Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20429 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20429 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 5258-2023 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, NOME, in qualità di eredi di NOME COGNOME, elettivamente domiciliate in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 3485/2022 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 19/10/2022 R.G.N. 2786/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 23/04/2024
CC
Con la sentenza n. 3485/2022 la Corte di appello di Napoli ha confermato la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, in qualità di eredi di NOME, volta al pagamento in proprio favore della somma di euro 63.475,82, oltre accessori.
La pretesa, in prime cure, era stata dichiarata infondata perché tra le parti erano intercorse quattro transazioni, sottoscritte in sede sindacale e quindi ritenute inoppugnabili, in cui veniva riconosciuta l’occasionalità del rapporto di lavoro.
I giudici di secondo grado, premesso che nelle suddette transazioni era stata dichiarata la soddisfazione di ogni pretesa, hanno rilevato che se le conciliazioni sindacali si sottraevano al regime di cui all’art. 2113 cc, tuttavia erano impugnabili per vizio del consenso tale da incidere sulla libertà di autodeterminazione dei soggetti; hanno, poi, ritenuto che, nel caso de quo , non era stata fornita una deduzione dei fatti sussumibili nella fattispecie dell’art. 1435 cc in quanto era stato solo affermato dalla lavoratrice di avere firmato i verbali in costanza di rapporto di lavoro, con cadenza annuale, nel timore di perdere il posto: tali elementi, però, a parere della Corte territoriale, erano inidonei a dimostrare quella ‘coazione’ quale elemento costitutivo del vizio della violenza morale.
Per la cassazione di tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato a tre motivi; hanno resistito con controricorso le intimate.
La ricorrente ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
Con i motivi di ricorso, illustrati unitariamente, la ricorrente denuncia: a) la violazione di legge ed in particolare delle norme sulle prove legali, di cui all’art. 360 n. 3 e n. 4 cpc, in relazione agli artt. 1427 e 1434 cc; b) la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, in relazione agli artt. 2697 c. 1 cc, art. 2727 cc, 2729 cc, art. 115 co. 1 cpc e art. 92 co.
2 cpc; c) il difetto di motivazione per contraddittorietà ed illogicità manifesta ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc.
Ella deduce che la Corte di appello non aveva tenuto conto dei principi affermati in sede di legittimità sulla violenza morale quale vizio invalidante del consenso, ove era stato precisato che anche la violenza non apparente del soggetto dominante nei confronti di quello debole rilevava ai fini della coartazione della volontà di una delle parti: di ciò la Corte di merito aveva fornito una motivazione illogica, soprattutto alla luce della circostanza riguardante la sottoscrizione di quattro verbali di conciliazione, per un periodo complessivo di sei anni senza soluzione di continuità, dove si affermava di avere svolto solo lavoro occasionale.
I motivi presentano profili di inammissibilità e di infondatezza.
Invero, le censure ivi formulate, al di là delle denunziate violazioni di legge, si limitano, in sostanza, in una richiesta di riesame del merito della causa attraverso una nuova valutazione delle risultanze processuali in quanto sono appunto finalizzate ad ottenere una revisione degli accertamenti di fatto compiuti dalla Corte territoriale (Cass. n. 6519/2019) che, con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc nuova formulazione ratione temporis applicabile, è giunta alla conclusione che la appellante non aveva né fornito una deduzione dei fatti concreti sussumibili nella fattispecie dell’art. 1435 cc né aveva assolto l’onere della prova a suo carico, in quanto si era limitata a ritenere la violenza in re ipsa per il solo fatto di avere firmato i verbali di conciliazione in costanza di rapporto e da ciò aveva inferito, come se fosse stata una ovvia conseguenza, il timore di perdere il posto di lavoro.
Sotto questo profilo, non è ravvisabile alcun vizio del ragionamento presuntivo posto a base della decisione in quanto, con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge
al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo, e neppure occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass. n. 22366/2021).
Nella fattispecie, è stato evidenziato dalla Corte territoriale che la COGNOME non aveva dedotto in concreto e nel reale atteggiarsi del rapporto intercorso tra le parti gli elementi costitutivi della violenza morale, omettendo di riferire da chi e quando sarebbe stata minacciata e quale sarebbe stato il comportamento tenuto da parte datoriale qualificabile come ‘coazione’.
Ne consegue l’infondatezza della asserita violazione degli artt. 2727 e 2729 cc.
Da ultimo va ribadito che, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 22232/2016; Cass. n. 3819/2020; Cass. n. 6758/2022) e che, nel caso in esame, si verte in una ipotesi di c.d. doppia conforme ex art. 348 ter, comma 5 cpc ove parte ricorrente non ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse siano tra loro diverse;
dall’altro, è opportuno ribadire che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 aprile 2024