Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 25959 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25959 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a GROTTAGLIE il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a TARANTO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/12/2023 del TRIB. LIBERTA’ di TARANTO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi uditi i difensori
L’avvocato COGNOME e l’avvocato COGNOME che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei due ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 22 dicembre 2023 il Tribunale del riesame di Taranto ha rigettato le richieste di riesame avanzate da NOME COGNOME e da NOME COGNOME contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in data 11 dicembre 2023 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto, quali indagati per i delitti di cui agli artt. 575, 56-575 cod.pen., 64 cod.pen. e 2, 4 e 7 legge n. 895/1967, commessi in data 07/12/2023 in danno di NOME COGNOME e NOME COGNOME, cagionando la morte di NOME COGNOME, raggiunto per errore da un colpo di pistola sparato da NOME COGNOME.
Il Tribunale, ricostruite tutte le indagini svolte, in primo luogo ha respint l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME in merito alla lite avvenuta con gli indagati e con il deceduto, trattandosi di dichiarazioni rese spontaneamente da un soggetto che, in quel momento, non era indagato né raggiunto da indizi di reità; egli si è, eventualmente, autoaccusato di avere partecipato ad una rissa con le predette persone, ma tale autoaccusa è comunque irrilevante, in quanto relativa ad un reato solo connesso o collegato con quelli contestati agli impugnanti, per cui le sue dichiarazioni sono sempre utilizzabili contra alios. Ha poi ritenuto tali dichiarazioni attendibili intrinsecamente e ampiamente riscontrate dalle testimonianze rese da terzi in merito alla rissa precedente il fatto onnicidiario, e dall’esito dei rilievi e de accertamenti tecnici sul luogo del fatto e sulle auto del COGNOME e del COGNOME, dall’autopsia sul corpo del deceduto e dalla pistola fatta ritrovare da NOME COGNOME. Sulla base dei predetti rilievi, poi, il Tribunale ha ritenuto accertato che lo sparo che ha colpito il deceduto, causa della sua morte, è avvenuto prima che questi venisse investito dall’auto del COGNOME, e proveniva da un soggetto posto alle sue spalle, contraddicendo così sia le dichiarazioni del COGNOME, secondo cui il decesso è stato causato dall’investimento, sia quelle di NOME COGNOME, secondo cui il padre si sarebbe sparato accidentalmente da solo, mentre teneva la pistola nella tasca sinistra dei pantaloni. Ha ribadito, poi, le conclusio dell’ordinanza cautelare circa il fatto che il colpo sia stato sparato da NOME COGNOME contro il COGNOME, con animus necandi, e che esso abbia invece colpito suo padre per un errore esecutivo. Ha perciò confermato la sussistenza dei reati contestati, di omicidio volontario in danno di NOME COGNOME, sia pure a seguito di aberratio ictus, che assorbe quello di tentato omicidio in danno del COGNOME, e di ricettazione e detenzione illecita della pistola, reati attribuibili ad entrambi indagati, respingendo in particolare la tesi difensiva della sussistenza di una aberratio delicti. Infine ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari relative al Corte di Cassazione – copia non ufficiale
pericolo di inquinamento probatorio e a quello di reiterazione dei reati, già valutate dal g.i.p., e necessaria la misura della custodia in carcere, essendo inidonea e insufficiente qualunque altra misura.
Avverso l’ordinanza hanno proposto separati ricorsi NOME COGNOME, per mezzo dei propri difensori AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, articolando sette motivi, e NOME COGNOME, per mezzo del proprio difensore AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO, articolando otto motivi.
Il ricorrente COGNOME, con il primo motivo di ricorso, deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, con violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen., quanto alla utilizzabilità delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME.
Il COGNOME, sentito dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria, affermò subito che tra lui, suo figlio e gli indagati si era scatenata una rissa, per cui verbale avrebbe dovuto essere interrotto in questo momento, e al dichiarante dovevano essere dati gli avvertimenti di cui all’art. 63 cod.proc.pen.. Non è vero, poi, che le sue dichiarazioni siano state spontanee, perché dal verbale risulta che egli ha risposto a specifiche domande degli inquirenti. L’atto di indagine, quindi, è consistito in una assunzione di informazioni ai sensi dell’art. 362 cod.proc.pen., che richiama gli artt. 197 cod.proc.pen. e 197-bis cod. proc.pen. La inutilizzabilità di tali dichiarazioni comporta l’insussistenza dei grav indizi di colpevolezza a carico del ricorrente, non essendovi altri elementi che sorreggano le accuse di omicidio e di detenzione e porto della pistola.
3.1. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, con violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen., quanto alla utilizzabilità delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME.
Egli venne sentito dopo il padre, quando nei suoi confronti vi erano già indizi di reità per il delitto di rissa, stanti le dichiarazioni rese dal padre. Le dichiarazioni, quindi, sono inutilizzabili ai sensi dell’art. 63, comma 2 cod.proc.pen., e conseguentemente viene meno anche questo elemento a sostegno della tesi accusatoria.
3.2. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, anche ritenendo utilizzabili le dichiarazioni rese da NOME COGNOME.
Il Tribunale ha ritenuto tali dichiarazioni riscontrate, ma i riscont riguardano solo la lite avvenuta presso l’associazione i “RAGIONE_SOCIALE” e non i fatti relativi all’omicidio, per i quali lo stesso dichiarante avev
interesse a fornire una versione difensiva. Il COGNOME è soggetto pregiudicato per reati molto gravi e non è credibile che, dopo la lite presso l’associazione, abbia cercato un chiarimento del tutto pacifico con i COGNOME, essendo credibile, piuttosto, che abbia voluto vendicarsi per l’affronto subito, tanto da arrivare ad investire NOME COGNOME, recandosi poi dagli inquirenti solo dopo avere elimiNOME le tracce più rilevanti dalla sua auto. I riscontri evidenziati d Tribunale attengono alla rissa intercorsa tra i vari soggetti presenti, ma non allo sparo e al suo autore, e sono pertanto irrilevanti con riferimento alla ricostruzione dell’omicidio.
Il COGNOME ha riferito di avere visto davanti a sé il giovane COGNOME che gli puntava contro una pistola, ma in quel momento NOME COGNOME era alle spalle del figlio, e quindi non può essere stato colpito, per errore, da un colpo sparato in quel frangente, cioè un colpo diretto a raggiungere il COGNOME. Inoltre NOME COGNOME è stato raggiunto da un proiettile sparato dall’alto verso il basso, entrato nel suo corpo all’altezza di cm. 75 dal piede, mentre il COGNOME, essendo seduto sulla sua auto, era sicuramente ad un’altezza da terra superiore: anche per tale motivo quel colpo non poteva essere diretto ad ucciderlo.
Allo stato non vi è neppure la prova che il colpo sia partito dalla pistola fatta ritrovare dal ricorrente: questi ha solo detto di avere sentito lo sparo, e che subito dopo suo padre estrasse l’arma dalla tasca dei pantaloni, ma mai ha detto di avere visto usare quell’arma. Anche la ricostruzione del Tribunale, secondo cui gli schizzi di sangue rinvenuti sul muretto sono effetto della pulsazione cardiaca del deceduto, che quindi si sarebbe trovato in quel punto al momento dello sparo, non è attendibile, essendo più probabile che siano effetto della proiezione del corpo investito dall’auto del COGNOME.
3.3. Con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen. per l’omessa motivazione sul diniego di derubricazione del delitto di omicidio in quello di cui agli artt. 83 e 586 cod.pen.
L’ordinanza respinge la tesi dell’aberratio delicti senza un’autonoma motivazione, ma solo riportandosi a quella dell’ordinanza genetica, che peraltro è perplessa, non avendo il g.i.p. escluso la possibilità di configurare in tal modo la condotta del ricorrente.
3.4. Con il quinto motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen. per l’illogicità della motivazione in merito alla sussistenza dell’art. 648 cod.pen., contestato per la ricettazione della pistola.
Il Tribunale non ha risposto all’obiezione difensiva che fa risalire la eventuale commissione del delitto in questione al 2013, epoca in cui il proprietario della pistola è deceduto. Il principio del favor rei, però, impone di ritenere che, in
mancanza di un accertamento circa il momento consumativo della ricettazione, questo deve essere collocato in prossimità di quello del delitto presupposto.
3.5. Con il sesto motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen. per l’omessa o illogica motivazione in merito alla sussistenza delle esigenze cautelari.
L’ordinanza afferma la sussistenza di tali esigenze solo in base ad elementi congetturali, senza effettuare un reale giudizio prognostico. In merito sia al pericolo di reiterazione dei reati, sia a quello di inquinamento probatorio, il Tribunale non ha tenuto conto del fatto che il ricorrente ha fatto ritrovare l’arma, così dimostrando di non avere intenzione né di ostacolare le indagini né di voler commettere ulteriori reati.
3.6. Con il settimo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen. per l’omessa o illogica motivazione in merito alla necessità della detenzione carceraria. La motivazione, sul punto, è apodittica e fondata solo sulla gravità dei reati contestati, e non valuta la possibilità di applicare un misura meno afflittiva.
Il ricorrente COGNOME con il primo e il secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, con violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen., quanto alla utilizzabilità delle dichiarazioni re da NOME COGNOME.e di quelle rese da NOME COGNOME, con gli stessi argomenti esposti dal ricorrente COGNOME nei primi due motivi del suo ricorso, ai quali si rimanda.
4.1. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza circa la propria responsabilità concorsuale.
L’ordinanza si concentra sulla posizione di NOME COGNOME, ed estende quelle valutazioni al COGNOME, senza motivare in modo autonomo la partecipazione di quest’ultimo al delitto di omicidio. L’accusa si basa sul presupposto che egli abbia organizzato, insieme ai COGNOME, un agguato a danno del COGNOME, sapendo anche che i primi possedevano una pistola e intendevano usarla, ma non vi è un’autonoma motivazione circa gli elementi da cui dedurre il suo concorso morale nel delitto di omicidio.
4.3. Con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen. per la contraddittorietà della motivazione circa la propria responsabilità concorsuale.
L’accusa si basa sulle dichiarazioni del COGNOME, ritenute affidabili benché siano riscontrate solo con riferimento alla lite avvenuta presso l’associazione i “RAGIONE_SOCIALE“, e non ai fatti relativi all’omicidio. Il Tribunale riti
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che questo sia avvenuto perché NOME COGNOME avrebbe sparato contro il COGNOME ma il colpo, per un errore esecutivo, avrebbe raggiunto suo padre, per cui avrebbe dovuto cercare elementi e riscontri a sostegno di questa ricostruzione, elementi che la motivazione, invece, omette o travisa.
E’ in primo luogo poco credibile che il COGNOME abbia potuto, in pochi attimi, vedere l’arma puntata contro di lui così bene da descriverla agli inquirenti con sufficiente precisione, dovendosi ritenere ciò possibile solo se la pistola fosse stata in suo possesso; è anche credibile che egli si fosse armato per recarsi ad un “chiarimento”, in cui probabilmente cercava vendetta per l’affronto subito.
Quanto alle modalità esecutive dell’omicidio, il Tribunale non valuta correttamente la dichiarazione del COGNOME, che ha detto di avere visto questa pistola mentre il giovane COGNOME gliela puntava contro: in quel momento NOME COGNOME era alle spalle di suo figlio, per cui se questi ha sparato contro il COGNOME non può in alcun modo avere colpito il proprio padre. In quel momento, peraltro, NOME COGNOME era stato già ferito dal colpo di arma da fuoco, perché stava già sanguinando, e pochi istanti dopo, investito dall’auto del COGNOME, lasciò su di essa rilevanti tracce ematiche, dovute al sanguinamento già in atto. L’omicidio di NOME COGNOME, pertanto, non è conseguente ad un presunto tentativo di omicidio in danno del COGNOME, e non è corretta la qualificazione di tale delitto come di un caso di aberratio ictus. Inoltre, allo stato non vi è neppure la prova che il colpo sia partito dalla pistola fatta ritrovare d NOME COGNOME: questi ha solo detto di avere sentito lo sparo, e che subito dopo suo padre estrasse l’arma dalla tasca dei pantaloni, ma non ha mai detto di avere visto usare quell’arma. E illogica anche la ricostruzione del Tribunale, secondo cui gli schizzi di sangue rinvenuti sul muretto sono effetto della pulsazione cardiaca del deceduto, che quindi si sarebbe trovato in quel punto al momento dello sparo, essendo più probabile che siano effetto della proiezione del corpo investito dall’auto del COGNOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.4. Con il quinto motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen. per l’omessa motivazione in merito al dolo onnicidiario o all’omessa derubricazione del delitto di omicidio in quello di cui agli artt. 83 586 cod.pen.
L’ordinanza respinge la tesi dell’aberratio delicti senza un’autonoma motivazione e riportandosi a quella dell’ordinanza genetica, nella quale, peraltro, il g.i.p. non ha escluso la possibilità di qualificare in tal modo il delitto. NOME COGNOME è stato ucciso da un colpo sparato dall’alto verso il basso, per cui è probabile che si trattasse di un colpo diretto solo ad intimorire, e non a tentare di uccidere o ferire qualcuno.
4.5. Con il sesto motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen. per l’illogicità della motivazione in merito alla sussistenza dell’art 648 cod.pen., in merito alla ricettazione della pistola.
Il ricorrente lamenta l’omesso rilievo della intervenuta prescrizione del delitto di ricettazione per le medesime ragioni sostenute dal coindagato COGNOME nel quarto motivo del suo ricorso, al quale si rimanda.
4.6. Con il settimo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen. per l’omessa o illogica motivazione in merito alla sussistenza delle esigenze cautelari.
L’ordinanza afferma la sussistenza delle esigenze cautelari solo in base ad elementi congetturali, senza effettuare un reale giudizio prognostico. Questo deve basarsi su elementi concreti, in particolare le specifiche modalità dei reati e la personalità dell’indagato. Il fatto che il COGNOME abbia fatto ritrovare l’arm impone di escludere il pericolo di inquinamento probatorio. L’ordinanza, poi, non tiene conto delle caratteristiche personali del ricorrente, che è persona quasi incensurata, svolge regolare attività lavorativa e non ha precedenti condanne per evasione.
4.7. Con l’ottavo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen. per l’omessa o illogica motivazione in merito alla necessità della detenzione carceraria. La motivazione, sul punto, è apodittica e fondata solo sulla gravità dei reati contestati, e non valuta la possibilità di applicare un misura meno afflittiva.
Il Procuratore generale, nella discussione orale, ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I due ricorsi, nel loro complesso, sono infondati e devono essere rigettati.
Il primo e il secondo motivo di entrambi i ricorsi, nei quali viene eccepita la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME e dal figlio NOME COGNOME, sono infondati.
L’ordinanza impugnata ha valutato approfonditamente le eccezioni sollevate dai due ricorrenti, quanto al carattere spontaneo delle dichiarazioni di entrambi i COGNOME, alla loro natura autoindiziante, e quanto all’applicabilità dell’art. 6 cod.proc.pen., e ha dichiarato la loro piena utilizzabilità, nel processo cautelare, applicando i principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità maggioritaria.
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2.1. Si deve escludere il carattere spontaneo delle dichiarazioni, dal momento che gli stralci delle loro verbalizzazioni, riportate alle pagine 31 e 32 dell’ordinanza impugnata, mostrano che, nonostante la presentazione spontanea dei due soggetti e la loro iniziale descrizione spontanea dell’accaduto, essi hanno risposto a domande specifiche e dettagliate, che hanno trasformato la dichiarazione in una sorta di esame testimoniale. E’ però quanto meno dubbio che essi, nel momento in cui hanno reso tali dichiarazioni, fossero stati raggiunti da indizi di reità per il reato di rissa, connesso o collegato a quello di omicidio tali indizi sono costituiti solo da brevi affermazioni di NOME COGNOME, che nel descrivere quanto accaduto ha affermato che, all’atto dell’incontro con i COGNOME e il COGNOME presso la proprietà dei primi, «ne scaturiva una rissa», e che egli, vistosi aggredito e scorto il COGNOME che gli puntava contro una pistola, si è diretto con l’auto contro gli aggressori e «ho investito» NOME COGNOME. Il figlio, invece, ha riferito tali fatti in maniera difforme, asserendo che, all’arr presso la proprietà dei COGNOME, lui e suo padre sono stati subito aggrediti, e sono scesi dall’auto cercando di calmare gli avversari, e che l’investimento è avvenuto mentre il padre, con l’auto, cercava di scappare per sottrarsi all’aggressione. Si tratta di dichiarazioni del tutto generiche e neppure convergenti, inidonee per costituire, in assenza di approfondimenti, effettivi indizi di reità.
2.2. L’ordinanza impugnata ha affermato che le dichiarazioni di NOME COGNOME hanno una natura autoindiziante, che imponeva l’applicazione nei suoi confronti dell’art. 63, comma 1, cod.proc.pen., ma le ha ritenute utilizzabili contro terzi, applicando detta norma conformemente alla giurisprudenza maggioritaria. Il Collegio ritiene di aderire, infatt all’orientamento più volte ribadito da questa Corte, secondo cui «Le dichiarazioni rese innanzi alla polizia giudiziaria da una persona non sottoposta ad indagini, ed aventi carattere autoindiziante, non sono utilizzabili contro chi le ha rese ma sono pienamente utilizzabili contro i terzi, posto che la garanzia di cui all’art. 63 comma 1, cod. proc. pen. è posta a tutela del solo dichiarante » (Sez. 2, n. 28583 del 18/06/2021, Rv. 281807; Sez. 2, n. 16382 del 18/03/2021, Rv. 281129). Tale principio discende dalla corretta lettura dell’art. 63 cod.proc. pen., che al primo comma esclude l’utilizzabilità delle dichiarazioni autoindizianti rese dalla persona informata sui fatti solo «contro la persona che le ha rese». Il secondo comma dell’art. 63 cod.proc.pen., infatti, prevede la inutilizzabilità erga omnes delle dichiarazioni solo se il dichiarante avrebbe dovuto sin dall’inizio essere sentito come indagato. Nel caso di NOME COGNOME è evidente l’insussistenza di questa seconda situazione: egli, presentatosi spontaneamente, non era in quel momento raggiunto da indizi di reità per alcun reato, dal
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momento che nessuno lo aveva indicato come coinvolto nella morte di NOME COGNOME, avendo i due ricorrenti raccontato l’accaduto in modo menzognero e senza coinvolgere terzi. L’unico indizio di reità, con le perplessità sopra precisate, è costituito dalla sua ammissione di avere partecipato ad una rissa: nei suoi confronti, quindi, avrebbe dovuto, al massimo, essere applicata la procedura prevista dall’art. 63, comma 1, cod.proc.pen., ma certamente non quella prevista dall’art. 63, comma 2, cod.proc.pen.
2.3. Al figlio NOME COGNOME, poi, non doveva essere applicata la procedura dettata da tale norma, perché a suo carico non vi erano indizi di reità, né egli ha reso dichiarazioni autoindizianti: le frasi del padre possono al massimo costituire indizi a carico del medesimo, ma questi non ha mai asserito che il figlio abbia partecipato alla rissa o sia stato coinvolto nell’investimento. Nel momento in cui NOME COGNOME è stato esamiNOME, quindi, egli non doveva essere sentito con le garanzie previste dall’art. 63, comma 1, cod.proc.pen. o addirittura quelle previste dall’art. 64 cod.proc.pen., né la necessità di interrompere l’esame è sorta durante il suo svolgimento.
La valutazione di piena utilizzabilità, contro i ricorrenti, delle dichiarazio rese da NOME COGNOME e da NOME COGNOME, è quindi corretta per una pluralità di ragioni, e i motivi di ricorso sul punto devono essere rigettati.
Il terzo motivo del ricorso proposto dal ricorrente COGNOME, circa la insussistenza del gravi indizi di colpevolezza anche ritenendo utilizzabili le dichiarazioni di NOME COGNOME, è infondato.
L’esistenza di riscontri a queste ultime è approfonditamente valutata nell’ordinanza impugnata, dalla pagina 28, sia con riferimento alla lite avvenuta la sera stessa dell’omicidio, nella sede dei “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, sia con riferimento alle modalità dello scontro avvenuto presso la proprietà dei COGNOME e culmiNOME nell’uccisione di NOME COGNOME, questi ultimi consistenti, in particolare, nei rilievi tecnici, nel ritrovamento della pistola impugnata da NOME COGNOME e della roncola impugnata dal COGNOME, nell’esito dell’autopsia sul corpo del deceduto.
Sulla base delle indagini svolte, l’ordinanza impugnata ha ricostruito le modalità dello scontro che ha portato all’omicidio nei termini descritti dalla pagina 35, con motivazione ampia, approfondita, logica e non contraddittoria, nonché frutto di un’autonoma valutazione degli indizi, tutti dettagliatamente riportati. Il ricorrente contesta tale ricostruzione, affermando non essere provato né che il colpo che ha ferito mortalmente NOME COGNOME sia partito dalla pistola che NOME COGNOME ha fatto ritrovare, né che quest’ultimo lo abbia
sparato, né, in ogni caso, che egli abbia sparato con l’intento di uccidere NOME COGNOME.
Questo motivo di ricorso, quindi, finisce con il prospettare una censura riferita al criterio di valutazione degli elementi indiziari, chiedendo di fatto questa Corte, una loro diversa valutazione. Deve ricordarsi, però, che risale alla sentenza delle Sezioni Unite n. 11 del 23/02/2000, Audino, Rv. 215828, l’insegnamento secondo cui «in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se i giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie». L’arresto costituisce, ormai, patrimonio comune della giurisprudenza di legittimità che, da ultimo lo ha ribadito, fra le molte, con Sez. 2 n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 e Sez. 1, n. 30416 del 25/09/2020, in motivazione.
Occorre anche avere riguardo alla specificità della valutazione compiuta nella fase cautelare, dovendosi sempre tenere conto della «diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato» (Sez. 2, n. 11509 del 14/12/2016, dep. 2017, P., Rv. 269683; Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014, S., Rv. 264213, tra le altre conformi).
L’ordinanza impugnata, come detto, ha motivato in modo approfondito e logico la ricostruzione del fatto omicidiario nei termini indicati, valutando anche la non credibilità delle dichiarazioni rese dai due ricorrenti e l’impossibilità effettuare, sulla base di queste, una diversa ricostruzione della vicenda altrettanto plausibile e compatibile con gli accertamenti compiuti. In particolare, ha evidenziato che non vi sono elementi per attribuire il possesso di armi da fuoco ai COGNOME, avendolo escluso gli stessi ricorrenti, che le modalità del ferimento riferite da NOME COGNOME sono incompatibili con l’accertamento autoptico, che la disponibilità della pistola da parte di quest’ultimo è dimostrata dal fatto di averla fatta ritrovare. Tutte le doglianze relative alla ricostruzio del fatto e alla rilevanza del singolo indizio devono, perciò, essere respinte, stante l’assenza dei vizi motivazionali dedotti in questo motivo di ricorso.
Ragioni sistematiche rendono opportuno esaminare a questo punto il terzo e il quarto motivo di ricorso di COGNOME, nei quali egli deduce analoghi vizi dell’ordinanza impugnata in merito alla valutazione degli indizi, alla ricostruzione del fatto omicidiario, all’attribuzione di una responsabilità concorsuale allo stesso ricorrente, per tutti i reati contestati.
Le censure relative alla tenuta motivazionale dell’ordinanza impugnata devono essere respinte per i motivi già esposti con riferimento al terzo motivo di ricorso del coindagato COGNOME.
L’ordinanza è motivata in modo completo e logico anche con riferimento alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza di una responsabilità concorsuale del ricorrente COGNOME. Essa richiama sul punto, dalla pagina 42, il contenuto dell’ordinanza cautelare, riportandone il testo nelle parti ritenute significative che il Tribunale del riesame ha dichiarato di condividere. La motivazione per relationem deve essere ritenuta legittima quando, come in questo caso, l’ordinanza si limiti a riproporre, trascrivendone anche il testo, singole part dell’ordinanza genetica, ritenute pienamente condivisibili, valutando per il resto in modo autonomo l’intero provvedimento, alla luce dei rilievi dell’indagato, nonché i singoli elementi indiziari su cui si fondano anche le parti motivate nel modo indicato (vedi Sez. 2, n. 55199 del 29/05/2018, Rv. 274252; Sez, 1, n. 8676 del 15/01/2018, Rv. n. 272628).
La responsabilità, quanto meno morale, del ricorrente COGNOME per tutti i delitti al momento contestati è, perciò, adeguatamente motivata sia attraverso la valutazione della condotta da lui tenuta durante il fatto, dimostrativa del suo previo accordo con i COGNOME per aggredire i COGNOME e della sua attiva partecipazione all’aggressione, e di quella tenuta nelle ore immediatamente successive al ferimento di NOME COGNOME, mentendo ai Carabinieri e poi al pubblico ministero sulle circostanze del fatto e tacendo lo scontro verificatosi poco prima, sia attraverso la valutazione delle modalità del ferimento stesso, come ricostruite dal Tribunale, che rendono non credibile una sua ignoranza circa il possesso e l’uso della pistola da parte di NOME COGNOME.
Il quarto motivo del ricorso di COGNOME, e il quinto del ricorso di COGNOME, relativi alla insussistenza del dolo omicidiario, in particolare per quest’ultim indagato, e alla erroneità della qualificazione del delitto di omicidio come aberratio ictus anziché aberratio delicti, sono infondati.
La plausibilità della ricostruzione delle modalità dell’omicidio, come operata dal g.i.p. e ribadita dall’ordinanza impugnata, rende evidente l’infondatezza della richiesta di qualificare la condotta di NOME COGNOME come diretta non ad
uccidere, ma a commettere un altro reato. Le dichiarazioni di NOME COGNOME, circa la condotta di NOME COGNOME, la stessa violenza dell’aggressione portata da entrambi i ricorrenti e dall’ucciso, l’assenza di una plausibile ipotesi alternativa e la falsità di molte delle affermazioni degli indagati, inducono a ritenere, allo stato delle indagini, che il colpo sia stato sparato contro il COGNOME a fine di uccidere, come ribadito alle pagine 39-40 dell’ordinanza impugnata.
Gli stessi ricorrenti motivano la loro richiesta di una diversa qualificazione solo rinviando alle contestazioni da loro mosse alla ricostruzione del fatto omicidiario ribadita dal Tribunale del riesame, per cui l’infondatezza di queste conduce alla conseguente infondatezza di una ipotesi diversa. Peraltro, come già sottolineato, in questa fase processuale l’ipotesi accusatoria si basa su elementi non ancora processualmente accertati, e comporta pertanto un giudizio di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza, mentre lo sviluppo delle indagini e la stessa istruttoria dibattimentale potranno sempre far emergere altri elementi, e condurre a conclusioni diverse.
Il quinto motivo del ricorso di COGNOME, e il sesto del ricorso di COGNOME, sono inammissibili, oltre che manifestamente infondati.
