco di Abano Terme e dirigente dei servizi tecnici, dal delitto di cui all’art. 323 cod. pen., contestato in relazione a delibera dell’Il marzo 2015,
con cui in via cautelare nell’ambito di procedura attivata ai sensi dell’art. 42-bis d.P.R. n. 327 del 2001, era stato disposto che fossero rimossi i cartelli indicanti “proprietà privata” e “divieto di transito”, apposti da NOME COGNOME e da NOME COGNOME, proprietari di area sita in Abano Terme, INDIRIZZO a tutela della proprietà da indebiti usi da parte di terzi, in particolare la società RAGIONE_SOCIALE, che si avvaleva di strada laterale di INDIRIZZO per consentire un accesso all’area dell’hotel.
A seguito di appello delle parti civili COGNOME e COGNOME la Corte di appello di Venezia, con sentenza del 26 febbraio 2024, ha ravvisato agli effetti civili la responsabilità di NOME COGNOME valorizzando soprattutto i rilievi formulati dal T.A.R. Veneto, adito tramite impugnativa della delibera, e lo ha condannato a risarcire il danno, rimettendo le parti per la liquidazione alla sede civile.
2. Ha proposto ricorso NOME COGNOME tramite il suo difensore.
Deduce vizio di motivazione in punto di sussistenza del reato per travisamento della prova, nonché violazione di legge in relazione agli artt. 323 cod. pen. e 42bis d.P.R. 327 del 2001, attesa l’insussistenza dell’elemento sia oggettivo che soggettivo.
Sulla base della valutazione della documentazione acquisita il primo giudice aveva ritenuto che non fosse configurabile l’oggettiva ingiustizia del danno o del vantaggio.
Era stato del resto accertato che da anni la strada laterale di INDIRIZZO era stata inserita tra le strade comunali e che la mancata acquisizione al patrimonio comunale era dipesa dal fatto che il Comune non aveva dato corso al trasferimento previsto dalla convenzione di lottizzazione approvata.
La Corte aveva valorizzato le decisioni intervenute in sede civile, che avevano escluso che l’area avesse funzione integrativa della viabilità stradale, fermo restando che l’accertamento, al momento della delibera incriminata, non era definitivo, in quanto la Suprema Corte si sarebbe pronunciata solo nel 2018.
Peraltro, detta delibera era stata adottata dopo che il Consiglio Comunale in data 5 novembre 2014 aveva emanato un atto per l’avvio del procedimento volto alla costituzione di servitù di pubblico passaggio e transito pedonale e carrabile sul tratto di strada di interesse, accertando l’attualità e la prevalenza dell’interess pubblico a disporre l’avvio del procedimento di cui all’art. 42-bis d.P.R. 327 dl 2001, e dando atto che nelle more si sarebbe provveduto alla rimozione di impedimenti frapposti all’uso della strada. In tale prospettiva avrebbe dovuto essere intesa la delibera incriminata adottata dopo l’accertamento dell’apposizione dei cartelli, di cui era stata disposta la rimozione.
Quei cartelli erano stati apposti prima che l’accertamento in sede civile fosse definitivo e irrevocabile, a fronte dell’avvenuto riconoscimento con delibera consiliare dell’interesse pubblico.
Inoltre, l’istruttoria compiuta in sede penale non coincideva con quella effettuata in sede civile e amministrativa.
Avrebbe dovuto escludersi la configurabilità di un danno o di vantaggio ingiusti, deliberatamente perseguiti, poiché il Comune si stava adoperando per raggiungere un risultato, che fin dall’origine era indicato negli accordi legati a piano di lottizzazione.
La Corte aveva dunque fondato il proprio giudizio su dati insussistenti, non essendo peraltro configurabile il dolo intenzionale, posto che era stato perseguito solo l’interesse pubblico, senza effettiva incidenza nella sfera giuridica dei privati.
Con successiva memoria il difensore del ricorrente ha proposto motivi nuovi.
Invoca l’intervenuta abrogazione della fattispecie penale dell’abuso di ufficio per effetto della legge n. 114 del 2024.
Richiamando la sentenza delle Sezioni Unite, n. 46688 del 29/09/2016, COGNOME, e la sentenza della Corte costituzionale n. 12 del 2016, rileva che a seguito dell’abrogazione del reato, avrebbero dovuto revocarsi le statuizioni civili, attesa l’accessorietà dell’azione civile in sede penale, che altrimenti non riposerebbe sull’art. 185 cod. pen. ma direttamente sull’art. 2043 cod. civ.
Segnala in particolare che le Sezioni Unite hanno preso in considerazione anche il caso in cui dopo un proscioglimento in primo grado sia proposta impugnazione agli effetti civili e in quella fase sopravvenga l’abolizione del reato, giungendo alle medesime conclusioni in ordine alla possibilità di ravvisare una responsabilità agli effetti civili solo in quanto correlata ad un’ipotesi di rea discendendo da ciò l’inammissibilità dell’impugnazione.
Il Procuratore generale ha inviato la requisitoria concludendo per l’annullamento senza rinvio con revoca delle statuizioni civili.
Il difensore delle parti civili ha inviato conclusioni e nota spese.
