Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22081 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22081 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
Sul ricorso presentato da NOME COGNOME nato a Catania il 24/03/1970, avverso la sentenza del Tribunale di Catania dell’8/07/2024.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Cons. NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Dr. NOME COGNOME cui il P.G: s riportato in udienza, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
udito, per l’imputato, l’Avv. NOME COGNOME del foro di Catania, che ha insistito l’accoglimento del ricorso e ha chiesto, in subordine, la declaratoria di prescrizione del reato.
PREMESSO IN FATTO
Con sentenza dell’8/07/2024, il Tribunale di Catania condannava NOME COGNOME in ordine al reato di cui agli articoli 192 e 256, comma 2, d. Igs. 152/2006 e, per l’effetto, condannava l stesso alla pena di euro 5.000,00 di ammenda.
Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato, lamentando violazione dell’articolo 606, comma 1, lettere b), c) ed e), in relazione agli artt. 125, 192, 533 e 546 cod. proc. pen.; errone
applicazione della legge penale, inosservanza di norme processuali, mancanza di motivazione, motivazione illogica e contraddittoria, travisamento della prova e mancata correlazione tra accusa e sentenza.
La sentenza è contraria alle prove acquisite, le dichiarazioni degli operanti sono travisate. Inoltre, avere depositato i rifiuti sulla pubblica via non costituisce abbandono.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. In primo luogo, questa Corte (Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Rv. 263541 – 01; Sez. 1, n. 39122 del 22/09/2015, Rv. 264535 – 01) ha reiteratamente chiarito che il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell’art. comma primo, lett. e), cod. proc. pen., ha l’onere – sanzionato a pena di a-specificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso – di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi giudice di legittimità la funzione di rielaborare l’impugnazione, al fine di estrarre dal coacer indifferenziato dai motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio.
La tipizzazione dei possibili motivi di ricorso indicati dall’art. 606, comma 1, c.p.p. (i q costituiscono, a differenza di quelli di appello, un numerus clausus, a presidio del quale l’art. 606, comma 3, c.p.p. commina la sanzione della inammissibilità per i « motivi diversi da quelli consentiti dalla legge ») comporta che il generale requisito della specificità si moduli, in relazio alla impugnazione di legittimità, in un senso particolarmente rigoroso e pregnante, sintetizzabile attraverso il già adoperato riferimento alla «duplice specificità» (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013 Leonardo, Rv. 254584 – 01), essendo onere del ricorrente argomentare anche la sussunzione della censura formulata nella specifica previsione normativa alla stregua della tipologia dei motivi di ricorso tassativamente stabiliti dalla legge.
I motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione d legge, eterogenei ed incompatibili, ed in quanto tali, non suscettibili di sovrapporsi e cumulars in riferimento a un medesimo segmento dello sviluppo argomentativo che sorregge la decisione impugnata: i vizi della motivazione si pongono, infatti, in rapporto di alternatività, ovvero reciproca esclusione, posto che – all’evidenza – la motivazione se manca, non può essere, al tempo stesso, né contraddittoria, né manifestamente illogica e, per converso, la motivazione viziata non è motivazione mancante; infine, il vizio della contraddittorietà della motivazion (introdotto dall’art. 8 I. n. 46 del 2006, che ha novellato l’art. 606, comma 1, lettera e), c. è specificamente connotato rispetto alla manifesta illogicità.
Ciò premesso, la promiscua mescolanza dei motivi di ricorso, se cumulati e rubricati indistintamente (come nel caso in esame, in cui il ricorrente deduce, indistintamente, inosservanza di norme processuali, neppure specificate, nonché mancanza di motivazione, motivazione illogica e contraddittoria, travisamento della prova e mancata correlazione tra accusa e sentenza), rende l’impugnazione assolutamente aspecifica e quindi inammissibile.
Peraltro, non potrebbe , oggi ritenersi del tutto irrilevante l’aspetto grafico e formale dell’articolazione dell’atto di ricorso in paragrafi ed altre sottopartizioni, atteso che il «Prot d’intesa tra Corte di cassazione e Consiglio Nazionale Forense sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale», sottoscritto il 17 dicembre 2015, prevede che «i vizi di legittim devono essere esposti distinguendo le singole doglianze con riferimento ai casi dell’art. 606 c.p.p.».
Detto Protocollo, secondo la giurisprudenza di questa Corte, va considerato quale strumento esplicativo del dato normativo di cui all’art. 606 c.p.p. (Sez. 2, n. 57737 del 20/09/2018, Rv 274471 – 01; Sez. 6, n. 57224 del 09/11/2017, Rv. 271725), e la sua violazione può confermare la valutazione d’inammissibilità per difetto di specificità del ricorso.
Le censure relative al vizio di motivazione, alla mancata correlazione tra accusa e sentenza e alla violazione di legge processuale sono pertanto generiche e inammissibili.
Quanto alla dedotta violazione di legge, la doglianza è manifestamente infondata.
3.1. Questa Corte ha in passato ritenuto (Sez. 3, n. 8275 del 25/11/2009, dep. 2010, COGNOME, n.m.), con principio che il ‘Collegio ribadisce, che l’abbandono dei rifiuti urbani al di fuori dagli appositi contenitori è vietato e sussiste l’onere, per le imprese addette alla raccolta dei rifiu controllare la corretta attività di smaltimento rivolgendosi ad altro luogo di conferimento nel cas in cui siano saturi i contenitori ai quali vengano destinati i rifiuti.
In caso di inottemperanza, si verifica una ipotesi di abbandono incontrollato di rifiuti.
