Precedenti Penali e Tenuità del Fatto: la Cassazione ribadisce i limiti
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale del diritto penale: l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, disciplinata dall’art. 131-bis c.p. In particolare, la Suprema Corte si sofferma sul concetto di abitualità del comportamento come elemento ostativo al riconoscimento di tale beneficio, fornendo chiarimenti importanti per la pratica forense e per i cittadini.
La Vicenda Processuale
Il caso trae origine dalla condanna di un individuo, emessa dal Tribunale di Bergamo e confermata dalla Corte d’Appello di Brescia, per diversi episodi di falso ai sensi dell’art. 483 del codice penale e dell’art. 76 del D.P.R. 445/2000. L’imputato, non rassegnato alla condanna, ha proposto ricorso per cassazione, basando la sua difesa su due motivi principali: la mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p. e l’eccessiva entità della pena inflitta.
L’Abitualità del Comportamento come Ostacolo al Beneficio
Il primo motivo di ricorso si è scontrato con un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. La difesa sosteneva che il reato contestato fosse di lieve entità, meritando così l’applicazione della causa di non punibilità. La Cassazione, tuttavia, ha dichiarato il motivo manifestamente infondato, richiamando un principio cardine: l’abitualità del comportamento dell’imputato.
La Corte ha fatto riferimento alla pronuncia delle Sezioni Unite (sentenza Tushaj, n. 13681/2016), secondo cui il requisito ostativo dell’abitualità sussiste quando l’imputato ha commesso almeno due ulteriori illeciti oltre a quello per cui si procede. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato i numerosi precedenti penali a carico del ricorrente, elemento che, di per sé, integra la nozione di comportamento abituale e preclude l’accesso al beneficio della particolare tenuità del fatto.
La Discrezionalità del Giudice di Merito sulla Pena
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo all’eccessività della pena, ha avuto esito negativo. La Suprema Corte ha ricordato che la quantificazione della pena è un’attività che rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Tale valutazione non è censurabile in sede di legittimità, a meno che la motivazione sia assente, palesemente illogica o contraddittoria.
Nel caso specifico, i giudici di merito avevano adeguatamente giustificato la loro decisione, facendo riferimento a elementi concreti ritenuti decisivi, come previsto dagli artt. 132 e 133 del codice penale. Pertanto, il tentativo del ricorrente di ottenere una ‘rivalutazione’ della pena in Cassazione è stato dichiarato inammissibile.
Le Motivazioni
La decisione della Cassazione si fonda su due pilastri fondamentali del nostro ordinamento processuale. In primo luogo, l’istituto della particolare tenuità del fatto è stato concepito per deflazionare il sistema giudiziario, evitando la sanzione penale per fatti oggettivamente e soggettivamente marginali. Tuttavia, il legislatore ha posto dei limiti precisi, tra cui l’abitualità del comportamento, per evitare che autori di reati seriali, seppur di modesta entità, possano sistematicamente eludere la giustizia. La sentenza delle Sezioni Unite citata ha cristallizzato questo principio, offrendo un criterio quantitativo (almeno due precedenti illeciti) per definire l’abitualità. La Corte, applicando questo orientamento, non fa altro che confermare la ratio della norma: il beneficio è per chi commette un’infrazione occasionale, non per chi dimostra una propensione a delinquere.
In secondo luogo, la Corte ribadisce la propria funzione di giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è quello di stabilire se una pena sia ‘giusta’ o ‘sbagliata’ in astratto, ma di verificare che il giudice che l’ha irrogata abbia seguito le regole procedurali e abbia fornito una motivazione logica e coerente con la legge. Rimettere in discussione l’entità della pena senza un vizio di motivazione evidente significherebbe trasformare la Cassazione in un terzo grado di giudizio, snaturando la sua funzione.
Le Conclusioni
L’ordinanza conferma che la presenza di un curriculum criminale significativo è un ostacolo insormontabile per l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. La nozione di abitualità del comportamento non è una valutazione astratta, ma si basa su dati concreti come i precedenti penali. Inoltre, viene riaffermato il principio che la determinazione della sanzione penale spetta al giudice di merito, il cui potere discrezionale, se esercitato con una motivazione congrua, non può essere sindacato in Cassazione. La decisione, pertanto, rappresenta un monito importante: la storia criminale di un individuo ha un peso determinante nel giudizio e può precludere l’accesso a importanti benefici di legge.
Quando la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) non può essere applicata?
Secondo la Corte, non può essere applicata quando il comportamento dell’imputato è considerato ‘abituale’, una condizione che osta al riconoscimento del beneficio.
Cosa si intende per “abitualità del comportamento” secondo la giurisprudenza citata?
Si ha ‘abitualità del comportamento’ quando l’imputato ha commesso almeno due ulteriori illeciti oltre a quello per cui si sta procedendo, come dimostrato nel caso di specie dai numerosi precedenti penali a suo carico.
È possibile contestare in Cassazione l’entità della pena decisa dal giudice?
No, la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Il ricorso in Cassazione su questo punto è inammissibile se il giudice ha fornito una motivazione adeguata e logica per la sua decisione, come avvenuto in questo caso.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20896 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20896 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a COGNOME DI LOMBARDIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/10/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia, c ha confermato la pronuncia con la quale il Tribunale di Bergamo l’aveva condannato per più episodi falso (artt. 483 c.p. e 76 D.p.r. 445 del 2000);
che il primo motivo di ricorso – con il quale il ricorrente lamenta la mancata applicaz dell’art. 131-bis cod. pen. – è manifestamente infondato, poiché prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con la giurisprudenza di legittimità; che, contrariamente a quanto sostien la difesa, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, ricorre il requisito ost dell’abitualità del comportamento laddove l’imputato abbia commesso almeno due ulteriori illecit oltre a quello per cui si procede (Sez. U n. 13681 del 25/02/2016, COGNOME, Rv. 266591); che, nel caso in esame, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tale orientament evidenziando i numerosi precedenti penali a carico dell’imputato;
che il secondo motivo di ricorso – con il quale il ricorrente lamenta l’eccessiva entità della irrogata – non è deducibile con il ricorso per cassazione ed è manifestamente infondato perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, la graduazione della p rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che l’esercita in aderenza ai principi enu negli artt. 132 e 133 cod. pen.; che, nel caso in esame, l’onere argomentativo del giudice è sta adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi rilevanti (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata);
che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali della somma di 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, 1’8 maggio 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente