Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11898 Anno 2019
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Penale Sent. Sez. 1 Num. 11898 Anno 2019
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/05/2018
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il 14/06/1984 COGNOME NOME nato a NAPOLI il 21/09/1952 COGNOME NOME nato a NAPOLI il 08/08/1992
avverso la sentenza del 16/05/2016 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il P.G. conclude chiedend3 in relazione alla posizione di SAVARESE GENNARO la rettifica del dispositivo con rideterminazione della pena in anni 14, mesi 5 e giorni 10 di reclusione ai sensi dell’art 619 c.p.p. e l’inammissibilità del ricorso nel resto l’inammissibilità dei ricorsi di DELLA COGNOME NOME e DELLA COGNOME NOME.
udito il difensore
E presente l’avvocato COGNOME quale sostituto processuale dell’avvocato COGNOME NOME del foro di NAPOLI, come da nomina dichiarata in udienza, in
difesa di COGNOME che si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 25 gennaio 2016 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, all’esito di giudizio abbreviato, ha condannato:
NOME COGNOME, con la speciale attenuante di cui all’art. 8 L. n. 203/1991 e in concorso di circostanze attenuanti generiche equivalenti, alla pena di anni quattordici di reclusione in ordine ai reati di omicidio aggravato in danno di COGNOME NOME (capo a), di tentato omicidio aggravato in danno di COGNOME NOME (capo b), di detenzione e porto d’armi (capo c);
NOME COGNOME con il concorso di circostanze generiche dichiarate equivalenti, alla pena di anni venti di reclusione per i reati aggravati di omicidio e tentato omicidio di COGNOME NOME e COGNOME NOME e connesse violazioni della legge sulle armi;
NOME COGNOME con l’attenuante di cui all’art. 8 L. n. 203/1991, alla pena di anni uno di reclusione ed euro 500 di multa per i reati di detenzione, e ricettazione di armi clandestine e di provenienza furtiva (capi h, i, j), pena apportata in aumento a quella inflitta per i reati, unificati per la continuazione, giudicati con sentenza della Corte di appello di Napoli del 22.01.2015, irrevocabile il 10.3.2015.
Con sentenza in data 16.5.2016 la Corte di assise di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha rideterminato la pena nei confronti di NOME COGNOME (in anni quindici mesi due di reclusione, ritenuta la continuazione con i reati giudicati con sentenza della Corte di appello di Napoli del 15.12.2014, irrevocabile il 30.01.2015) e di NOME COGNOMEin anni 17 mesi uno giorni dieci di reclusione, ritenute le concesse attenuanti generiche prevalenti sulle contrapposte aggravanti), confermando nel resto la decisione appellata.
2.1 Richiamato il percorso informativo della prima sentenza cui ha fatto espresso rinvio, la Corte territoriale ha rilevato che il processo aveva ad oggetto alcune vicende verificatesi negli anni 2012 e 2013 nell’ambito della violenta guerra di camorra scoppiata, subito dopo la scarcerazione di NOME COGNOME (nel novembre 2012), tra la consorteria COGNOME e l’aggregazione criminale riconducibile allo stesso COGNOME, che si contendevano il controllo egemonico del quartiere partenopeo della Sanità e territori limitrofi e, in particolare, monopolio delle attività illecite, primo, tra tutte, lo spaccio di stupefacenti. Ne contesto di tale contrapposizione armata e in attuazione di una strategia dotata di inusitata aggressività erano stati inquadrati l’attentato in danno di Bara
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NOME compiuto il 30 dicembre 2012 con aberratio ictus in danno di COGNOME NOME, commesso da COGNOME NOME e COGNOME NOME, il primo in qualità di ideatore, pianificatore e mandante unitamente al figlio COGNOME NOME, il secondo in qualità di specchiettista, nonché il successivo tentato omicidio di NOME COGNOME e COGNOME NOME, eseguito il 7.3.2013, fatti per i quali l’imputato COGNOME NOME era stato giudicato in separato processo.
La Corte ha ricordato che la ricostruzione delle vicende si fondava da un lato sulle convergenti dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia/coimputati (COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME), dall’altro, sulle stesse dichiarazioni confessorie rese dagli imputati sui fatti rispettivamente ascritti (il solo COGNOME NOME deducendo la mancanza di dolo nel tentato omicidio COGNOME) nonché sul possesso delle armi rinvenute nella disponibilità di COGNOME NOME, all’atto del suo arresto, nell’april 2013.
2.2 In merito alla posizione dei singoli appellanti la Corte ha argomentato quanto segue.
2.2.1 Con riguardo a COGNOME NOME, ha ritenuto integrato anche il contestato omicidio tentato in danno di COGNOME, osservando che nessuna incidenza sull’elemento soggettivo del concorrente morale può avere l’errore esecutivo dell’autore materiale. Nel caso in esame la consumazione dell’omicidio di COGNOME, del quale l’imputato era stato l’ideatore, l’organizzatore e il mandante, comportava, per l’espresso disposto dell’art. 82 cod. pen., comma 2, l’attribuibilità al partecipe morale dell’esito aberrante dell’azione concordata, consistente nell’attentato alla vita anche di persona diversa da quella oggetto dell’azione letale, determinato da un errore di esecuzione della condotta; ha, quindi, esplicitato le ragioni per le quali non poteva applicarsi nel massimo la riduzione per l’attenuante della dissociazione.
2.2.2 Quanto a COGNOME COGNOME la Corte ha ritenuto che l’incensuratezza dell’imputato e l’estemporaneità del suo coinvolgimento consentivano di modificare il giudizio di bilanciamento in termini di prevalenza, sia pure non riconoscendo alle attenuanti generiche la massima incidenza sia per la tardività della confessione, indicativa di una resipiscenza necessitata ,sia a ragione del ruolo attivo e indispensabile svolto nell’esecuzione dell’attentato.
2.2.3 Quanto al Della Corte NOME, ha osservato che priva di pregio era l’invocata declaratoria di improcedibilità per precedente giudicato, in quanto l’imputato non aveva riportato condanna per le medesime armi di cui alle imputazioni in verifica, mentre non v’era spazio per una più favorevole rimodulazione del trattamento sanzionatorio.
Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati con il ministero dei rispettivi difensori.
3.1 L’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia di COGNOME NOME, ha svolto i seguenti motivi:
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 82 cod. pen., per avere la Corte di assise di appello confermato la condanna del proprio assistito per il tentato omicidio COGNOME erroneamente qualificando tale episodio come aberratio ictus e ponendolo a carico del ricorrente nonostante egli avesse partecipato solamente agli incontri nei quali era stato pianificato l’omicidio di COGNOME né si fosse occupato di curare le concrete modalità esecutive dell’azione, organizzata esclusivamente da COGNOME NOME; la predisposizione di telecamere sul luogo dell’agguato e l’incarico di specchiettista affidato a COGNOME NOME deponevano nel senso dell’adozione di ogni possibile cautela volta a prevenire imprevisti e a consentire ai killer di entrare in azione solo dopo l’avvistamento e la segnalazione della presenza della vittima designata; anche a volere ritenere che l’imputato, partecipando all’ideazione dell’agguato, avesse accettato la possibilità di ulteriori sviluppi offensivi, al più avrebbe potuto essere configurato in capo allo stesso un dolo eventuale, incompatibile con il tentativo;
inosservanza e erronea applicazione della legge penale in relazione all’ art. 8 L. n. 203 del 1991 e agli artt. 132 e 133 cod. pen., per avere il Giudice di appello confermato l’applicazione dell’attenuante della dissociazione nella sua minima estensione, anche a fronte di un decisivo contributo collaborativo; inoltre, pur rilevando l’errore in cui era incorso il primo decidente nella determinazione della pena base per il più grave delitto di omicidio, individuata in anni 24 di reclusione, in luogo della pena da dodici a venti anni conseguente al riconoscimento dell’attenuante speciale, non vi aveva posto rimedio sebbene investita di specifica doglianza in punto di dosimetria sanzionatoria;
violazione di legge in relazione agli artt. 81, comma 2, 133, 132 cod. pen., per avere la Corte illegittimamente determinato in anni tre e mesi nove di reclusione l’aumento di pena apportato a titolo di continuazione per i reati separatamente giudicati, per i quali era stata complessivamente inflitta la più contenuta pena di anni tre mesi due di reclusione nel processo separato.
3.2 L’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia di COGNOME Giovanni, ha denunziato:
violazione del disposto dell’art. 649 cod. proc. pen. e vizio della motivazione, per essere stato il proprio assistito già condannato per gli stessi fatti, oggetto di addebito, con sentenza della Corte di appello di Napoli del 15.12.2014, irrevocabile il 30.1.2015;
violazione dell’art. 8 L. n. 203 del 1991 e difetto di motivazione, per avere la Corte di assise di appello negato l’applicazione della circostanza attenuante della collaborazione nella massima estensione, nonostante l’importanza del contributo prestato dal ricorrente ed il suo manifesto ravvedimento;
violazione dell’art. 62 bis cod. pen. e vizio della motivazione, per avere la Corte di merito immotivatamente negato un più favorevole bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti, nonostante il ravvedimento del ricorrente e la positiva condotta processuale serbata.
3.3 Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME difensori di fiducia di COGNOME, hanno dedotto:
violazione del disposto degli artt. 63 cod. pen., comma 4, 7 L. n. 203 del 1991, nonché carenza di motivazione in relazione all’applicazione dell’aumento di pena per l’aggravante speciale di cui all’art. 7 legge citata. Ad avviso del ricorrente, la concorrenza tra aggravanti ad effetto speciale si verifica anche se l’incidenza sanzionatoria di alcune di esse sia esclusa dal bilanciamento in equivalenza o in prevalenza, sicché ove si voglia applicare un aumento di pena in relazione al riconoscimento della residua aggravante ad effetto speciale, esclusa dal bilanciamento, incombe sul giudice uno specifico onere di motivazione, nella specie non assolto, avendo la Corte di merito applicato automaticamente, senza motivazione alcuna, l’aumento per l’aggravante di cui all’art. 7;
violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte di assise di appello indicato in dispositivo una pena finale in contrasto con il calcolo aritmetico discendente dalla corretta applicazione dei criteri indicati in motivazione, errore consistito nell’irrogare un aumento di pena ex art. 7 L. n. 203/1991 superiore ad un terzo della pena base.
Considerato in diritto
Ricorso di Della Corte NOME
1.1 D primo motivo che deduce errata applicazione della disciplina dettata dall’art. 82 cod. pen. appare quanto meno infondato.
Il tentato omicidio di COGNOME NOME per come ricostruito, alla stregua delle convergenti propalazioni accusatorie, nella sentenza di primo grado, cui la Corte di assise di appello ha fatto integrale rinvio, non è stato frutto di una iniziati autonoma ed estemporanea, postasi al di fuori dello schema prestabilito e concordato e, dunque, conseguenza di un mutamento o ampliamento dell’obiettivo del proposito omicidiario. E’ stata, pertanto, ravvisata la fattispeci dell’aberratio ictus, in quanto COGNOME, soggetto estraneo al progetto criminoso e non preso volutamente di mira, era rimasto coinvolto nell’agguato progettato
ed eseguito in danno di COGNOME Francesco solo perché casualmente si trovava in compagnia della vittima designata, rimanendo attinto in parti vitali dai colpi esplosi dai killer all’indirizzo di Bara sulla pubblica via e in luogo in cui e frequente il transito di passanti (COGNOME NOME, che monitorava l’azione attraverso le telecamere che riprendevano la strada e l’ingresso del garage teatro dell’agguato, aveva riferito di aver visto la gente fuggire nel momento in cui erano stati esplosi i colpi di arma da fuoco). Tale ulteriore evento correttamente è stato imputato anche al concorrente morale, seppure assente in quel momento sul luogo dell’esecuzione. E, infatti, l’errore o la disfunzione incidente sull’attuazione del proposito criminoso non ha esplicato alcuna incidenza sull’elemento soggettivo del partecipe morale, essendosi comunque realizzata da parte degli autori materiali l’azione concordata, di cui COGNOME NOME e COGNOME NOME erano stati gli ideatori, gli organizzatori e i mandanti.
