Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27774 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27774 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8888/2021 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dagli AVV_NOTAIOti NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio del primo.
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio in INDIRIZZO, è elettivamente domiciliato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 934/2020 resa dalla Corte d’Appello di Torino, pubblicata il 28/9/2020 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/9/2025 dalla AVV_NOTAIO.AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Rilevato che:
1. Con atto di citazione notificato il 19/04/2016, NOME COGNOME, quale proprietario di un immobile a uso abitativo e del cortile di pertinenza, sito nel Comune di Castelnuovo Bormida, convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Alessandria, NOME COGNOME, sostenendo che questi, proprietario di due immobili ubicati al confine, avesse illegittimamente rialzato il colmo del tetto e realizzato, in tal modo, una sopraelevazione in violazione delle N.T.A. del Comune, le quali, all’art. 48, prevedevano l’obbligo di rispetto di una distanza di 5 mt. dal confine e di 10 mt. dagli edifici, e chiedendone la condanna alla demolizione, al risarcimento dei danni e alla riduzione in luce di taluna delle vedute aperte sulla facciata di sua proprietà.
Costituitosi in giudizio, NOME COGNOME eccepì la sussistenza di un accordo tra confinanti in ordine alla sopraelevazione dei tetti dei rispettivi edifici, chiese la reiezione della domanda avversaria sul presupposto che i lavori realizzati non avessero dato origine ad una nuova costruzione, soggetta alle disposizioni di cui all’art. 873 cod. civ., e contestò di aver realizzato vedute sulla facciata di sua proprietà, che ne era priva.
Con sentenza n. 158/2019, emessa il 25/02/2019 e pubblicata il 26/02/2019, il Tribunale di Alessandria rigettò la domanda attorea. Il giudizio di gravame, instaurato da NOME COGNOME, si concluse, nella resistenza di NOME COGNOME, che propose anche appello incidentale con riferimento alle spese di CTU, con la sentenza n. 934, pubblicata il 28/09/2020, con la quale la Corte d’Appello di Torino rigettò l’appello.
Contro la predetta sentenza, NOME propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. NOME NOME si difende con controricorso.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., le parti hanno depositato memorie illustrative.
Considerato che :
Occorre, preliminarmente, evidenziare che, come affermato di recente dalle Sezioni unite di questa Corte, nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380bis cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte -ed eventualmente essere nominato relatore del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380bis .1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, primo comma, n. 4, e 52 cod. proc. civ., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (Cass., Sez. U, 10/4/2024, n. 9611), sicché non rileva, nella specie, che il
collegio sia composto da un consigliere che ha anche redatto la proposta di definizione anticipata.
2.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 873 cod. civ. e 3, comma 1, lett. e), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, dopo avere affermato che il tetto era stato innalzato nella misura tra i cm. 20 e i cm. 4050 e trasformato da una falda sola a due falde, con spostamento e innalzamento del colmo, dando vita a una nuova costruzione, avevano, poi, erroneamente ritenuto che la sopraelevazione, di riAVV_NOTAIOe dimensioni, non avesse dato luogo ad una nuova costruzione, in quanto aveva realizzato un mero volume tecnico, privo di autonomia funzionale e, in quanto tale, non computabile nell’aumento di volumetria, con conseguente sua irrilevanza ai fini delle distanze. Il ricorrente ha, sul punto, evidenziato come l’innalzamento del tetto, elevato al di sopra della linea di gronda di un fabbricato preesistente, e in generale le sopraelevazioni, anche se di modeste dimensioni, costituissero sempre nuova costruzione, come affermato più volte da questa Corte e dal Consiglio di Stato, e rilevassero, pertanto, ai fini delle distanze ai sensi dell’art. 873 cod. civ..
Peraltro, era erronea anche la nozione di ‘volume tecnico’ delineata dai giudici di merito, posto che questo, per poter essere escluso dalla volumetria, avrebbe dovuto effettivamente contenere impianti, non altrimenti ubicabili, posti a servizio dell’abitazione principale, restando irrilevante la sola sua insuscettibilità di autonoma destinazione.
2.2 Il primo motivo è infondato.
Occorre, innanzitutto, premettere che, in tema di distanze legali, esiste, ai sensi dell’art. 873 cod. civ., una nozione unica di costruzione, consistente in qualsiasi opera non completamente
interrata avente i caratteri della solidità e immobilizzazione rispetto al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata, e che, pertanto, i regolamenti comunali, essendo norme secondarie, non possono modificare tale nozione codicistica, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, poiché il rinvio contenuto nella seconda parte dell’art. 873 cod. civ. ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una distanza maggiore (Cass., Sez. 2, 2/10/2018, n. 23843).
Orbene, nell’ipotesi di ristrutturazione con sopraelevazione di un fabbricato preesistente, così come di modificazione del tetto, l’altezza del nuovo edificio va calcolata considerando non la linea di gronda, ma quella di colmo, (data dalla retta d’intersezione tra le due falde piane di un tetto inclinato), configurandosi una nuova costruzione soltanto se essa produce un aumento della superficie esterna e della volumetria dei piani sottostanti, così incidendo sulla struttura e sul modo di essere della copertura (Cass., Sez. 2, 27/6/2023, n. 18281; Cass., Sez. 2, 27/5/2016, n. 11049; Cass., Sez. 2, 11/5/2016, n. 9646; Cass., Sez. 2, 5/6/2008, n. 14932; Cass., Sez. 2, 25/9/2006, n. 20786), salva l’ipotesi in cui il rialzo abbia funzioni meramente accessorie rispetto al fabbricato o sia funzionale alla sola allocazione d’impianti tecnici non altrimenti situabili, trattandosi in questo caso di un mero volume tecnico (vedi Cass., Sez. 2, 27/5/2016, n. 11049).
Come chiarito da questa Corte, costituisce volume tecnico, non computabile nella volumetria della costruzione, solo l’opera edilizia priva di autonomia funzionale, anche potenziale, perché destinata a contenere impianti serventi di un edificio principale, per esigenze tecnico funzionali dell’abitazione, che non possono essere ubicati nello stessa, come quelli connessi alla conAVV_NOTAIOa idrica e termica (in questi termini Cass., Sez. 2, 27/11/2018, n. 30708; Cass., Sez. 2, 27/5/2016, n. 11049) oppure il caso dell’innalzamento del colmo
per ragioni tecniche dipendenti dai nuovi materiali utilizzati e dalla coibentazione (in tal senso Cass., Sez. 2, 27/6/2023, n. 18281, che ha considerato irrilevante l’innalzamento del tetto di cm. 10/20 dovuto a siffatta ragione).
Peraltro, spetta al giudice di merito di volta in volta verificare, in concreto, se l’opera eseguita abbia le anzidette caratteristiche ovvero se, in ipotesi, avendo carattere ornamentale e funzioni meramente accessorie rispetto al fabbricato, vada esclusa dal calcolo delle distanze legali (Cass., Sez. 2, 21/3/2024, n. 7673; Cass., Sez. 2, 5/6/2008, n. 14932; Cass., Sez. 2, 25/9/2006, n. 20786), senza che abbia carattere dirimente quanto stabilito, sul punto, dall’autorità amministrativa, dovendo l’inabitabilità dell’ultimo piano di un edificio essere verificata in concreto, in relazione alle sue oggettive caratteristiche (Cass., Sez. 2, 22/8/1998, n. 8330).
Nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto che l’innalzamento del tetto e l’aumento di volumetria fossero modesti (aumento tra colmo e imposta variabile di cm. 20-40-50), che detta variazione non avesse creato un nuovo vano utile o utilizzabile nel sottotetto, stante l’angustia dello stesso, inidonea, per altezza, a consentire una stazione eretta per chi vi accede, che il sopralzo del tetto era stato reso necessario dallo spostamento della trave al di fuori della canna fumaria, onde mantenere la pendenza originaria, e quello della muratura dal consolidamento della medesima, onde consentire una migliore distribuzione dei carichi del tetto e la sua coibentazione, giungendo alla conclusione che tale manufatto non costituisse nuova costruzione, rilevante ai fini delle distanze, ma vano tecnico.
Né può ritenersi rilevante il fatto che in detto vano, a distanza di anni, non fossero stati sistemati degli impianti, sia in quanto la funzione accessoria non deve essere necessariamente concreta, ma
solo potenziale, dipendendo, come si è detto, dalle caratteristiche del vano, sia in quanto il sopralzo, con conseguente formazione del vano sottotetto con le descritte caratteristiche, era dovuto anche ai lavori di coibentazione e di consolidamento strutturale, in sé sufficienti per considerare tecnico il vano medesimo.
Consegue da quanto detto l’infondatezza della censura, la quale, ancorché prospettata in termini di violazione di legge, sollecita in realtà una rivisitazione nel merito della questione, attività questa sottratta a questa Corte di legittimità.
3.1 Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, nel qualificare come ‘volume tecnico’ il vano sottotetto risultante dall’innalzamento del tetto di copertura, non aveva considerato elementi (ossia le dichiarazioni dello stesso NOME COGNOME nei suoi scritti difensivi, secondo cui l’altezza del locale sottotetto era nel punto massimo di mt. 1.80 e non inferiore a mt. 1.50, come invece ritenuto in sentenza; gli accertamenti del c.t.u. in merito all’altezza – data dalla media mt. 1.55 – che andavano a riscontrare le stesse ammissioni del convenuto; i tre fotogrammi allegati alla c.t.u. e riproducenti lo stato dei luoghi; i disegni tecnici del c.t.u.), che avrebbero potuto escludere che il sottotetto, in ragione della sua altezza, fosse insuscettibile di alcuna utilizzazione o che potesse considerarsi vano tecnico, posto che nessun impianto in tanti anni vi era stato allocato.
3.2 Il secondo motivo è inammissibile.
Infatti, ne ll’ipotesi di c.d. «doppia conforme», prevista dall’art. 348ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introAVV_NOTAIOi con ricorso depositato o con citazione di cui sia
stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994), incombente questo rimasto inadempiuto nella specie.
4.1 Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta, infine, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di pronunciarsi sull’ammissione delle istanze istruttorie formulate dall’appellante (prove per interrogatorio formale e testi e acquisizione di atti depositati presso il Comune, previa eventuale nomina di c.t.u.; accertamento delle misure dei corsi di mattoni lavorati), non essendovi alcun richiamo ad esse nella motivazione della sentenza, benché queste assumessero rilevanza, atteso che quelle orali avrebbero consentito di accertare la doppia sopraelevazione realizzata dalla controparte, che l’ordine di esibizione del libretto delle misurazioni avrebbe consentito di verificare l’esattezza dei rilievi svolti dal c.t.u., stante la discrepanza dei dati, e l’istanza di integrazione e rinnovazione della c.t.u. avrebbe consentito di accertare la vetustà delle solette e la precisa misurazione della sopraelevazione.
4.2 Il terzo motivo è infondato.
Questa Corte ha più volte condivisibilmente affermato che, allorché il giudice di primo grado abbia rigettato l’ammissione di una deduzione istruttoria, ritenendola irrilevante, l’appellante ha l’onere
di censurare la statuizione di rigetto dell’istanza istruttoria con uno specifico motivo di gravame, non essendo sufficiente che egli impugni la sentenza, lamentando l’omessa pronuncia su domande e l’errata valutazione del materiale probatorio da parte del primo giudice, perché quello d’appello debba necessariamente compiere un nuovo apprezzamento discrezionale della complessiva rilevanza delle richieste istruttorie disattese in primo grado (v. Cass., Sez. 3, 8/2/2019, n. 3724; Cass., 22/01/2018, n. 1532; cfr. anche Cass., 27/02/2014, n. 4717; Cass., 20/10/2016, n. 21230; Cass., 27/10/2017, n. 25652).
Orbene, diversamente da quanto affermato dal controricorrente, risulta dalla sentenza impugnata che la causa era andata a decisione anche sulla richiesta di revoca dell’ordinanza ammissiva delle prove e di ammissione di quelle orali deAVV_NOTAIOe dalla parte attrice nella memoria ex art. 183 cod. proc. civ., senza che a tale istanza fosse seguita una pronuncia da parte dei giudici di merito.
Nonostante ciò, si evidenzia che il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (tra le tante Cass., Sez. 1, 29/11/2024, n. 30721; Cass., Sez. L, 1/7/2024, n. 18072; Cass., Sez. 6-1, 17/6/2019, n. 16214; Cass., Sez. 6-1, 7/3/2017, n. 5654).
Nella specie, le prove richieste e non ammesse riguardavano circostanze già accertate dal c.t.u. e, dunque, superflue, oltreché
non decisive a fronte delle considerazioni contenute nella sentenza, ciò che comporta l’infondatezza della censura.
5. In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo e del terzo motivo e l’inammissibilità del secondo, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono esser poste a carico del ricorrente.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in € 3.500,00,
nonché al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18/9/2025.
Il Presidente NOME COGNOME