Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20457 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20457 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23948/2021 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (QTTGLN52E48F839B)
-controricorrenti-
nonchè contro AVVISATO IMMACOLATA, RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 1807/2021 depositata il 12/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
La corte d’appello di Napoli con sentenza 12.4.21 ha annullato per vizio del consenso (violenza morale) la conciliazione intervenuta tra le parti in epigrafe (conciliazione sindacale che prevedeva rinuncia a diritti verso il cedente d’azienda), perché i lavoratori non l’avrebbero mai sottoscritta se non fosse stato generato il concreto timore della perdita del posto di lavoro; ha quindi dichiarato nullo il verbale di conciliazione e accertata la continuità del rapporto di lavoro con la Napoli servizi RAGIONE_SOCIALE sin dalla data di assunzione da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Avverso tale sentenza ricorre il datore per tre motivi, resistono con controricorso, accompagnato da memoria, i lavoratori.
Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, si è riservato il termine di giorni sessanta per il deposito del provvedimento.
CONSIDERATO CHE:
Il primo motivo di ricorso lamenta che la sentenza ha trascurato che l’assunzione è stata fatta da società in house, che resta
assoggettata a regole del pubblico impiego che escludono l’applicabilità dell’art. 2112 c.c..
Il motivo è inammissibile, atteso che nella sentenza impugnata non vi è traccia della questione, che non è riportata dalla parte nel motivo e che comunque è infondata, in applicazione dell’art. ex 31 t.u.p.i. (che richiama l’art. 2112 c.c.).
Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per aver ritenuto male ingiusto quello che era una mera offerta di alternativa occupazionale rispetto a un licenziamento, peraltro una situazione concordata con il sindacato che era presente alla conciliazione, e come tale inoppugnabile.
Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
Invero, questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi sulla stessa vicenda già in altre pronunce (cfr. 9555 del 24 e 9617/24), ove si è evidenziato che l’art. 2113 non importa inoppugnabilità in relazione ai motivi di annullamento dei negozi generali (v. anche Cass. Sez. L, Sentenza n. 12929 del 03/12/1991, Rv. 474853 -01, secondo la quale perfino la conciliazione giudiziale in materia di diritti del lavoratore garantiti da disposizioni inderogabili di legge si sottrae all’impugnazione prevista dall’art. 2113 cod. civ., ma non ai mezzi ordinariamente concessi alle parti di un contratto per farne valere i vizi che possono inficiarlo, ivi compresi quelli incidenti sulla formazione del consenso).
Cass. Sez. L ord. 9617/2024, in particolare, rileva che ‘dal combinato disposto dell’art. 2113 c.c. e dell’art. 411 c.p.c. non è dato rinvenire, come viceversa opinato dalla odierna ricorrente, limitazioni attinenti ai motivi di impugnazione da parte del lavoratore del negozio giuridico di rinunzia o transazione; la disciplina dettata dall’art. 2113 c.c. in tema di rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti e accordi collettivi rende
inoppugnabili tali negozi in caso di conciliazioni avvenute in sede protetta ma non limita in relazione a tale ambito la rilevanza dei vizi della volontà alla base del negozio stipulato’.
Per altro verso, le censure in concreto sviluppate non evidenziano alcuno specifico errore ricognitivo della portata delle norme indicate né, tantomeno, un vizio sussuntivo nella riconduzione ad esse della concreta fattispecie, ma risultano intese a rimettere in discussione l’accertamento di fatto alla base della decisione circa il ricorrere dei presupposti della violenza morale quale vizio del consenso, accertamento istituzionalmente riservato al giudice di merito; come già affermato in caso analogo (Cass. n. 27760 del 2022), è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 14476 del 2021).
Infine, va disatteso anche il terzo motivo, che lamenta vizio di motivazione ex art. 360 numero cinque c.p.c., per avere la cote territoriale ritenuto il rapporto già costituito a settembre sebbene ciò era avvenuto solo a novembre dopo la conciliazione: invero, il motivo rimette in discussione in sede non consona un accertamento di merito operato dalla corte territoriale in ordine al momento genetico del rapporto lavorativo.
Spese secondo soccombenza.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
p.q.m.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore di parte controricorrente delle spese di lite, che si liquidano in euro 9.000 per compensi professionali ed euro 200 per esborsi, oltre a spese generali al 15% ed accessori come per legge, con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 maggio 2025.