È sufficiente qui ricordare che l’aberratio ictus bioffensiva (art. 82 cod. pen., comma 2), che si realizza allorché l’autore abbia arrecato offesa a persona diversa e anche a quella cui originariamente era diretta la sua azione, attribuisce la responsabilità per la parte di fatto non voluta a titolo di dolo, mediante una traslazione normativa del dolo dal fatto per il quale vi è stata rappresentazione e volontà al fatto ulteriore non voluto ne’ rappresentato, giacché il soggetto si è posto consapevolmente in una situazione di illiceità potenzialmente aperta a sviluppi diversi e ulteriori rispetto a quelli presi di mira (in tal senso Sez. Sentenza n. 38303 del 23/09/2005, COGNOME, Rv. 232404). La diversità tra quanto voluto e quanto realizzato è essenziale, poiché è evidente che rispetto all’uccisione o al ferimento della persona diversa non esiste il dolo dell’agente, ma l’autore resta punito, con la pena stabilita per il reato più grave aumentata fino alla metà, per avere realizzato un reato doloso contro il soggetto preso di mira e ulteriori conseguenze contro un terzo non destinatario dell’offesa nei suoi intendimenti. La norma dell’art. 82 cod. pen., comma 2, configura, difatti, la responsabilità del fatto non voluto, considerandolo come se fosse doloso, con una sorta di estensione del dolo dal fatto rispetto al quale c’è rappresentazione e volizione, a quello ulteriore – omogeneo al primo- verificatosi a causa di un errore di esecuzione. E ciò perché, nonostante la mancata integrale convergenza tra rappresentazione e realizzazione, la prima ha pur sempre ad oggetto un fatto criminoso e il fatto ulteriore si realizza proprio nell’esecuzione di quella deliberazione criminosa, attraverso una condotta pericolosamente aperta a plurimi sviluppi offensivi.
Ora, la posizione del concorrente morale è compatibile con lo schema legale dell’aberratio ictus giacché, consistendo il dolo del partecipe morale nell’istigare,
determinare o rafforzare l’altrui volontà criminosa e non anche nella specifica rappresentazione di qualsivoglia sviluppo, relativamente alle modalità di esecuzione del reato concordato, nessuna incidenza sull’elemento soggettivo del partecipe morale può avere l’errore esecutivo, essendosi realizzata da parte dell’autore materiale proprio l’azione concordata, il cui esito aberrante, per l’espresso disposto dell’art. 82 cod. pen., è privo di ogni rilevanza ai fini della qualificazione del reato sotto il profilo oggettivo e soggettivo; insomma, se l’errore esecutivo, che ha determinato l’offesa anche in danno di persona diversa da quella presa di mira, è irrilevante per l’esecutore materiale, autore dell’errore, lo è anche per il concorrente morale. Resta inteso che perché operi questa sorta di estensione del dolo da un fatto, prefigurato e voluto, ad altro non voluto contro una vittima ulteriore, occorre che la vicenda fattuale per determinazione volontaria dei suoi autori sia tale da rivelare e rendere possibili sviluppi lesivi aggiuntivi rispetto a quelli perseguiti.
Ma tali aspetti fattuali, diversamente da quanto assume il ricorrente che oppone argomenti versati in fatto e meramente confutativi, sono stati più che adeguatamente esplorati nella prima decisione, che ha messo in evidenza le caratteristiche del luogo scelto per l’agguato -l’ingresso di un garage ubicato in una zona di intenso passaggio-, l’ora dell’esecuzione, fissata per la mattina del 30.12.2012, ma slittata al primo pomeriggio per il mancato rintraccio della vittima designata, la pluralità degli esecutori materiali, l’impiego di più armi. Della disciplina dell’aberratio ictus la sentenza impugnata ha, dunque, offerto corretta applicazione, superando indenne le censure mossele con l’impugnazione.
