Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35320 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35320 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 19/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Campobasso nei confronti di COGNOME NOME, nato a Campobasso il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 12/10/2023 della Corte d’appello di Campobasso visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12 ottobre 2023, la Corte d’appello di Campobasso ha riformato la sentenza del 21 marzo 2022, con la quale il Tribunale di Campobasso aveva condannato COGNOME NOME, in relazione al reato di cui all’art. 7, comma 2, del d.l. n. 4 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26
del 2019, per avere, in qualità di beneficiario del reddito di cittadinanza, percepito più mensilità del menzionato sussidio, e omesso di comunicare le informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o riduzione del beneficio stesso entro i termini stabiliti dalla legge: in particolare di comunicare il proprio stato di detenzione iniziato in data 11 agosto 2020, presso la casa circondariale di Isernia.
La Corte d’appello ha assolto l’imputato in applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello, chiedendone l’annullamento per violazione di legge, sul rilievo che la Corte territoriale, avendo riconosciuto la fondatezza dell’ipotesi accusatoria, ha applicato l’art. 131 bis cod. pen. fuori dai casi in esso previsti. Si è ritenuta insussistente la causa ostativa dell’abitualità al reato, di c al quarto comma della disposizione, consistente nella commissione di più reati della “stessa indole”, sul rilievo che il reato dedotto in giudizio non è della stessa indole dei precedenti, trattandosi di un reato di falso, mentre i precedenti, emergenti dal casellario dell’imputato, si riferiscono a più reati contro il patrimonio. Lamenta il pubblico ministero che la preclusione deve operare anche nel caso in esame, in quanto, ai fini della sussistenza dell’abitualità, è sufficiente che dal certificato penale dell’imputato risultino più reati della stessa indole, mentre non rileverebbe la circostanza che il reato concretamente dedotto in giudizio sia, invece, di indole diversa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
1.1. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo chiarito la portata della causa ostativa della commissione di più reati della stessa indole, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., rispetto all’applicazione del regime della speciale tenuità del fatto affermando che «il tenore letterale lascia intendere che l’abitualità si concretizza in presenza di una pluralità di illeciti della stessa indole (dunque almeno due) diversi da quello oggetto del procedimento nel quale si pone la questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis» (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266591). Il regime di favore previsto dalla disposizione codicistica, coerentemente con tali principi, non opera se in passato l’imputato ha commesso almeno due reati della stessa indole, anche se il reato concretamente dedotto in giudizio risulta di indole diversa e autonoma rispetto ai precedenti. Se ne ricava che il concetto di abitualità ostativa non va inteso come il riferimento ad un comportamento abituale che abbraccia anche il reato attualmente dedotto in
giudizio, sviluppandosi “nel presente”; è sufficiente invece che quel contegno abituale, consistito nella commissione di più reati della stessa indole, sia stato tenuto “nel passato”, anche se il reato dedotto in giudizio non presenta nulla in comune quei precedenti, e, anzi, appare del tutto autonomo rispetto ad essi. La disposizione, sotto questo profilo, inibisce l’applicazione della causa di non punibilità, anche se il fatto commesso è tenue, a causa di autonome pregresse manifestazioni di pericolosità dell’imputato, che da sole sono sufficienti a rendere inopportuna la concessione del beneficio.
Va anche richiamata una considerazione delle più recenti Sezioni Unite, occupatesi dell’applicabilità dell’art. 131-bis al reato continuato, secondo cui la nozione di reati della stessa indole fa riferimento a un duplice ambito di valutazione, sia oggettivo (“la natura dei fatti”) che soggettivo (“i motivi che determinarono”), da cui desumere la ricorrenza di quei “caratteri fondamentali comuni” che, ai sensi dell’art. 101 cod. pen., qualificano l’indole criminale di un soggetto (Sez. U, n. 18891 del 27/01/2022, Rv. 283064).
1.2. Da questo punto di vista, è d’interesse la sentenza delle Sezioni Unite, pronunciatesi sulla rilevanza delle false dichiarazioni tese ad ottenere il reddito di cittadinanza, in cui si è affermato che il reato di cui all’art. 7 del d.l. n. 4 del 2 è reato di pericolo concreto a consumazione anticipata posto a presidio delle risorse pubbliche economiche destinate a finanziare il reddito di cittadinanza, impedendone la dispersione a favore di chi non ne ha (o non ne ha più) diritto o ne ha diritto in misura minore. È reato posto a tutela del patrimonio dell’ente erogante e, in particolare, delle specifiche (e limitate) risorse destinat all’erogazione del beneficio ed al perseguimento del fine pubblico ad esso sotteso. Analoghe considerazioni valgono inoltre, mutatis mutandis, anche per il secondo comma della disposizione in quanto il minimo comune denominatore di entrambe le fattispecie penali, quella di cui al primo comma e quella di cui al secondo comma dell’art. 7, è costituito dal patrimonio (o dalle risorse economiche) dell’ente e dal fine che con il suo utilizzo si intende perseguire. Il patrimonio non rileva come bene di proprietà, ma come strumento per il raggiungimento di determinati obiettivi; non rileva l’aspetto statico, bensì quello dinamico: sullo sfondo s’intravede l’interesse pubblico leso (anche solo potenzialmente) dall’azione di chi sottrae risorse per perseguirlo.» (Sez. U, n. 49686 del 13/07/2023, Rv. 285435 01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Campobasso ha riconosciuto la sussistenza del reato di cui all’art. 7, comma 2, del d.l. n. 4 del 2019, e ha applicato l’art. 131-bis, cod. pen., avendo ritenuto tenue il falso presentato per ottenere il reddito di cittadinanza, e irrilevante invece, ai fini della configurabilità della cau
ostativa dell’abitualità, la commissione di precedenti reati contro il patrimonio, in quanto ritenuti di indole diversa da quello attualmente dedotto in giudizio. Così argomentando, la Corte territoriale non ha applicato i principi indicati dalle Sezioni Unite secondo cui è irrilevante che il reato dedotto in giudizio sia espressione attuale di un’abitualità al reato, essendo sufficiente invece soltanto che il contegno abituale vi sia stato “in passato”. Inoltre, anche prescindendo da tale assorbente considerazione, deve rilevarsi che, essendo il delitto di cui all’art. 7, comma 2, un reato di natura anche patrimoniale, esso si pone perfettamente in linea con i precedenti, anch’essi di natura patrimoniale, dell’imputato; mentre, dal punto di vista soggettivo, i motivi dell’imputato, che ha commesso una serie di reati contro il patrimonio, appaiono ragionevolmente i medesimi. Si tratta, perciò, di reati che, che ai fini che qui interessano, possono essere considerati della stessa indole, e mostrano un’abitualità a delinquere ancora viva “nel presente”.
Da quanto precede consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio alla Corte di appello di Salerno, perché procede a nuovo giudizio, tenendo conto dei principi di diritto sopra espressi.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Salerno.
Così deciso il 19/06/2024