Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17423 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17423 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17703-2024 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 125/2024 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 26/02/2024 R.G.N. 320/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’appello di Bologna ha accolto l’appello incidentale della RAGIONE_SOCIALE e, in riforma della sentenza di primo grado, ha
Oggetto
Licenziamento dirigente
R.G.N. 17703/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 15/04/2025
CC
respinto la domanda di NOME COGNOME dirigente della società, di impugnativa del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole il 19.2.2020.
2. La Corte territoriale ha premesso in fatto che: il 19.2.2020 la RAGIONE_SOCIALE ha intimato alla Biancato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo; il 28.2.2020 ha comunicato l’avvio della procedura di licenziamento collettivo per 49 dipendenti; l’11.3.2020 la Biancato ha impugnato il licenziamento individuale; il 12.3.2020 la società ha revocato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo; il 13.3.2020 la RAGIONE_SOCIALE ha collocato in ferie/congedo retribuito la dipendente ai sensi del D.P.C.M. emergenza Covid; il 16.3.2020 la Biancato ha rifiutato di accettare la revoca del licenziamento; il 17.3.2020 è entrato in vigore il decreto-legge 18/2020, il cui art. 46 ha disposto la sospensione delle procedure di licenziamento collettivo avviate dopo il 23 febbraio; il 22.3.2020 è entrato in vigore il D.P.C.M. che ha sospeso le attività produttive e commerciali sull’intero territorio nazionale; il 24.3.2020 la RAGIONE_SOCIALE ha comunicato la revoca della procedura di licenziamento collettivo; il 7.5.2020 la COGNOME ha confermato il rifiuto di accettare la revoca del licenziamento individuale; il 12.5.2020 la società ha contestato in via disciplinare alla predetta la mancata ripresa dell’attiv ità al termine della sospensione per emergenza Covid; il 28.5.2020 la RAGIONE_SOCIALE ha intimato il licenziamento per giusta causa che non è stato impugnato; il 20.4.2020 la COGNOME ha proposto ricorso in giudizio avverso il primo licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
La Corte d’appello ha interpretato le lettere della Biancato, quella dell’11.3.2020 di impugnativa del licenziamento e la successiva del 16.3.2020 di rifiuto della revoca del licenziamento, come volte a denunciare la nullità del recesso per
frode alla legge e, presupposta la denunciata nullità del licenziamento del dirigente, ha considerato lo stesso attratto nella disciplina dettata dal novellato art. 18, comma 10 St. Lav., che regola l’istituto della revoca del licenziamento. Ha preso atto della revoca disposta dalla società, valutata quale esercizio di un diritto potestativo avente efficacia ex sé, non subordinata all’accettazione da parte della lavoratrice, con conseguente ripristino automatico del rapporto di lavoro, poi legittimamente estinto dal successivo provvedimento di licenziamento per giusta causa, intimato in conseguenza della mancata ripresa del servizio e non impugnato.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria. La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello rilevato d’ufficio la nullità del licenziamento quantunque tale vizio non fosse stato azionato in causa e per avere, su tale presupposto, ritenuto sussistente il diritto potestativo del datore di lavoro di revocare unilateralmente il licenziamento, ai sensi dell’art. 18, comma 10 della legge 300 del 1970, come modificato dalla legge 92 del 2012.
La ricorrente sostiene che il profilo di nullità del licenziamento era rimasto estraneo all’oggetto della causa, come si ricava dal contenuto del ricorso introduttivo di primo grado nel corpo del quale si è sempre ribadita la illegittimità del licenziamento, con
richiesta di condanna della società al pagamento dell’indennità risarcitoria ex art. 24, comma 1 quinquies della legge 223 del 1991. Osserva che il contenuto della domanda, ai fini della valutazione del rispetto dell’art. 112 c.p.c., va individuato alla luce dell’atto introduttivo del giudizio, senza che possano avere rilievo gli atti che hanno preceduto il ricorso; che la Corte d’appello, pur avendo dato atto della domanda formulata dalla lavoratrice, di dichiarazione di illegittimità del licenziamento, ha poi rilevato d’ufficio la nullità dell’atto di recesso ed applicato, di conseguenza, la disciplina dell’art. 18, comma 10 citato, in tal modo incorrendo nel vizio di ultrapetizione.
Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 18, comma 10, cit. per avere la Corte d’appello ritenuto che il diritto potestativo di revoca ivi previsto possa essere esercitato anche nel caso in cui il licenziamento viziato non sia sanzionabile con la tutela reintegratoria prevista dal comma 1 dello stesso articolo, bensì con la tutela risarcitoria di cui all’art. 24 comma 1 quinquies, della legge 223 del 1991.
Il primo motivo di ricorso è fondato e ciò determina l’assorbimento del secondo motivo.
Occorre premettere che il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato oppure del principio del tantum devolutum quantum appellatum ; in tale ipotesi, ove si assuma che l’interpretazione degli atti processuali abbia causato l’omessa pronuncia su una domanda che si sostiene regolarmente
proposta, trattandosi della denuncia di un error in procedendo, la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (Cass. n. 15496 del 2007; n. 17109 del 2009; n. 21421/14).
Si è poi precisato che, quando con il ricorso per cassazione venga dedotto un error in procedendo , il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali si basa il ricorso medesimo, indipendentemente dall’eventuale sufficienza e logicità della motivazione adottata in proposito dal giudice di merito, atteso che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale (Cass.,. S.U. n. 8077 del 2012; Cass. n. 16164 del 2015; n. 8069 del 2016; n. 20716 del 2018). Si è, ancora, riconosciuto che il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda o delle eccezioni e di individuare le norme di diritto conseguentemente applicabili, anche in difformità rispetto alle indicazioni delle parti, incorrendo tuttavia nella violazione del divieto di ultrapetizione ove sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio dalle parti (Cass. n. 5153 del 2019; n. 13945 del 2012). Anche il giudice di appello ha il potere-dovere di interpretare e qualificare la domanda in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti o ritenuto dal giudice di primo grado, a condizione però che i fatti costitutivi della diversa fattispecie giuridica oggetto di riqualificazione coincidano o si pongano, comunque, in relazione di continenza con quelli allegati nell’atto introduttivo, incorrendo, altrimenti, nella violazione del divieto di ultrapetizione (Cass. n. 32932 del 2024).
5. Nel caso in esame, la lettura del ricorso introduttivo di primo grado, consentita a questa Corte in relazione all’ error in procedendo denunciato e alla luce del puntuale adempimento, da parte ricorrente, delle prescrizioni imposte dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c., rende palese come la sola domanda proposta dalla lavoratrice fosse volta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento perché intimato in violazione della procedura prevista dagli artt. 4 e 24, comma 1 quinquies, L. 223/1991. Fin d alla descrizione dell’oggetto del ricorso, nella prima pagina, e poi nelle considerazioni in diritto a p. 2, si prospetta unicamente il vizio di illegittimità del licenziamento, con richiesta di pagamento dell’indennità risarcitoria prevista ex lege.
Non solo, ma nel ricorso (p. 3) si esplicita come la ‘la Dott.ssa COGNOME non potrà formulare la domanda di nullità del licenziamento e, quindi, ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro, ma potrà richiedere il pagamento dell’indennità risarcitoria c ompresa tra le 12 e le 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Spetterà dunque al Giudice di merito, accertata la violazione, determinare l’ammontare dell’indennizzo che dovrà essere commisurato alla natura e alla gravità della violazione (cfr. art. 24, comma 1 quinquies L. 223/91)’. Si richiama la ‘comunicazione dell’11 marzo 2020 (con cui) la Dott.ssa COGNOME ha impugnato il licenziamento illegittimo contestando la violazione dell’art. 24, comma 1 quinquies, Legge 223/91′ (p. 3). Si ribad isce a proposito dell’art. 24, comma 1 quinquies, della L. 223/91 che ‘il Legislatore ha previsto, in caso di violazione ed in via automatica, soltanto un’indennità risarcitoria e non la reintegrazione ex comma 1, art. 18 St. Lav., che il dirigente può inv ocare solo in caso di nullità del licenziamento’ e che ‘l’art. 24, comma 1 quinquies L. 223/91 non ha carattere imperativo
e la sua violazione non comporta la nullità degli atti compiuti’ (p. 9). Nelle conclusioni (p. 21) la ricorrente ha chiesto, al capo n. 2, di ‘accertare e dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimato alla Dott. NOME COGNOME dalla società RAGIONE_SOCIALE con lettera datata 19 febbraio 2020 per violazione della procedura prevista dagli artt. 4 e 24, comma 1 quinquies, Legge n. 223/1991, e per l’effetto, ai sensi dell’art. 24, comma 1 -quinquies, della stessa legge, condannare RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, previo accertamento e declaratoria che la retribuzione globale di fatto della ricorrente era pari ad € 11.253,63.=, a corrispondere alla ricorrente un’indennità di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, pari a complessivi € 270.087,22.= per tutte le ragioni spiegate, ovvero la diversa somma ritenuta di giustizia avuto riguardo alla natura e alla gravità della violazione’.
In tal modo, tuttavia, i giudici di appello non si sono limitati ad una diversa qualificazione giuridica della domanda ma hanno
sostituito le deduzioni ed i fatti posti dalla lavoratrice a base della domanda con fatti e deduzioni diversi, ricavati da atti non aventi natura processuale, ritenendo che la dott.ssa COGNOME avesse proposto una domanda di nullità del licenziamento in realtà mai formulata nel ricorso introduttivo di primo grado, né nelle conclusioni né nelle argomentazioni in fatto e in diritto. Risulta quindi integrato il vizio di ultrapetizione, con violazione dell’art. 112 c.p.c., il che comporta l’accoglimento del primo motivo di ricorso e l’assorbimento del secondo motivo.
Per le ragioni esposte la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio del procedimento alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nell’adunanza camerale del 15 aprile 2025