1.2 Le doglianze articolate in relazione alla determinazione della pena a seguito del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 8 L. n. 203/1991 e delle circostanze attenuanti generiche sono manifestamente infondate. Duplice la censura articolata: da un lato il ricorrente si duole dell’applicazione dell’attenuante della dissociazione nella sua minima estensione; dall’altro del fatto che la Corte territoriale, pur avendo rilevato l’errore nella individuazione della pena base per il più grave reato di omicidio (capo a), fissata in anni 24 di reclusione e non nella forbice prevista dal citato art. 8, comportante la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella della reclusione da dodici a venti anni, lamenta che la Corte territoriale aveva omesso di pronunciarsi sul punto, ritenendolo non attinto da motivo di appello, e ciò nonostante fosse stato censurato “il cattivo governo da parte del G.i.p. dei principi statuiti dagli artt 132 e 133 cod. pen.”.
Ora, muovendo da tale secondo profilo di censura, va premesso che il primo giudice ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle
aggravanti della premeditazione e del motivo abietto. Ha per conseguenza correttamente – alla luce di quanto riconosciuto da Sez. U., n. 10713 del 25/2/2010, COGNOME, Rv. 245930 – dapprima determinato la pena sulla base di tale giudizio di comparazione, individuata in anni 24 di reclusione e, quindi applicato la riduzione determinata dal riconoscimento dell’attenuante speciale dell’art. 8 sulla pena così in concreto risultante. Nessun appunto può essere mosso a tale modo di procedere nella determinazione della pena, mentre il ricorrente erroneamente pretende di calcolare la diminuzione della pena per l’attenuante speciale sulla pena in astratto, come se la norma parlasse di reati puniti con l’ergastolo anziché di pena dell’ergastolo, computando solo all’esito le circostanze attenuanti generiche.
Tanto precisato, quanto alla misura della riduzione operata per la diminuente della dissociazione, il ricorrente neppure si accorge di formulare una censura eccentrica rispetto alla decisione impugnata, replicando tal quale il corrispondente motivo di appello. Invero la Corte territoriale ha rimodulato la pena, applicando l’attenuante speciale in misura superiore al minimo di legge (la pena base di anni 24 di reclusione è stata portata ad anni 14) e ha adeguatamente motivato che non sussistevano le condizioni per una più benevola riduzione, a tal fine valorizzando la tardività della collaborazione, essendo essa stata prestata circa un anno dopo l’arresto, quando il ricorrente era già stato raggiunto da sicuri indizi di reità discendenti dalle convergenti e precise propalazioni accusatorie di COGNOME e COGNOME, e dunque all’evidente fine di godere dei benefici premiali, per l’appunto riconosciutigli.
1.3 Manifestamente infondato è anche il terzo motivo del ricorso che censura l’entità dell’aumento di pena apportato per effetto del riconoscimento della continuazione con i fatti-reato giudicati con sentenza irrevocabile emessa dalla Corte di appello di Napoli in data 15.12.2014, aumento che si assume essere superiore alla pena complessivamente inflitta con la detta sentenza. Al contrario la Corte di assise di appello (v. p. 15) ha determinato l’aumento complessivo per i reati già giudicati in anni tre mesi nove di reclusione, ridotto per il rito ad anni due mesi sei di reclusione, ritenendolo congruo ed adeguato a fronte della pena inflitta nel precedente processo, pari ad anni 4 mesi 9 di reclusione, ridotta per il rito ad anni tre mesi due di reclusione; il che priva all’evidenza di ogni consistenza l’enunciato critico.
2. Ricorso di Della Corte NOME
2.1 Inammissibile perché generico e manifestamente infondato è il primo motivo, con il quale si è dedotta la violazione dell’art. 649 cod. pen. per essere i fatti oggetto delle imputazioni elevate ai capi h), i e j), accertati nell’aprile 201 gli stessi per i quali l’imputato era stato giudicato nel procedimento definito con
sentenza della Corte di assise di appello di Napoli del 22.01.2015, irrevocabile il 10.03.2015. Sul punto i giudici di appello hanno ineccepibilmente osservato:
che con la sentenza indicata il Della Corte non era stato giudicato per le medesime armi di cui alle imputazioni in verifica, ma per le armi usate nell’esecuzione dell’omicidio COGNOME e del tentato omicidio COGNOME (una pistola Glock, una pistola cal. 7.65 e una cal. 38, genericamente indicata) e per quelle usate nell’esecuzione del duplice tentato omicidio COGNOME (una cal. 9 non indicata come parabellum e una cal. 38 non meglio specificata);
che oggetto di addebito nel presente processo erano armi diverse per numero e per tipologia (2 pistole semiautomatiche cal. 9×19 parabellum con matricola abrasa, una pistola semiautomatica marca Browning, un fucile cal. 12, una pistola semiautomatica cal. 6.35 e un revolver cal. 38 special con matricola abrasa), armi quasi tutte clandestine e di provenienza furtiva, donde gli ulteriori addebiti elevati ai capi i) e j) di rubrica;
che non vi era nessuna prova che le pistole cal. 9×19 parabellum e il revolver cal. 38 fossero proprio le stesse armi utilizzate per i fatti di sangue giudicati nel separato processo, tanto non essendo stato nemmeno allegato dallo stesso imputato nel corso della sua collaborazione né riferito dagli altri propalanti;
che anzi il Della Corte aveva precisato di aver ricevuto il revolver cal. 38, sequestrato il 26 aprile 2016, appena qualche giorno prima del suo arresto eseguito in pari data, così escludendo lo stesso imputato che l’arma in questione potesse essere la stessa utilizzata per l’omicidio COGNOME e il tentato omicidio COGNOME commessi il 30.12.2012 e per il duplice tentato omicidio COGNOME/COGNOME eseguito il 7.3.2013.
A fronte, il ricorso svolge censure stereotipate che non si confrontano con il lineare percorso decisorio della sentenza impugnata, mostrando di ignorare completamente le puntuali risposte fornite in aggiunta alla diversità dei fatti emergente dall’evidenza stessa delle contestazioni.
2.2 Non diversa sorte spetta al secondo motivo, con il quale si denunzia violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento alla riduzione di pena per l’art. 8 L. n. 203/1991, assertivamente inferiore al massimo consentito. Di contro, la Corte territoriale ha impeccabilmente osservato che il complessivo aumento, apportato a titolo di continuazione, per reati riguardanti la detenzione di ben quattro pistole, tutte oggetto di ricettazione e tre clandestine, di un fucile provento di furto e di numerose munizioni, era stato assai generosamente computato dal primo giudice in anni uno di reclusione, pena “fin troppo ridotta” rispetto ai fatti e alla personalità del collaboratore. E la motivazione che sorregge la valutazione di adeguatezza del trattamento sanzionatorio in concreto
determinato è pienamente compiuta e coerente, avendo preso in considerazione i parametri di cui all’art. 133 cod. pen. e avendo correttamente evidenziato che l’aspetto già valutato per il riconoscimento dell’attenuante speciale non attingeva a quella particolare significatività e pregnanza da giustificare un ulteriore alleggerimento del già modesto carico sanzionatorio.
2.3 L’ultimo motivo è del tutto deassiale, dolendosi il ricorrente dell’operato bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche in termini di mera equivalenza anziché di prevalenza, mentre di esse la Corte territoriale ha confermato il diniego, richiamando la spiccata pericolosità sociale del Della Corte, desumibile dalle modalità esecutive ed operative del duplice agguato cui erano connessi i reati in contestazione, dell’abiezione dei motivi che li aveva determinati, della gravità in sé dei fatti in disamina, essendo le armi destinate al perseguimento del programma del sodalizio camorristico, e ha puntualmente osservato che detta pericolosità non appariva neutralizzata per via della sola collaborazione, già valutata ai fini dell’attenuante speciale, mentre neppure risultava alcun altro motivo che giustificasse un’ulteriore riduzione della pena.
