Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20811 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20811 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
Oggetto: Pignoramento e decreto di trasferimento di nuda proprietà – Consolidazione antecedente Conseguenze – Rilevabilità in giudizio diverso da quello esecutivo – Esclusione.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13913/2020 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO.ti NOME AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, presso il cui studio in INDIRIZZO, INDIRIZZO, è elettivamente domiciliato.
-ricorrente –
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso RAGIONE_SOCIALE
-controricorrente –
e contro
COGNOME NOME e COGNOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO, sono elettivamente domiciliati
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 630/2020, resa dalla Corte d’Appello di Roma, pubblicata il 29/1/2020 e notificata il 4/2/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 maggio 2024 dalla AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
Rilevato che:
1. I coniugi COGNOME convennero in giudizio davanti al Tribunale di Frosinone NOME COGNOME e NOME COGNOME, deducendo di essere divenuti titolari della quota di 10/32 della proprietà del negozio sito in FiuggiINDIRIZZO, in forza di decreto di trasferimento del G.E. in data 14 luglio 2011 emesso all’esito dell’espropriazione a carico del medesimo COGNOME, di essere, dunque, subentrati ex art. 1602 cod. civ. nel contratto di locazione commerciale stipulato da quest’ultimo con la conduttrice COGNOME nel 1997 e di avere di conseguenza diritto al pagamento del canone di locazione a decorrere dal 14 luglio 2011, e chiedendo che venissero accertati tali diritti e condannato il conduttore COGNOME al pagamento dei canoni dovuti, con pronuncia, in difetto, di risoluzione del contratto di locazione.
Il giudizio – nel quale si costituirono i convenuti contestando le domande e deducendo, quanto al COGNOME, che gli attori erano divenuti titolari della sola quota di nuda proprietà del locale e, quanto alla COGNOME, di voler essere manlevata dal COGNOME in relazione ai canoni nelle more versati – si concluse con la sentenza n. 721/15, con la quale il Tribunale di Frosinone respinse le domande, con compensazione delle spese, evidenziando che gli atti esecutivi, il pignoramento, l’ordinanza di vendita e il decreto di trasferimento menzionavano esclusivamente la nuda proprietà del locale e che l’avvenuto decesso dell’usufruttuaria NOME COGNOME nel 1985, ossia
anteriormente al pignoramento, non era stato stato fatto valere come vizio degli atti esecutivi in sede di opposizione.
Il giudizio d’appello, incardinato dai coniugi COGNOME, si concluse, nella resistenza dei convenuti COGNOME e COGNOME, con la sentenza n. 630/2020, pubblicata il 29 gennaio 2020, con la quale la Corte d’Appello di Roma riformò la sentenza impugnata, dichiarando che NOME COGNOME e NOME COGNOME erano titolari della quota di 10/32 della piena proprietà del negozio in Fiuggi e condannò, per l’effetto, NOME COGNOME al pagamento, in loro favore, dei 10/32 dei canoni maturati dal 14 luglio 2011, relativamente al contratto di locazione già concluso con NOME COGNOME nel 1997, e quest’ultimo a tenere indenne la conduttrice dal suo indicato importo dei canoni riscossi dal 14 luglio 2011, sostenendo che, nonostante, all’epoca del pignoramento, il COGNOME risultasse, alla stregua delle risultanze dei registri immobiliari, titolare della sola quota di nuda proprietà del negozio, l’usufrutto fosse all’epoca già cessato ope legis in conseguenza dell’avvenuto decesso dell’usufruttuaria, ossia la madre dell’esecutato, che la riespansione della proprietà costituisse effetto automatico della cessazione dell’usufrutto, senza necessità di disposizione negoziale o determinazione giudiziale, e che di tale errore si era avveduto lo stesso c.t.u. nominato in sede esecutiva, allorché aveva stimato la quota piena di proprietà in luogo della nuda proprietà.
Contro la predetta sentenza, propone ricorso NOME COGNOME, affidato a cinque motivi.
Resistono con controricorso i COGNOME COGNOME.
Con separato controricorso, NOME COGNOME fa proprie le ragioni del ricorrente.
Tutte le parti hanno depositato memorie.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 118, disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito contraddittoriamente affermato che il pignoramento era caduto su un bene inesistente e, contestualmente, che i coniugi COGNOME si erano aggiudicati la piena proprietà del medesimo bene in ragione della naturale provvisorietà del diritto di usufrutto e della simmetrica inclinazione espansiva della nuda proprietà, non potendo un diritto inesistente trasformarsi nel diritto alla piena proprietà.
Con il secondo motivo di ricorso, proposto in subordine, si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di pronunciarsi sull’eccezione di nullità dell’intera procedura esecutiva sollevata in entrambi i gradi del giudizio, sul presupposto che il pignoramento del bene, in quanto avente ad oggetto la nuda proprietà, ancorché l’usufruttuaria fosse all’epoca già deceduta, fosse nullo in quanto caduto su bene inesistente, con conseguente nullità degli atti successivi, ivi compresa la vendita.
Con il terzo motivo di ricorso, subordinato al precedente, si lamenta la violazione del principio di diritto, pur non codificato, che fa divieto al creditore procedente -a pena di nullità dell’intera procedura esecutiva -di smembrare, a suo libito, il diritto di piena proprietà in inesistenti diritti parziari, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., e la violazione e/o errata applicazione dell’art. 555 cod. proc. civ., nella parte in cui impone al creditore procedente di indicare, nell’atto di pignoramento, i diritti (ovviamente esistenti) che si intendono
sottoporre ad esecuzione, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché la Corte d’Appello aveva disatteso l’eccezione di nullità della procedura, sollevata dal ricorrente, sostenendo che, all’epoca del pignoramento, il COGNOME risultasse dai registri immobiliari titolare della sola quota di nuda proprietà, benché la madre, usufruttuaria, fosse già deceduta, e che, pur essendo il pignoramento caduto su diritto inesistente (ossia la nuda proprietà del bene pignorato), questo diritto si fosse trasformato in piena proprietà. Ad avviso del ricorrente, il pignoramento ricadente su un diritto parziario non più esistente al momento della procedura ne comporta l’assoluta inidoneità funzionale, rilevabile d’ufficio e opponibile in qualsiasi momento senza vincolo di termine perentorio, come affermato da Cass., 4/9/1985, n. 4612, secondo cui non è permesso al creditore di smembrare il diritto di proprietà nei diritti parziari, non essendo possibile pignorare diritti inesistenti e implicando la vendita diritti esistenti, ma non la costituzione di diritti nuovi, giacché, altrimenti, la funzione di pubblicità dei registri verrebbe meno perché eventuali acquirenti possono conoscere solo il pignoramento della nuda proprietà. Peraltro, il richiamo alla stima operata dal c.t.u. sulla piena proprietà della quota era del tutto irrilevante, così come era infondato il tentativo della controparte di applicare alla fattispecie l’art. 2929 cod. civ., siccome riguardante la nullità degli atti esecutivi precedenti la vendita e non le nullità riguardanti la vendita (rilevabili d’ufficio e opponibili in qualsiasi momento), tale essendo quella di specie in quanto riguardante un diritto inesistente.
Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 586 cod. proc. civ., nella parte in cui prevede che nel decreto di trasferimento debba essere fedelmente riportata la medesima descrizione del bene
espropriato contenuta nell’ordinanza di vendita, da cui segue il corollario secondo cui, nell’espropriazione immobiliare, oggetto del trasferimento è solo ed esclusivamente il bene descritto nell’ordinanza di vendita e nel successivo decreto di trasferimento, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello respinto l’eccezione di nullità della intera procedura esecutiva, benché avrebbe dovuto quantomeno accogliere l’ulteriore eccezione, sollevata in entrambi i gradi del giudizio, secondo cui, in sede di esecuzione forzata, si trasferisce all’aggiudicatario esclusivamente il bene descritto nell’ordinanza di vendita e nel successivo decreto di trasferimento, come sancito da Cass., 25/8/2006, n. 18492. I giudici di merito avevano dunque errato allorché hanno affermato l’inapplicabilità alla specie dei principi di cui alla citata pronuncia di legittimità, in quanto afferente ad un’ipotesi in cui l’usufrutto era effettivamente esistente all’epoca del pignoramento.
Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta, infine, la violazione degli artt. 1602 cod. civ. e 106 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
A dire del ricorrente, dalla fondatezza degli altri motivi di ricorso discende come conseguenza la cassazione della sentenza impugnata per avere la Corte d’Appello riconosciuto il diritto dei coniugi COGNOME di vedersi corrispondere i canoni di locazione, senza considerarne invece l’inesistenza di un tale diritto, posto che il terzo acquirente subentra nei diritti derivanti dal contratto di locazione solo ove abbia acquistato la piena proprietà del bene locato, ciò che nella specie non era avvenuto.
Le prime quattro censure, da trattare congiuntamente in quanto tutte afferenti all’eccezione di nullità della procedura esecutiva e articolate ora sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione, ora sotto quello dell’omessa decisione, ora
della violazione di legge, sono inammissibili in questa sede, con logico assorbimento della quinta.
Come espressamente evidenziato dagli stessi controricorrenti (v. pag. 11 controricorso) non sono stati mai dedotti vizi della procedura esecutiva e quindi il dato può ritenersi ormai acquisito nel dibattito processuale.
Se anche il tema non fosse stato introdotto, in ogni caso si applicherebbe la regola affermata da Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15964 del 20/07/2011; Sez. 3, Ordinanza n. 35004 del 2022 e altre.
Ciò premesso, è evidente che le prime quattro censure afferiscono a difese che non avrebbero potuto fin dall’origine essere proposte e che avrebbero dovuto condurre ad una pronuncia di inammissibilità, alla stregua del principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui le parti del processo esecutivo hanno l’onere di denunciare con l’opposizione ex art. 617 cod. proc. civ. l’erroneo trasferimento all’aggiudicatario di un cespite oggetto di pignoramento, essendo inammissibile l’autonoma azione da esse eventualmente proposta al fine di contrastare gli effetti dell’esecuzione, ponendoli nel nulla o limitandoli (Cass., Sez. 3, 21/9/2022, n. 27677; Cass., Sez. 2, 15/10/2018, n. 25687; Cass., Sez. 3, 4/9/1985, n. 4612).
Infatti, il legislatore, al fine di raggiungere l’obiettivo di tutelare le ragioni del creditore affinché questi, attraverso l’intervento del giudice, possa ottenere celermente quanto dovuto dal debitore esecutato, ha strutturato un procedimento idoneo ad assicurare, ai terzi interessati all’acquisto del bene oggetto di espropriazione, la sicurezza e la stabilità degli effetti del provvedimento conclusivo, contemplando un sistema chiuso per l’emersione dei vizi, che, a salvaguardia dell’affidamento qualificato dell’aggiudicatario sulla stabilità della vendita
giudiziaria (sul punto, diffusamente, Cass., Sez. 3, 08/02/2019, n. 3709), impone di far emergere eventuali irregolarità occorse nelle fasi della procedura esecutiva entro un tempo circoscritto e mediante l’impiego dei rimedi processuali appositamente prescritti (Cass., Sez. 3, 21/9/2022, n. 27677 cit.), essendo in contrasto con i principi ispiratori del sistema, sia con le regole specifiche relative ai modi e ai termini delle opposizioni esecutive, ammettere la proposizione, dopo la conclusione dell’esecuzione e la scadenza dei termini per le relative opposizioni, di azioni volte a contrastare gli effetti dell’esecuzione stessa sostanzialmente ponendoli nel nulla o limitandoli (vedi Cass., Sez. L, 08/05/2003 , n, 7036), e dovendo, perciò, il soggetto leso reagire all’interno del processo e coi mezzi apprestati dall’ordinamento (Cass., Sez. 3, 21/9/2022, n. 27677 cit.).
