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Abitualità del comportamento: quando esclude il 131-bis

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per falso, il quale chiedeva l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Corte ha stabilito che i numerosi precedenti penali a carico dell’imputato integrano il requisito dell’abitualità del comportamento, ostativo al riconoscimento del beneficio previsto dall’art. 131-bis c.p. È stato inoltre ribadito che la valutazione sull’entità della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Precedenti Penali e Tenuità del Fatto: la Cassazione ribadisce i limiti

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale del diritto penale: l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, disciplinata dall’art. 131-bis c.p. In particolare, la Suprema Corte si sofferma sul concetto di abitualità del comportamento come elemento ostativo al riconoscimento di tale beneficio, fornendo chiarimenti importanti per la pratica forense e per i cittadini.

La Vicenda Processuale

Il caso trae origine dalla condanna di un individuo, emessa dal Tribunale di Bergamo e confermata dalla Corte d’Appello di Brescia, per diversi episodi di falso ai sensi dell’art. 483 del codice penale e dell’art. 76 del D.P.R. 445/2000. L’imputato, non rassegnato alla condanna, ha proposto ricorso per cassazione, basando la sua difesa su due motivi principali: la mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p. e l’eccessiva entità della pena inflitta.

L’Abitualità del Comportamento come Ostacolo al Beneficio

Il primo motivo di ricorso si è scontrato con un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. La difesa sosteneva che il reato contestato fosse di lieve entità, meritando così l’applicazione della causa di non punibilità. La Cassazione, tuttavia, ha dichiarato il motivo manifestamente infondato, richiamando un principio cardine: l’abitualità del comportamento dell’imputato.

La Corte ha fatto riferimento alla pronuncia delle Sezioni Unite (sentenza Tushaj, n. 13681/2016), secondo cui il requisito ostativo dell’abitualità sussiste quando l’imputato ha commesso almeno due ulteriori illeciti oltre a quello per cui si procede. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato i numerosi precedenti penali a carico del ricorrente, elemento che, di per sé, integra la nozione di comportamento abituale e preclude l’accesso al beneficio della particolare tenuità del fatto.

La Discrezionalità del Giudice di Merito sulla Pena

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo all’eccessività della pena, ha avuto esito negativo. La Suprema Corte ha ricordato che la quantificazione della pena è un’attività che rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Tale valutazione non è censurabile in sede di legittimità, a meno che la motivazione sia assente, palesemente illogica o contraddittoria.

Nel caso specifico, i giudici di merito avevano adeguatamente giustificato la loro decisione, facendo riferimento a elementi concreti ritenuti decisivi, come previsto dagli artt. 132 e 133 del codice penale. Pertanto, il tentativo del ricorrente di ottenere una ‘rivalutazione’ della pena in Cassazione è stato dichiarato inammissibile.

Le Motivazioni

La decisione della Cassazione si fonda su due pilastri fondamentali del nostro ordinamento processuale. In primo luogo, l’istituto della particolare tenuità del fatto è stato concepito per deflazionare il sistema giudiziario, evitando la sanzione penale per fatti oggettivamente e soggettivamente marginali. Tuttavia, il legislatore ha posto dei limiti precisi, tra cui l’abitualità del comportamento, per evitare che autori di reati seriali, seppur di modesta entità, possano sistematicamente eludere la giustizia. La sentenza delle Sezioni Unite citata ha cristallizzato questo principio, offrendo un criterio quantitativo (almeno due precedenti illeciti) per definire l’abitualità. La Corte, applicando questo orientamento, non fa altro che confermare la ratio della norma: il beneficio è per chi commette un’infrazione occasionale, non per chi dimostra una propensione a delinquere.

In secondo luogo, la Corte ribadisce la propria funzione di giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è quello di stabilire se una pena sia ‘giusta’ o ‘sbagliata’ in astratto, ma di verificare che il giudice che l’ha irrogata abbia seguito le regole procedurali e abbia fornito una motivazione logica e coerente con la legge. Rimettere in discussione l’entità della pena senza un vizio di motivazione evidente significherebbe trasformare la Cassazione in un terzo grado di giudizio, snaturando la sua funzione.

Le Conclusioni

L’ordinanza conferma che la presenza di un curriculum criminale significativo è un ostacolo insormontabile per l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. La nozione di abitualità del comportamento non è una valutazione astratta, ma si basa su dati concreti come i precedenti penali. Inoltre, viene riaffermato il principio che la determinazione della sanzione penale spetta al giudice di merito, il cui potere discrezionale, se esercitato con una motivazione congrua, non può essere sindacato in Cassazione. La decisione, pertanto, rappresenta un monito importante: la storia criminale di un individuo ha un peso determinante nel giudizio e può precludere l’accesso a importanti benefici di legge.

Quando la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) non può essere applicata?
Secondo la Corte, non può essere applicata quando il comportamento dell’imputato è considerato ‘abituale’, una condizione che osta al riconoscimento del beneficio.

Cosa si intende per “abitualità del comportamento” secondo la giurisprudenza citata?
Si ha ‘abitualità del comportamento’ quando l’imputato ha commesso almeno due ulteriori illeciti oltre a quello per cui si sta procedendo, come dimostrato nel caso di specie dai numerosi precedenti penali a suo carico.

È possibile contestare in Cassazione l’entità della pena decisa dal giudice?
No, la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Il ricorso in Cassazione su questo punto è inammissibile se il giudice ha fornito una motivazione adeguata e logica per la sua decisione, come avvenuto in questo caso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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