Il procedimento si è svolto con trattazione scritta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso nella sua complessiva articolazione e soprattutto alla luce dei motivi aggiunti risulta fondato.
Deve rilevarsi che il fatto, risalente all’il. marzo 2015, è stato giudicato i primo grado con sentenza del G.i.p. del Tribunale di Padova in data 4 novembre 2019, che ha assolto per insussistenza del fatto gli imputati NOME e NOMECOGNOME quest’ultimo poi deceduto.
Il Giudice ha valutato la vicenda alla luce della contestazione, che era a sua volta coerente con la struttura della fattispecie dell’abuso di ufficio risultante dal modifiche introdotte dalla legge 16 luglio 1997 n. 234.
Va, peraltro, rilevato che tale fattispecie è stata in seguito consistentemente modificata dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, nella vigenza della quale è intervenuta la sentenza della Corte di appello, che ha riconosciuto la responsabilità civile di NOME COGNOME prima che l’art. 323 cod. pen. fosse radicalmente abrogato per effetto della legge 9 agosto 2024, n. 114.
Ciò posto, va rimarcato come, a fronte della definitiva assoluzione agli effetti penali, in grado di appello, a seguito di impugnazione delle parti civili, stato dedotto nei confronti di NOME COGNOME esclusivamente il profilo della responsabilità civile.
Deve peraltro rilevarsi che l’azione civile in sede penale ha carattere accessorio, in quanto la strutturale correlazione ad una fattispecie penale non vale solo a qualificare la causa petendi, ma a giustificare l’attribuzione al giudice penale della relativa cognizione nel presupposto dell’avvenuto esercizio dell’azione penale per un reato, produttivo di danno civilmente rilevante agli effetti dell’art. 185 cod pen.
Interferisce, almeno all’apparenza, con tale analisi il tema della presunzione di innocenza di cui all’art. 6, par. 2, C.E.D.U., in relazione alla quale, come segnalato anche dalle Sezioni Unite (cfr. Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, Calpitano, in motivazione), la Corte di Strasburgo ha avuto modo di osservare che la sua funzione è quella di «impedire che persone che hanno beneficiato di un proscioglimento siano trattate da agenti o autorità pubbliche come se fossero in realtà colpevoli del reato loro imputato (Corte EDU, 12/07/2013, Allen c. Regno Unito, § 94). Ogni volta che la questione dell’applicabilità dell’art. 6 § 2 si pon nell’ambito di un procedimento ulteriore, il ricorrente deve dimostrare l’esistenza
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di un nesso tra il procedimento penale concluso e l’azione successiva. Tale legame può essere presente, ad esempio, quando l’azione successiva richiede l’esame dell’esito del procedimento penale e, in particolare, quando obbliga il giudice interessato ad analizzare la sentenza penale, effettuare uno studio o una valutazione degli elementi di prova contenuti nel fascicolo penale, valutare la partecipazione del ricorrente a uno o a tutti gli eventi che hanno portato all’accusa, o a formulare osservazioni sulle indicazioni che continuano a suggerire un’eventuale colpevolezza dell’interessato (Corte EDU, Allen, cit., § 104). E’ consolidata nella giurisprudenza della Corte EDU l’interpretazione dell’art. 6 § 2 nel senso della sua applicabilità al giudizio di risarcimento del danno da reato negli ordinamenti nazionali nei quali vi è concomitanza di giudizio su responsabilità penale e diritto al risarcimento del danno (Corte EDU, 25/07/1993, Sekanina c. Austria, § 22; Corte EDU, 21/03/2000, Rushiti c. Austria, § 27; Corte EDU, 20/12/2001, RAGIONE_SOCIALE c. Austria, § 24)».
Proprio sulla scorta di tali rilievi della Corte di Strasburgo, ribaditi con specific riguardo al caso di pronuncia agli effetti civili in concomitanza con il proscioglimento agli effetti penali conseguente ad estinzione del reato per prescrizione (Corte EDU, 20/10/2020, COGNOME c. Repubblica di San Marino), la Corte Costituzionale (sent. n. 182 del 2021) ha osservato, con riguardo alla sfera di cognizione demandata al giudice penale dall’art. 578 cod. proc. pen., che il giudice chiamato a valutare la responsabilità civile deve considerare il fatto illecito per il suo rilievo esclusivamente civilistico, senza valutare la responsabilità penale.
5. Va, tuttavia, rimarcato come l’individuazione della causa petendi non possa che rimanere ancorata all’oggetto dell’originario esercizio dell’azione penale, pur riguardato in funzione dei soli interessi civili e con l’utilizzo di apprezzamenti che anche sotto il profilo linguistico non siano evocativi di responsabilità penale (Corte EDU, 9/03/2023, COGNOME c. Italia): solo in tale prospettiva può infatti giustificar che il giudizio possa trovare sviluppo in sede penale.
A ben guardare, nella medesima prospettiva ed anzi quale suo corollario, senza alcun conflitto con la presunzione di innocenza, rafforzata dal giudicato di proscioglimento, è necessario che una fattispecie penale, all’origine posta a fondamento del giudizio, continui ad essere in astratto configurabile, in modo che possa correlarvisi la perpetuatio iurisdictionis.
