Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 10474 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 10474 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: dalla parte civile COGNOME NOME nato a CAMPOBASSO il DATA_NASCITA nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nato a CAMPOBASSO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CAMPOBASSO il DATA_NASCITA nel procedimento a carico di questi ultimi avverso la sentenza del 27/06/2023 della CORTE APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi degli imputati COGNOME NOME e COGNOME NOME e per l’annullamento con rinvio limitatamente alle spese liquidate in favore della parte civile COGNOME NOME.
E’ presente l’avvocato COGNOME NOME, in difesa della parte civile COGNOME, che conclude per l’accoglimento del suo ricorso e l’inammissibilità dei ricorsi degli imputati. E’ presente per l’avvocato COGNOME NOME, difensore dei ricorrenti COGNOME NOME e COGNOME NOME, il sostituto processuale avvocato COGNOME, la quale, riportandosi ai motivi di ricorso e alla memoria già depositata, insiste nel loro accoglimento.
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RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 27.6.2023, la Corte di appello di Salerno, in sede di rinvio, ha confermato la sentenza del Tribunale di Campobasso che aveva dichiarato NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili del reato di abbandono incontrollato di rifiuti (art. 256, commi 1 e 2, d.lgs. n. 152/2006 rideterminando la pena loro inflitta e condannando gli imputati al risarcimento del danno in favore della parte civile NOME COGNOME.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il difensore degli imputati, lamentando quanto segue.
Violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., per essere la condanna intervenuta per un fatto diverso da quello contestato (non l’abbandono incontrollato, ma l’antecedente trasferimento dei rifiuti dalla tipografia dell imputata al capannone della stessa).
II) Vizio di motivazione in ordine alla natura di rifiuti dei beni trasferiti, assenza di qualsivoglia evidenza probatoria che attestasse la volontà dei prevenuti di disfarsene o di abbandonarli all’interno del capannone, peraltro di proprietà anche dell’imputata. Si evidenzia, inoltre, assenza di motivazione in ordine al contributo materiale e morale del COGNOME.
III) Illegalità della pena, avendo la Corte di appello applicato pene non previste (la reclusione e la multa) per la contravvenzione in contestazione.
Anche il difensore della parte civile propone ricorso per cassazione, censurando la liquidazione delle spese disposta dalla sentenza impugnata, in quanto operata in violazione delle disposizioni del d.m. 55/2014, come modificate nel 2018 e nel 2022, sia in relazione all’obliterazione di alcune voci, sia per violazione dei minimi tariffari.
La difesa degli imputati ha depositato memoria scritta con cui insiste nelle rassegnate conclusioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti nell’interesse degli imputati COGNOME e COGNOME devono essere dichiarati inammissibili.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
La doglianza non considera che il fatto-reato oggetto di condanna, per come dettagliatamente ricostruito in sentenza, ivi compresa la circostanza che i rifiuti, in un primo tempo scaricati all’interno di un capannone, erano stati spostati e posizionati sul terreno circostante, ha formato oggetto di contraddittorio fra le parti. Il riscontrato spostamento dei rifiuti, del resto, aveva anche fondato l’assoluzione pronunciata nella prima sentenza di appello, successivamente annullata dalla sentenza rescindente della Corte di cassazione, che aveva sostanzialmente chiarito come il nucleo centrale dell’addebito oggetto di contestazione fosse costituito proprio dall’illecito abbandono dei rifiut conseguente al mancato smaltimento degli stessi ad opera dei prevenuti.
La sentenza impugnata ha avallato tale prospettazione, avendo insindacabilmente accertato, alla luce di quanto processualmente emerso, l’univoca volontà degli imputati di dismettere i beni prelevati dalla tipografia riconducibile alla COGNOME e gestita dal COGNOME. In particolare, è stato legittimamente osservato che non poteva avere alcuna efficacia liberatoria dall’accusa il fatto che i rifiuti, a seguito dell’opposizione del fratello della NOME fossero stati spostati e abbandonati all’esterno dell’immobile; ciò, proprio perché gli imputati, non avendo provveduto al lecito smaltimento dei beni da loro dismessi, avevano di fatto aderito a tale illecita condotta (abbandono dei rifiuti all’esterno del capannone), contribuendo fattivamente alla realizzazione della stessa.
In tale prospettiva, l’obiezione difensiva secondo cui gli imputati non potevano ricollocare quei beni nel capannone in quanto non ne avevano le chiavi, al di là della sua palese inammissibilità perché attinente al merito, non si confronta con quanto riscontrato nella sentenza impugnata circa la necessità che quei beni, proprio perché dismessi, venissero regolarmente smaltiti in un centro autorizzato, operazione che i prevenuti si erano ben guardati dal compiere.
Il secondo motivo sviluppa inammissibili doglianze di merito, pretendendo in questa sede di legittimità di contestare quanto plausibilmente accertato in sede di merito in ordine alla natura di rifiuti dei beni in questione e in ordine a coinvolgimento del COGNOME nella commissione del reato.
Quanto al primo aspetto, la Corte territoriale ha precisato che, anche in assenza di caratterizzazione analitica, è indubbia la natura di rifiuti special (provenienti da attività produttiva) dei beni di cui si tratta, come confermato dall’ARPA nella nota in atti, che li descrive come apparecchiature dismesse consistenti, appunto, in rifiuti speciali codice CER 16024.
Quanto al coinvolgimento del COGNOME, la sentenza impugnata lo desume – non illogicamente – dalla riscontrata presenza del medesimo sui luoghi interessati dall’illecita condotta di abbandono, unitamente alla coimputata, per come riferito dai testi COGNOME NOME, COGNOME NOME NOME COGNOME NOME.
Per quanto attiene al terzo motivo, si deve osservare che l’indicazione, in dispositivo, di una specie di pena diversa da quella prevista dal reato in contestazione non configura una pena illegale, ma semmai un errore materiale che, in teoria, potrebbe essere rettificato da questa Corte ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen.
Tuttavia, il Collegio condivide il principio, di recente ribadito dalla Corte regolatrice, secondo cui il potere di rettifica dell’erronea denominazione della pena inflitta con la sentenza impugnata è esercitabile dalla Corte di cassazione nel solo caso in cui il ricorso sia ammissibile, in quanto la previsione dell’art. 619 cod. proc. pen. non ha carattere speciale e derogatorio rispetto a quella di cui all’art. 130 cod. proc. pen., che, ove il provvedimento da emendare sia impugnato, prevede la competenza del giudice dell’impugnazione, a condizione che quest’ultima non sia dichiarata inammissibile (Sez. 4, n. 40112 del 20/06/2023, Rv. 285067 – 01).
Ne discende che, stante l’inammissibilità dei ricorsi in disamina, non vi è spazio alcuno per l’applicabilità della disposizione di cui all’art. 619 cod. proc. pen., norma che presuppone la (corretta) instaurazione di un giudizio di legittimità nelle forme e con le modalità previste dall’art. 606 cod. proc. pen.
Il ricorso proposto dalla parte civile, in punto di liquidazione delle spese giudiziali, è fondato.
Sul tema, va ricordato che è ammissibile il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile avverso il capo della sentenza di condanna relativo alla rifusione delle spese in suo favore, quando sia dedotta la mancanza assoluta di motivazione della statuizione per l’omessa indicazione, anche in modo sommario, dei criteri di determinazione adottati per la liquidazione, con riferimento ai limiti tariffari previsti dal d.m. n. 155 del 2014, per le atti difensive svolte (Sez. 1, n. 7900 del 12/12/2019 – dep. 2020, COGNOME, Rv. 278474 – 01).
Nella specie, le doglianze sono fondate, dovendosi riconoscere che la Corte territoriale ha liquidato – in favore della costituita parte civile – le spese di lite tre gradi di giudizio (compreso quello di legittimità), in violazione delle disposizioni di cui al d.m. n. 55/2014. In particolare, la parte ricorrente ha
fondatamente riscontrato l’obliterazione di alcune voci e, soprattutto, la reiterata violazione dei minimi tariffari, in maniera tale da rendere chiaramente illegittimo il capo di sentenza riguardante la quantificazione di tali spese.
Dalle superiori considerazioni conseguono le seguenti statuizioni finali.
Va disposto l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla quantificazione delle spese di giudizio in favore delle parti civili, con rinvio, p nuovo giudizio sul punto, al giudice civile competente per valore in grado di appello, il quale provvederà anche alla regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Vanno dichiarati inammissibili i ricorsi proposti da COGNOME NOME e da COGNOME NOME; non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), i predetti ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali e al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla quantificazione delle spese di giudizio in favore delle parti civili e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 10 gennaio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente