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Abitualità del reato: Cassazione nega la tenuità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per un reato di lieve entità in materia di stupefacenti. La decisione si fonda sull’abitualità del reato, desunta dai precedenti penali specifici dell’imputato, che osta al riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto e alla concessione di attenuanti. La Corte ha ritenuto le argomentazioni della Corte d’Appello logiche e coerenti, confermando l’inammissibilità del ricorso.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Abitualità del reato: quando i precedenti escludono la tenuità del fatto

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sul concetto di abitualità del reato e sulle sue conseguenze pratiche. Quando un imputato ha precedenti penali specifici, le porte di alcuni benefici, come la non punibilità per particolare tenuità del fatto, possono chiudersi ermeticamente. Analizziamo come i giudici di legittimità hanno affrontato un caso di spaccio di lieve entità, confermando le decisioni dei giudici di merito.

I fatti di causa

Il caso trae origine dalla condanna di un soggetto a dieci mesi di reclusione e 2.000 euro di multa, inflitta dal Tribunale e confermata dalla Corte d’Appello di Palermo. L’accusa era quella prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990, ovvero la cessione di sostanze stupefacenti di lieve entità. L’imputato, non rassegnandosi alla condanna, ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a diversi motivi per cercare di ribaltare la decisione.

I motivi del ricorso e l’abitualità del reato

La difesa dell’imputato ha basato il proprio ricorso su quattro punti principali:

1. Mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto: Si chiedeva l’applicazione dell’art. 131-bis del codice penale, che esclude la punibilità per fatti di minima offensività.
2. Mancata esclusione della recidiva: La difesa contestava il riconoscimento della recidiva, che comporta un trattamento sanzionatorio più severo.
3. Mancata concessione delle attenuanti generiche: Si lamentava il diniego delle circostanze che avrebbero potuto portare a una riduzione della pena.
4. Eccessività della pena: Si riteneva la sanzione sproporzionata rispetto alla gravità del fatto.

Tutti questi motivi, tuttavia, si sono scontrati con un ostacolo insormontabile: l’abitualità del reato dimostrata dai precedenti dell’imputato.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile. I giudici hanno ritenuto che la Corte d’Appello avesse motivato in modo logico e giuridicamente corretto su ogni punto sollevato dalla difesa.

Il fulcro della decisione risiede proprio nella valutazione della personalità dell’imputato, emersa dalla sua storia criminale. La Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato come l’imputato fosse gravato da due precedenti specifici per reati della stessa indole. Questa circostanza è stata ritenuta decisiva per qualificare la condotta come abituale, impedendo così l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, che richiede, tra i suoi presupposti, la non abitualità del comportamento.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha spiegato che la valutazione della Corte d’Appello era esente da vizi logici. La condotta contestata, secondo i giudici di merito, era sintomatica di una maggiore pericolosità sociale dell’imputato. L’omogeneità dei reati commessi, con l’ultima condanna divenuta irrevocabile solo dieci mesi prima del nuovo episodio, indicava una persistenza nel delinquere.

Anche riguardo alle attenuanti generiche e alla congruità della pena, la decisione è stata supportata da elementi fattuali solidi: la pluralità delle cessioni osservate dalla Polizia Giudiziaria (quattro in circa due ore), la non occasionalità della condotta e, ancora una volta, la personalità negativa dell’imputato. La Cassazione ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare il merito delle valutazioni fatte dai giudici dei precedenti gradi di giudizio, ma solo di verificare la correttezza logica e giuridica del loro ragionamento. Poiché le motivazioni della sentenza impugnata erano razionali e ben argomentate, il ricorso non poteva che essere respinto.

Le conclusioni

Questa ordinanza conferma un principio fondamentale del diritto penale: i precedenti penali non sono un mero dettaglio anagrafico, ma un elemento cruciale nella valutazione della personalità del reo. L’abitualità del reato, specialmente quando si tratta di reati della stessa indole, può precludere l’accesso a benefici di legge pensati per chi commette un’infrazione isolata e di minima gravità. La decisione sottolinea come la pericolosità sociale, desunta dalla reiterazione delle condotte illecite, sia un fattore determinante per giustificare un trattamento sanzionatorio più rigoroso e negare l’applicazione di istituti premiali.

Quando può essere esclusa l’applicazione della causa di non punibilità per ‘particolare tenuità del fatto’?
Secondo la sentenza, l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. è esclusa in presenza di un comportamento abituale. Nel caso di specie, i due precedenti specifici dell’imputato per reati della stessa indole sono stati considerati sufficienti a dimostrare l’abitualità della condotta illecita, impedendo il riconoscimento del beneficio.

Perché i precedenti penali hanno inciso anche sulla valutazione della pena?
I precedenti penali, insieme alla pluralità delle cessioni di droga osservate (4 in 2 ore) e alla non occasionalità del comportamento, sono stati usati per delineare una ‘personalità negativa’ dell’imputato. Questo giudizio complessivo ha portato la Corte a ritenere congrua la pena stabilita in primo grado e a negare la concessione delle attenuanti generiche.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che il ricorso non venga esaminato nel merito. A norma dell’art. 616 del codice di procedura penale, l’imputato che ha proposto il ricorso viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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