Giova rappresentare che l’imputato, in qualità di legale rappresentante della società «RAGIONE_SOCIALE», gestrice anche dell’Hotel Santa Caterina di Acireale, è per ciò solo gravato da posizione di garanzia, che impone allo stesso di vigilare – come correttamente evidenziato in sentenza sull’attività dei propri dipendenti, incorrendo in caso negativo in culpa in vigilando.
Va in proposito rammentato che, secondo la piana giurisprudenza della Corte, «in materia ambientale, i titolari e i responsabili di enti ed imprese rispondono del reato di abbandono incontrollato di rifiuti non solo a titolo commissivo, ma anche sotto il profilo della ome vigilanza sull’operato dei dipendenti che abbiano posto in essere la condotta di abbandono (Sez. 3, n. 40530 del 11/06/2014 – dep. 01/10/2014, COGNOME, Rv. 261383 – 01; Sez. 3, n. 23971 del 25/05/2011, COGNOME, Rv. 250485 – 01; Sez. 3, n. 45974 del 27/10/2011, COGNOME, Rv. 251340 – 01; più di recente: Sez. 3, n. 24080 del 29/05/2024, Putortì; Sez. 3, n. 2234 del 09/07/2021, dep. 2022, COGNOME; Sez. 3, n. 32744 del 03/07/2023, Passiante, non massimate).
Coglie, inoltre, nel segno il Procuratore generale laddove evidenzia che la circostanza, come risulta per stessa allegazione difensiva, che l’attività di raccolta differenziata svolta da parte d impresa alberghiera non era ben coordinata con il servizio di raccolta comunale (per asserita carenza di contenitori a disposizione) a cui avrebbe fatto seguito la scelta di accatastare sulla strada i rifiuti sovrabbondanti rispetto ai contenitori disponibili, ponendoli vicino ai masselli p
Si evidenzia che tale deduzione, già di per sé, denota un profilo di negligenza a cui il ricorrente ritiene, nelle argomentazioni difensive, di aver dato risposta allegando una missiva in cui viene contestatalla insufficienza dei mastelli di raccolta dati in dotazione, ma rispetto a pare del tutto incoerente aver trovato come soluzione quella di accatastare sulla strada in modo incontrollato i rifiuti. Tale missiva costituisce, al contrario, il riscontro documentale alla rif della condotta di abbandono alla attività di impresa e a una condotta imprenditoriale quanto meno negligente nella gestione dei rifiuti prodotti, tradottasi in una prassi consolidata abbandono sulla strada di rifiuti non meglio classificati in prossimità del luogo di raccol prestabilito.
3.2. Ancora, la presenza di un delegato a seguire le fasi di conferimento dei rifiut circostanza riferita dai dipendenti NOME e COGNOME non è che labialmente rappresentata, essendo pacifico che, in materia ambientale, affinché la delega di funzioni sia valida (v. Sez. 3, n. 64 del 07/11/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238980 – 01), è necessaria la compresenza di precisi requisiti: a) la delega deve essere puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante’di poteri residuali di tipo discrezionale; b) il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli; c) il trasferimento dell funzioni delegate deve essere giustificato in base alle dimensioni dell’impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa; d) la delega deve riguardare non solo le funzioni ma anche i correlativi poteri decisionali di spesa; e) l’esistenza della delega deve esser giudizialmente provata in modo certo.
Si è poi aggiunto che il trasferimento delle funzioni deve essere giustificato dalle dimensioni o dalle esigenze organizzative dell’impresa, ferma restando la persistenza di un obbligo di vigilanza del delegante in ordine al corretto espletamento, da parte del delegato, delle funzioni trasferite (Sez. 3, n. 15941 del 12/02/2020, Fissolo, Rv. 278879 – 01).
Circostanze tutte non comprovate dal ricorrente che, in base al principio di «vicinanza della prova», aveva interesse a dedurre.
Infine, Il reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è configurabile confronti di qualsiasi soggetto che abbandoni rifiuti nell’esercizio, anche di fatto, di una att economica, indipendentemente dalla qualifica formale dell’agente o della natura dell’attività medesima (Sez. 3, n. 56275 del 24/10/2017, COGNOME, Rv. 272356 – 01).
3.3. Quanto poi al numero degli abbandoni ripresi dalle videocamere e alla riconducibilità della condotta ivi rappresentata alla attività alberghiera, riferita dagli operanti di p giudiziaria (isp. COGNOME, il quale riferisce che i rifiuti, per la loro quantità, andavano ad ingo
perfino la sede stradale), trattasi di questione di fatto insuscettibile di rivalutazione in se legittimità e contraddetta, peraltro, dalla nota di cui in narrativa.
Ad ogni buon conto, il Collegio rammenta che, secondo la giurisprudenza della Corte (Sez.
n. 33423 del 01/06/2023, Hagiu, Rv. 284999 – 01), «integra la contravvenzione di cui all’art.
256, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, la condotta del titolare di un’impresa o del responsabile di un ente che abbandoni o depositi in modo incontrollato rifiuti derivanti dallo
svolgimento di attività comunque riconducibili all’impresa o all’ente, in quanto dagli stess esercitabili anche in maniera occasionale ed illegale, essendo esclusa la configurabilità dell’illecit
penale nel solo caso in cui i rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato siano estrane a qualunque attività che, anche episodicamente, potrebbe svolgere l’impresa o l’ente»,
circostanza, questa, non dedotta se non labialmente.
4. Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile, ciò che esenta il Collegio dal valutare la sussistenza di cause di prescrizione del reato maturate dopo la sentenza di appello
(la cui sussistenza non era peraltro stata dedotta con i motivi di ricorso).
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della
Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativamente, in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15/05/2025.