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Abitualità del reato: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per evasione, che chiedeva l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La decisione si fonda sulla cosiddetta ‘abitualità del reato’, dimostrata dalle due precedenti condanne a carico del ricorrente. Secondo la Corte, questa condizione impedisce di accedere al beneficio e rende il ricorso una mera ripetizione di argomentazioni già respinte, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Abitualità del Reato: la Cassazione Conferma l’Inammissibilità del Ricorso

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso che mette in luce un principio fondamentale del diritto penale: l’abitualità del reato come causa che preclude l’accesso a specifici benefici di legge. Questa decisione sottolinea come la ripetizione di condotte illecite possa avere conseguenze significative non solo sulla pena, ma anche sull’ammissibilità dei ricorsi presentati in giudizio. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni a cui sono giunti i giudici di legittimità.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto avverso una sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato per il reato di evasione. La difesa del ricorrente si basava principalmente sulla richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’articolo 131 bis del Codice Penale. Tale norma consente di escludere la punibilità per reati che, considerate le modalità della condotta e l’esiguità del danno, risultano di minima offensività.

Tuttavia, i giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, avevano già respinto questa richiesta, evidenziando un elemento cruciale: il ricorrente aveva già riportato due condanne precedenti, sempre per il reato di evasione.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’Abitualità del Reato

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la linea dei giudici dei precedenti gradi di giudizio. La decisione si articola su due pilastri fondamentali.

L’inammissibilità del Ricorso

In primo luogo, i giudici hanno rilevato che il ricorso non presentava nuovi e validi argomenti giuridici, ma si limitava a riproporre le stesse censure già esaminate e motivatamente respinte dalla Corte d’Appello. Questo comportamento processuale, che consiste nel replicare doglianze già disattese senza introdurre profili di illegittimità concreti della decisione impugnata, porta inevitabilmente a una dichiarazione di inammissibilità.

Il Ruolo dell’Abitualità Ostativa

Il secondo e più importante punto riguarda il concetto di abitualità del reato. La Corte ha ribadito che l’articolo 131 bis c.p. non può essere applicato a chi manifesta una tendenza a delinquere. Le due condanne precedenti per lo stesso reato (evasione) configurano quella che tecnicamente viene definita “abitualità ostativa”: una condizione soggettiva dell’imputato che osta, cioè impedisce, la concessione del beneficio della particolare tenuità del fatto. La ratio della norma è infatti quella di applicare un trattamento di favore solo a chi commette un illecito in modo del tutto occasionale.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte sono chiare e giuridicamente ineccepibili. Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché le argomentazioni difensive erano una mera replica di questioni già adeguatamente vagliate e risolte dai giudici di merito. Questi ultimi avevano fornito una spiegazione puntuale, corretta e logicamente coerente sul motivo per cui l’art. 131 bis c.p. non fosse applicabile. La presenza di due condanne pregresse per evasione è stata correttamente interpretata come un indicatore di abitualità nel commettere reati, un fattore che per legge esclude la possibilità di riconoscere la particolare tenuità del fatto. Di conseguenza, l’inammissibilità del ricorso ha comportato l’applicazione dell’articolo 616 del codice di procedura penale, che prevede la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza della Cassazione offre un importante monito: la presentazione di un ricorso deve basarsi su vizi concreti e argomentazioni giuridiche solide, non sulla semplice riproposizione di tesi già respinte. Inoltre, conferma con fermezza che istituti come la non punibilità per particolare tenuità del fatto sono riservati a situazioni di criminalità sporadica e non possono essere invocati da soggetti che dimostrano, attraverso i loro precedenti, una persistente inclinazione a violare la legge. L’abitualità del reato si configura, quindi, come un confine invalicabile per l’accesso a determinati benefici, riaffermando il principio che il trattamento sanzionatorio deve tenere conto anche della storia criminale del reo.

Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando, tra le altre cose, si limita a replicare argomenti di critica già esaminati e correttamente respinti dai giudici dei gradi di giudizio precedenti, senza sollevare valide questioni di legittimità.

Cosa si intende per ‘abitualità del reato’ e perché impedisce l’applicazione dell’art. 131 bis c.p.?
Per ‘abitualità del reato’ si intende la condizione di chi ha commesso più reati, come dimostrato da precedenti condanne. Questa condizione è ‘ostativa’, cioè impedisce l’applicazione della non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.) perché tale beneficio è riservato solo a chi commette un illecito in modo occasionale.

Quali sono le conseguenze economiche per chi presenta un ricorso inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro, in questo caso fissata in tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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