Ciò significa che, nonostante il provvedimento conclusivo del procedimento esecutivo non abbia efficacia di giudicato (vedi Cass., Sez. L, 08/05/2003, n. 7036, cit.), la parte o l’aggiudicatario che intenda contestare la legittimità di un atto del processo esecutivo o la validità ed efficacia dell’aggiudicazione e della vendita forzata ha l’onere, inteso in stretto senso tecnico, di dispiegare i relativi strumenti processuali, con le forme e le modalità previste dalla disciplina di rito (e, quindi, in primo luogo attraverso l’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 cod. proc. civ., in tal senso, Cass., Sez. 3, 20/10/2020, n. 22854), decadendo, altrimenti, dalla possibilità di fare valere le relative ragioni, salva la dimostrazione che l’esperimento dei rimedi endoesecutivi non gli era in alcun modo possibile prima della definitiva chiusura della procedura esecutiva in ragione della data in cui era insorta l’effettiva e concreta possibilità di far valere la causa di invalidità, nonostante
una condotta improntata all’ordinaria diligenza (Cass., Sez. 3, 21/9/2022, n. 27677 cit.).
Gli stessi principi valgono, peraltro, anche quando debbano farsi valere « eventuali difformità tra risultanze e consistenza del bene come effettivamente individuate nel decreto di trasferimento rispetto a quelle reali », le quali devono ugualmente essere fatte valere all’interno del processo esecutivo con gli appropriati rimedi oppositivi (vedi Cass., Sez. 3, 21/9/2022, n. 27677, che cita anche Cass., Sez. 2, Sentenza n. 17811 del 22/06/2021; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12430 del 16/05/2008; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5796 del 13/03/2014; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 25687 del 15/10/2018; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 16219 del 19/05/2022; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 22854 del 20/10/2020), vieppiù nei confronti dell’aggiudicatario, come nel caso di specie, la cui situazione giuridica soggettiva, ai sensi dell’art. 2929 cod. civ., non può essere incisa salvo il caso di collusione col creditore -da iniziative extra ordinem dell’esecutato, quand’anche attinenti a pretesi vizi relativi all’assegnazione o alla vendita ( Cass., Sez. 3, 21/9/2022, n. 27677 cit.).
Resta, pertanto, irrilevante quanto affermato dai giudici di merito, allorché, entrando nel merito della contesa, hanno ritenuto che, all’epoca del pignoramento, il ricorrente, alla stregua delle risultanze dei registri immobiliari, risultasse titolare della sola quota di nuda proprietà, benché l’originaria usufruttuaria, fosse da tempo deceduta, e che il consolidamento, essendo avvenuto ex lege , non potesse che estendersi anche all’aggiudicatario, ancorché l’esecuzione avesse avuto ad oggetto la sola quota di nuda proprietà, giacché quanto asserito, pur coerente con il principio affermato da Cass., Sez. 3, 14/4/2023, n. 10017, secondo cui il codice civile non conosce la c.d.
“nuda proprietà” come diritto distinto dalla proprietà, essendo i suoi tratti contenutistici desunti dal combinato disposto delle norme in tema di proprietà e di quelle in tema di usufrutto, ossia in via di mera sottrazione, dal contenuto del primo, dei poteri e delle facoltà che formano il contenuto del secondo ed essendo perciò il concetto di origine dottrinale, oltreché funzionale esclusivamente a descrivere la situazione della proprietà gravata da usufrutto, flette necessariamente a fronte della inammissibilità originaria di una difesa volta a contrastare gli effetti dell’esecuzione, in contrasto col principio della intrinseca definitività degli atti e provvedimenti del giudice dell’esecuzione in forza della loro solo pronuncia, siccome funzionalizzati all’ordinato sviluppo della sequenza procedimentale in cui si inseriscono, senza che ciò sia inficiato dalla previsione di un sistema di rimedi, assistiti da rigorosi termini decadenziali, o dalla loro normale revocabilità (Cass., Sez. U, 14/12/2020, n. 28387).
Dal l’esito dei primi quattro motivi, deriva logicamente l’assorbimento del quinto, siccome incentrato sugli effetti derivanti dalla definitività dell’aggiudicazione della piena proprietà del bene in ordine al contratto di locazione precedentemente concluso dall’originario proprietario.
In conclusione, dichiarata l’in ammissibilità dei primi quattro motivi e l’assorbimento del quinto, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.
Vanno compensate nei rapporti con la COGNOME (che ha concluso per l’accoglimento del ric orso).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; compensa le spese tra il ricorrente e la COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del