Del tutto coerente con tale impostazione risulta quanto affermato dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, COGNOME, Rv. 267886 – 01), per cui, da un lato, in caso di sentenza di condanna relativa a un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile ai sensi del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice dell’ impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dall
legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili, fermo restando il diritto della parte civile di agire “ex novo” ne sede naturale, per il risarcimento del danno e l’eventuale irrogazione della sanzione pecuniaria civile, e dall’altro, in caso di impugnazione presentata dalla parte civile ai sensi dell’art. 576 cod. proc. pen., a fronte di assoluzione pronunciata in primo grado, la sopravvenuta abolitio criminis impone al giudice di prendere atto di tale situazione, che assume valenza preclusiva rispetto ad un accertamento demandato alla giurisdizione penale, senza che peraltro possano prodursi effetti definitivamente impeditivi ai fini della riproposizione del giudizio sede civile.
Ciò posto, deve certamente prendersi atto della sopravvenuta abrogazione dell’art. 323 cod. pen. da parte della legge n. 114 del 2024.
Va però rimarcato come, in realtà, una parziale abolitio criminis, direttamente incidente nella presente vicenda, fosse già riconducibile all’entrata in vigore del d,I. n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020.
Mentre in base al previgente tenore dell’art. 323 cod. pen. era sanzionata la condotta tenuta in violazione di norme di legge o di regolamento, per effetto della modifica introdotta dal d.l. n. 76 del 2020, cit., la fattispecie era incentrata sul violazione di «specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».
E’ stato affermato al riguardo che in forza di tale formulazione non avrebbe potuto darsi rilievo alla violazione di regole generali e astratte dalle quali non fossero desumibili regole di comportamento specifiche ed espresse, cui non fossero correlabili margini di discrezionalità, con esclusione dunque della possibilità di far riferimento ai canoni generali del buon andamento e dell’imparzialità ai sensi dell’art. 97 Cost. (Sez. 6, n. 38125 del 11/07/2023, COGNOME, Rv. 285184 – 01; Sez. 6, n. 28402 del 10/06/2022, Bobbio, Rv. 283359 – 01).
7. Orbene, alla luce di tale principio deve leggersi la contestazione formulata a carico dell’imputato, la quale dava rilievo ad un’ordinanza di rimozione di cartelli apposti dalle parti civili, a tutela della proprietà da indebiti usi di una strada parte di terzi, e faceva leva sulla violazione di legge in relazione ad un improprio riferimento all’art. 42-bis d.P.R. n. 327 dei 2001, circa i presupposti per l’adozione di provvedimenti ablatori, costituiti da un dichiarato ma insussistente interesse pubblico, sulla violazione dell’art. 97 Cost in relazione al criterio di imparzialità buona amministrazione cui deve essere improntata l’attività dei pubblici ufficiali,
sulla violazione dell’art. 42, comma secondo, Cost. in relazione alla tutela della proprietà.
Se una siffatta contestazione avrebbe potuto dirsi coerente con l’interpretazione della previgente formulazione dell’art. 323 cod. pen. alla cui
stregua avrebbe potuto darsi rilievo anche ai principi desumibili dagli artt. 97 e 54
Cost. (Sez. 6, n. 22871 del 21/02/2019, COGNOME, Rv. 275985 – 01), deve escludersi che il fatto contestato potesse essere ricondotto alla fattispecie
dell’abuso di ufficio dopo la sua modifica da parte del d.l. n. 76 cit., non venendo in rilievo specifiche regole di condotta e essendo evocato il tema della
configurabilità dell’interesse pubblico, di per sé correlabile a parametri discrezionali, fermo restando che la contestazione non evocava il tema della
competenza funzionale, pur menzionato da una sentenza pronunciata dal giudice amministrativo
in subiecta materia.
Deve aggiungersi che l’ordinanza incriminata era correlata comunque al ex
presupposto dell’avvio di una procedura di tipo espropriativo art.
42-bis d.P.R.
327 del 2001, in relazione alla quale avrebbe dovuto concretamente vagliarsi a monte la sussistenza dei presupposti, senza che venissero direttamente in rilievo specifiche ed espresse regole di condotta non correlate a profili valutativi.
Ed allora deve rilevarsi che già prima della sentenza di appello si era prodotta un’aboliti° criminis, tale da rendere penalmente irrilevante il fatto contestato, solo a fortiori potendosi aver riguardo alla sopravvenuta abrogazione dell’art. 323 cod. pen.: per tale ragione non assume decisivo rilievo in questa sede la circostanza che in relazione a detta radicale abrogazione sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale, prossimamente al vaglio della Corte costituzionale (Sez. 6, ord. 21/02/2025).
In conclusione, sulla scorta dei principi sopra richiamati, l’intervenuta abolitio criminis nei termini indicati, assume rilievo dirimente e preclusivo.
Si impone dunque l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per tale causa, con revoca delle statuizioni civili.
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P. Q. M.
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Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, revocando le statuizioni civili. O GLYPH Così deciso il 12/03/2025