3. Ricorso di NOME COGNOME
3.1 La sentenza impugnata dà atto, a p. 17, che COGNOME ha rinunziato ai motivi di appello concernenti la mancata esclusione dal computo della pena dell’aggravante ex art. 7 L. 203/1991 e la mancata applicazione dell’attenuante della minima partecipazione, insistendo nella sola richiesta di riduzione della pena con valutazione di prevalenza delle già concesse attenuanti generiche. Sicché l’esame delle argomentazioni del ricorrente addotte a sostegno del primo motivo è 0-etinti-ei precluso dalla rinunzia al relativo motivo di appello, che ne rende inammissibile la riproposizione in questa sede, dovendo in definitiva equipararsi, agli effetti dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 3, il motivo rinunziato a quello non proposto con l’atto di appello. In ogni caso la tesi del ricorso è del tutto priva di giuridico pregio, dovendosi ribadire il principio, gi ripetutamente affermato da questa Corte e al quale deve essere data continuità, secondo cui il disposto dell’art 63 quarto comma cod. pen. non trova applicazione – nel caso di concorso di più circostanze aggravanti ad effetto speciale – allorché una di tali circostanze sia quella di cui all’art. 7 legge n. 20 del 1991, che è esclusa ex lege dal giudizio di bilanciamento agli effetti del calcolo dell’aumento di pena da essa previsto, aumento che deve trovare inderogabile applicazione (Sez. 2, n. 18278 del 7/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269855; Sez. 2 n. 28276 dell’8/03/2016, COGNOME, Rv. 267220; Sez. 2 n. 44155 del 2/10/2014, COGNOME, Rv. 262066). Il criterio di contemperamento dettato dall’art. 63, quarto comma, cod. pen. in caso di concorso di più circostanze ad effetto speciale, vale, ovviamente, per l’ipotesi in cui in concreto
vi sia stata da parte del giudice quantificazione di pena stabilita per la circostanza ad effetto speciale più grave. Ma ove tale aumento manchi per effetto del giudizio di equivalenza o prevalenza delle riconosciute circostanze attenuanti rispetto a quelle aggravanti, non essendovi, come nel caso in esame, in concreto applicazione della pena stabilita per effetto di circostanza aggravante ad effetto speciale, non si verificano i presupposti per applicare il criterio di contemperamento, con la conseguenza che la circostanza ad effetto speciale, che per volontà di legge è esclusa dal giudizio di bilanciamento, va applicata senza il limite stabilito dall’art. 63, quarto comma, cod. pen. e l’aggravamento non è facoltativo, ma obbligatorio.
Correttamente, pertanto la sentenza impugnata, dopo aver operato il bilanciamento in termini di prevalenza delle già concesse attenuanti generiche con le aggravanti della premeditazione e del motivo abietto, lasciata invariata la pena base di anni 21 di reclusione e ridottala ad anni 17 ex art. 62 bis cod. pen., ha applicato l’aumento minimo di un terzo per l’aggravante ex art. 7 L. n. 203 del 1991 e, quindi, l’aumento per i reati unificati per la continuazione nella misura di anni due già fissata dal giudice di primo grado.
3.2 È, invece, fondato il secondo motivo di ricorso relativo all’aumento per l’aggravante ex art. 7 superiore a quello minimo di un terzo che la Corte territoriale ha dichiarato espressamente di applicare (del resto pari alla misura minima già applicata dal primo decidente). Sicuramente è errato il calcolo effettuato, perché l’aumento di un terzo della pena di anni diciassette porta, come giustamente rilevato dalla difesa, ad anni 22 mesi otto di reclusione e non ad anni 23 mesi otto di reclusione, come riportato in sentenza nel calcolo della pena. Ma a tale errore di computo può ovviare questa stessa Corte, eliminando la pena irrogata in eccesso, pari a mesi otto di reclusione (anni uno di reclusione, ridotta di un terzo per il rito).
4. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti del COGNOME limitatamente al trattamento sanzionatorio che va rideterminato in anni 16, mesi 5 e giorni 10 di reclusione; nel resto il ricorso dell’imputato va rigettato; il ricorso di COGNOME NOME deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali; il ricorso di COGNOME NOME va dichiarato inammissibile e all’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 2.000,00.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al trattamento sanzionatorio, che ridetermina in anni 16, mesi 5 e giorni 10 di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso di NOME COGNOME. Rigetta il ricorso di NOME COGNOME. Dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME. Condanna NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali e il secondo al pagamento altresì della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 maggio 2018
Il onsigliere r stensore
Il Presidente