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Abitualità del comportamento: i limiti del giudice

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna per detenzione di stupefacenti, riformando una precedente assoluzione per particolare tenuità del fatto. La Corte di Appello aveva erroneamente ritenuto sussistente l’abitualità del comportamento basandosi su un precedente, dichiarazioni non verificate in contraddittorio e un successivo arresto di cui non si conosceva l’esito. La Cassazione ha ribadito che per escludere la tenuità del fatto, il giudice deve compiere un accertamento concreto sull’esistenza di almeno altri due reati, non potendosi basare su semplici segnalazioni o elementi non provati.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Abitualità del comportamento: quando esclude la tenuità del fatto?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 20123 del 2025, offre un’importante lezione sui limiti del potere del giudice nel valutare l’abitualità del comportamento ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, disciplinata dall’art. 131 bis del codice penale. La Suprema Corte ha annullato una condanna emessa in appello, chiarendo che non bastano semplici denunce o dichiarazioni non verificate per negare il beneficio.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un imputato inizialmente prosciolto in primo grado dal reato di detenzione e cessione di una modica quantità di hashish (1,70 grammi lordi detenuti, di cui 0,42 ceduti). Il Tribunale aveva applicato la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, considerando l’esigua quantità di sostanza, lo stato di incensuratezza formale e l’assenza di carichi pendenti.

La Corte di Appello, tuttavia, aveva ribaltato la decisione, condannando l’imputato. Per escludere la tenuità del fatto, la Corte territoriale aveva valorizzato tre elementi:
1. Un precedente specifico per un reato simile, definito con patteggiamento.
2. Le dichiarazioni rese dall’acquirente della sostanza, il quale aveva affermato di aver comprato droga dall’imputato anche in passato.
3. Un successivo arresto per un reato analogo, avvenuto circa venti giorni dopo i fatti in giudizio.

Sulla base di questi elementi, la Corte d’Appello aveva concluso per la non occasionalità e quindi per l’abitualità del comportamento dell’imputato, negando così l’applicazione dell’art. 131 bis c.p.

I criteri per l’accertamento dell’abitualità del comportamento

Il ricorso in Cassazione si è concentrato proprio sulla violazione di legge nell’accertamento dell’abitualità del comportamento. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, richiamando i principi consolidati, in particolare quelli espressi dalle Sezioni Unite nella sentenza Tushaj del 2016.

Secondo la Cassazione, il comportamento è abituale quando l’autore, oltre al reato per cui si procede, ha commesso almeno altri due illeciti della stessa indole, anche se commessi successivamente. Tuttavia, l’accertamento di questi ulteriori illeciti non può essere superficiale.

Il giudice non può limitarsi a constatare l’esistenza di denunce o ‘precedenti di polizia’ di cui si ignora l’esito. È necessario un accertamento incidentale, concreto e specifico, sulla reale commissione dei fatti reato, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova. Questo significa che il giudice deve verificare:

* Il contenuto degli atti e gli elementi fattuali che ne emergono.
* Le eventuali allegazioni difensive, comprese possibili cause di giustificazione o non punibilità.
* L’esito delle segnalazioni, come l’iscrizione nel registro delle notizie di reato e l’avvio di un procedimento penale.

In sintesi, serve una pluralità di reati la cui esistenza sia stata concretamente valutata dal giudice, non bastando la mera pendenza di procedimenti o semplici dichiarazioni accusatorie.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha ritenuto che la Corte di Appello non abbia fatto corretta applicazione di questi principi. In primo luogo, ha dato peso a dichiarazioni rese nella fase delle indagini, mai vagliate in un contraddittorio e delle quali non si sapeva se avessero generato un altro procedimento penale e con quale esito. In secondo luogo, ha fatto riferimento a un successivo arresto senza conoscerne lo sviluppo procedimentale.

Questi elementi, secondo la Suprema Corte, non sono sufficienti per fondare un giudizio di abitualità del comportamento. Essi rappresentano meri indizi o segnalazioni, non un accertamento concreto sulla commissione di ulteriori reati come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità. La decisione della Corte di Appello si basava quindi su una valutazione errata dei presupposti ostativi all’applicazione dell’art. 131 bis c.p.

Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio di garanzia fondamentale: la negazione di un beneficio come la non punibilità per tenuità del fatto deve basarsi su prove concrete e verificate, non su sospetti o procedimenti ancora in corso. Per considerare un comportamento ‘abituale’, il giudice deve accertare, seppur incidentalmente, la sussistenza di almeno altri due reati, garantendo il rispetto dei diritti della difesa. La mera esistenza di precedenti di polizia o di dichiarazioni non confermate in dibattimento non è, da sola, sufficiente a dimostrare quella serialità criminale che la norma intende contrastare.

Cosa si intende per ‘abitualità del comportamento’ ai fini dell’art. 131 bis c.p.?
Secondo la sentenza, il comportamento è abituale quando l’autore, oltre al reato in esame, ha commesso almeno altri due illeciti, anche successivamente. Questa pluralità di reati deve essere accertata concretamente dal giudice.

Un giudice può basarsi su denunce o dichiarazioni non verificate per escludere la tenuità del fatto?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che non è sufficiente la mera constatazione di denunce, ‘precedenti di polizia’ o dichiarazioni rese in fase di indagini e non vagliate in contraddittorio. È necessario un accertamento specifico sull’esistenza dei fatti-reato.

Cosa deve fare il giudice per accertare correttamente l’abitualità?
Il giudice deve compiere un accertamento incidentale per verificare l’esistenza di altri reati. Deve esaminare il contenuto degli atti, le prove disponibili, le eventuali difese dell’imputato e l’esito delle segnalazioni (ad esempio, se hanno portato a un procedimento penale), rispettando il contraddittorio tra le parti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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