Essi ripropongono la tesi della già intervenuta prescrizione del delitto di ricettazione della pistola senza confrontarsi con la motivazione dell’ordinanza impugnata, che alla pagina 45, rispondendo alla medesima questione posta in quella sede, ha ben chiarito che, allo stato delle indagini, l’unico elemento accertato è la provenienza dell’arma da un soggetto deceduto nel 2013, arma il cui possesso non risulta più denunciato da alcuno. L’ipotesi di un suo furto, avvenuto dopo quella data, è stata formulata in termini di mera plausibilità, e solo il completamento delle indagini dirette ad accertare eventuali passaggi di proprietà del bene, registrati o meno, potrà consentire di individuare o la data certa della sua ricezione da parte dei ricorrenti, o un elemento che consenta di fissare un plausibile momento di consumazione del reato presupposto. I ricorsi non si confrontano con l’affermazione della mancanza, allo stato, di un accertamento definitivo circa l’esistenza di un reato presupposto e della sua epoca di commissione, affermazione che risulta corretta e idonea per respingere la tesi della già intervenuta prescrizione del reato di ricettazione. Questa Corte ha stabilito, infatti, che «In tema di cause di estinzione del reato, il principio del favor rei, in base al quale, nel dubbio sulla data di decorrenza del termine di prescrizione, il momento iniziale deve essere fissato in modo che risulti più favorevole all’imputato, opera solo in caso di incertezza assoluta sulla data di commissione del reato o, comunque, sull’inizio del termine di prescrizione, ma non quando sia possibile eliminare tale incertezza, anche attraverso deduzioni
logiche» (Sez, GLYPH 3, n. 7245 del 12/01/2024, Rv. 285953), per cui risulta assolutamente necessario l’approfondimento delle indagini, che l’ordinanza indica essere ancora in corso.
Gli ultimi due motivi di entrambi i ricorsi, con i quali viene contestata l sussistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura carceraria disposta, sono infondati.
L’ordinanza impugnata ha valutato approfonditamente le due questioni, riportando in parte le motivazioni dell’ordinanza cautelare genetica, alle quali dichiara di aderire, e ribadendo, con autonome considerazioni, l’idoneità della sola misura più grave per soddisfare le esigenze cautelari ritenute sussistenti. In particolare viene sottolineata l’inutilità di misure cautelari meno gravi per evitare sia il pericolo di un inquinamento probatorio, che il Tribunale ha motivatamente ritenuto ancora molto elevato, visto il comportamento menzognero tenuto dai due indagati, sia il pericolo di reiterazione dei delitti, potendo tali misu consentire il contatto con gli ambienti criminali che, presumibilmente, hanno fornito l’arma illecitamente ricevuta. Si tratta di una motivazione approfondita, logica, e congrua alla luce delle modalità della vicenda e alla condotta tenuta dai ricorrenti dopo il delitto, cercando di nascondere i fatti rilevanti e tacendo sull loro personali responsabilità; la natura del reato più grave, inoltre, comporta l’operatività della presunzione relativa circa la sussistenza delle esigenze cautelari e della necessità di applicazione della custodia in carcere (vedi Sez. 5, n. 806 del 27/09/2023, Rv, 285879; Sez., 5, n. 36891 del 23/10/2020, Rv. 280471, tra le molte). I ricorsi non si confrontano con tale motivazione, in quanto nulla osservano circa la valutazione di necessità di tale misura per soddisfare le esigenze cautelari ritenute sussistenti, né circa la sussistenza della presunzione relativa di pericolosità, prevista dall’art. 275, comma 3, cod.proc.pen. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Anche in merito al ricorso relativo alla sussistenza delle esigenze cautelari, inoltre, questa Corte ha stabilito che «In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito» (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Rv. 270628). I ricorsi denunciando apoditticamente l’illogicità della motivazione, senza indicare i passaggi che la evidenzierebbero, e lamentando infondatamente una sua carenza, per cui devono essere rigettati anche con riferimento a questi motivi.
Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi devono, pertanto, essere respinti, e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.
Non comportando – la presente decisione – la rimessione in libertà dei ricorrenti, segue altresì la disposizione di trasmissione, a cura della cancelleria, di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’ar 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 17 aprile 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente