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Abitualità della condotta e art. 131-bis: i limiti

Un imputato per spaccio di stupefacenti ha presentato ricorso in Cassazione chiedendo l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Corte ha respinto il ricorso, stabilendo che i precedenti reati della stessa indole, anche se uniti dal vincolo della continuazione, configurano l’abitualità della condotta, un elemento che osta all’applicazione del beneficio previsto dall’art. 131-bis del codice penale.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Abitualità della Condotta: Quando i Precedenti Escludono la Tenuità del Fatto

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi sui confini applicativi dell’art. 131-bis del codice penale, la norma sulla non punibilità per particolare tenuità del fatto. Il caso in esame offre un’importante chiave di lettura sul concetto di abitualità della condotta, chiarendo come la presenza di precedenti penali specifici possa precludere l’accesso a questo beneficio, anche quando tali reati sono stati unificati sotto il vincolo della continuazione.

I fatti di causa

Un soggetto, condannato per reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti, ha impugnato la decisione della Corte d’Appello, la quale aveva confermato la sua colpevolezza e negato l’applicazione della causa di non punibilità. Il ricorrente sosteneva che il giudice di merito avesse errato nel valutare la sua situazione, in particolare non riconoscendo la particolare tenuità del fatto contestatogli.

I motivi del ricorso: una difesa a due punte

La difesa si basava su due argomenti principali:

1. Errata valutazione dell’abitualità della condotta: Secondo il ricorrente, i giudici avevano erroneamente considerato i suoi precedenti penali per reati analoghi come indice di un comportamento abituale. Egli sottolineava che tali precedenti erano stati uniti dal cosiddetto “vincolo della continuazione” (art. 81 c.p.), un istituto che, ai fini della pena, li considera come un unico reato. Di conseguenza, non avrebbero dovuto essere valutati singolarmente per dimostrare una sua inclinazione a delinquere.
2. Diniego immotivato delle attenuanti generiche: Il secondo motivo lamentava che il diniego delle circostanze attenuanti generiche fosse basato su una motivazione generica e stereotipata, una mera “clausola di stile”, senza un’analisi concreta della sua posizione.

L’analisi della Corte e la definizione di abitualità della condotta

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una motivazione dettagliata e rigorosa che consolida l’orientamento giurisprudenziale in materia. I giudici hanno chiarito che il ricorso si limitava a riproporre le stesse questioni già esaminate e correttamente respinte dalla Corte d’Appello, senza una critica specifica alla decisione impugnata.

Entrando nel merito della questione centrale, la Corte ha smontato la tesi difensiva sull’ abitualità della condotta. Ha stabilito che l’unificazione dei reati precedenti sotto il vincolo della continuazione ha effetti solo sul trattamento sanzionatorio (cioè sulla determinazione della pena finale), ma non cancella la realtà storica dei singoli episodi delittuosi. Ai fini della valutazione richiesta dall’art. 131-bis, questi fatti, sebbene unificati quoad poenam, mantengono la loro autonomia e dimostrano una reiterazione del comportamento illecito. La presenza di almeno due reati della stessa indole, commessi anche in momenti diversi, è sufficiente a integrare il presupposto ostativo del comportamento abituale.

La gravità del fatto come ulteriore elemento ostativo

La Cassazione ha inoltre evidenziato un altro aspetto cruciale. Al di là della questione dell’abitualità, la Corte d’Appello aveva correttamente valutato che il fatto in sé non potesse essere considerato di “particolare tenuità”. La detenzione di più dosi singole di cocaina, pronte per essere immesse sul mercato, è stata ritenuta una condotta di per sé grave, tenendo conto delle modalità dell’azione e della natura della sostanza. Questo giudizio, basato sui criteri dell’art. 133 c.p., è di per sé sufficiente a escludere l’applicazione del beneficio, a prescindere dai precedenti dell’imputato.

Le motivazioni

La decisione della Corte si fonda su un principio di diritto consolidato: l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto è una misura eccezionale, destinata a fatti offensivi che si collocano al livello più basso della scala di gravità. La sua applicazione è preclusa non solo quando il fatto non è oggettivamente tenue, ma anche quando l’autore manifesta una propensione al crimine. L’abitualità della condotta è proprio l’indicatore di questa propensione. I giudici hanno ribadito che la finzione giuridica del reato continuato non può mascherare la realtà di una carriera criminale, anche se circoscritta. Pertanto, la valutazione sulla personalità e sulla condotta dell’imputato deve basarsi sui fatti storici, e la commissione di più reati della stessa indole è una prova inequivocabile di un comportamento non occasionale.

Le conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione rafforza un importante paletto nell’applicazione dell’art. 131-bis c.p. La sentenza chiarisce che il beneficio della non punibilità è riservato a chi commette un illecito in modo isolato e di minima entità. Chi ha una storia di reati simili, anche se questi sono stati unificati ai fini della pena, dimostra un’inclinazione a delinquere che il legislatore ha inteso escludere da questo trattamento di favore. La decisione sottolinea quindi la necessità di una valutazione complessiva che tenga conto sia della gravità oggettiva del singolo reato, sia della storia criminale del soggetto, per garantire che la norma raggiunga il suo scopo senza trasformarsi in un’ingiustificata forma di impunità per delinquenti seriali.

Più reati uniti dal “vincolo della continuazione” possono comunque integrare l’abitualità della condotta?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’unificazione dei reati ai fini della pena (art. 81 c.p.) non cancella il dato storico della loro commissione. Pertanto, più reati della stessa indole, anche se considerati un reato unico per la sanzione, dimostrano una reiterazione del comportamento che configura l’abitualità e impedisce l’applicazione dell’art. 131-bis c.p.

Cosa si intende per “abitualità della condotta” ai fini dell’art. 131-bis c.p.?
Si intende una situazione in cui l’autore del reato ha commesso in precedenza almeno altri due reati della stessa indole. Questa ripetizione di comportamenti illeciti simili dimostra una tendenza a delinquere e non un episodio occasionale, condizione che osta alla concessione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

La valutazione sulla “particolare tenuità del fatto” si basa solo sulla condotta abituale?
No. La valutazione è duplice. In primo luogo, il giudice deve verificare se il comportamento sia abituale; in caso affermativo, il beneficio è escluso a prescindere. In secondo luogo, anche se il comportamento non è abituale, il giudice deve comunque valutare la gravità concreta del fatto secondo i criteri dell’art. 133 c.p. (modalità della condotta, entità del danno, etc.). Se il fatto non è ritenuto di particolare tenuità, il beneficio viene negato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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