Abitualità del Reato: Quando la Tenuità del Fatto Non Si Applica
La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale, rappresenta un importante strumento di deflazione processuale. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e incontra limiti precisi, tra cui l’abitualità reato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza questo principio, dichiarando inammissibile il ricorso di un imputato proprio a causa della sua condotta recidiva. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.
Il Caso: Ricorso in Cassazione per l’Applicazione della Tenuità del Fatto
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello. Il ricorrente lamentava la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, sostenendo che la sua condotta rientrasse nei limiti previsti dalla norma. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva già respinto tale richiesta, evidenziando un elemento cruciale: la presenza di numerose condanne precedenti a carico dell’imputato per reati della stessa natura.
L’Abitualità del Reato come Ostacolo al Beneficio
Il fulcro della questione giuridica risiede nel concetto di “abitualità ostativa”, disciplinato dal comma 4 dell’art. 131-bis c.p. Questa disposizione esclude l’applicazione del beneficio della tenuità del fatto quando l’autore del reato è un delinquente abituale, professionale o per tendenza, o quando ha commesso più reati della stessa indole. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva accertato che il ricorrente era stato condannato ben tre volte per lo stesso titolo di reato, ovvero la violazione dell’art. 76 del D.Lgs. 159/2011. Questa pluralità di precedenti specifici integrava pienamente la nozione di abitualità reato, rendendo di fatto impossibile l’applicazione della norma invocata.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, nell’esaminare il ricorso, ha rilevato come le censure mosse dal ricorrente fossero manifestamente infondate e, soprattutto, aspecifiche. Invece di contestare nel merito le ragioni addotte dalla Corte d’Appello riguardo all’abitualità della condotta, il ricorso si limitava a riproporre genericamente la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p. I giudici di legittimità hanno sottolineato che un ricorso, per essere ammissibile, deve confrontarsi specificamente con le argomentazioni della sentenza impugnata, confutandole punto per punto. La mancata contestazione della valutazione sull’abitualità reato ha reso il ricorso privo di fondamento logico e giuridico, conducendo inevitabilmente a una dichiarazione di inammissibilità. Come conseguenza, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma alla Cassa delle ammende.
Le Conclusioni: Criteri Rigorosi per la Non Punibilità
Questa ordinanza conferma l’orientamento rigoroso della giurisprudenza in materia di tenuità del fatto. Il beneficio non può essere concesso a chi dimostra una propensione a delinquere, manifestata attraverso la commissione ripetuta di illeciti. La valutazione dell’abitualità reato non è un mero esercizio formale, ma un’analisi sostanziale della biografia penale del soggetto, volta a verificare se il singolo episodio delittuoso sia espressione di una scelta occasionale o, al contrario, di uno stile di vita antigiuridico. Per la difesa, ciò significa che l’istanza di applicazione dell’art. 131-bis c.p. deve essere supportata da argomentazioni solide, capaci di dimostrare l’assenza di elementi ostativi come, appunto, la condotta abituale.
Quando la ripetizione di reati impedisce di ottenere la non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Secondo la Corte, la non punibilità è preclusa quando emerge una “abitualità ostativa”, come nel caso di più condanne precedenti per reati della stessa indole che dimostrano una propensione a delinquere.
Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso è dichiarato inammissibile se le censure sono manifestamente infondate e aspecifiche, cioè se non si confrontano direttamente e criticamente con le motivazioni della sentenza impugnata.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
L’inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30951 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30951 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 06/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NOLA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/12/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
y
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe; esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
ritenuto che il ricorso è inammissibile perché le censure prospettate, dirette a contestare mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art.131 bis cp / sono manifestamente infondate e aspecifiche, perché non si confrontano con le considerazioni rese dalla sentenza impugnata nel rimarcare la presenza della abitualità ostativa ex comma 4 della citata disposizione in ragione delle più condanne per reati della stessa indole comminate al ricorrente ( segnatamente tre per lo stesso titolo di reato: violazione dell’ad 76 dlgs. N. 159 del 2011)
rilevato che all’inammissibilità del ricorso conseguono le pronunce di cui all’art. 616 c proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 6 Giugno 2025.