Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5656 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23531/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME AVV_NOTAIO e domiciliata presso il domicilio digitale della medesima,
pec:
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME, e domiciliata presso il domicilio digitale del medesimo
Pec:
Civile Ord. Sez. 3   Num. 5656  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
-controricorrente- avverso la SENTENZA  della CORTE  D’APPELLO  di CATANIA  n. 1257/2022 depositata il 23/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
La società RAGIONE_SOCIALE, conduttrice di un immobile sito in INDIRIZZO INDIRIZZO e composto da due piani fuori terra e da un piano cantinato, in forza di contratto stipulato in data 11/6/2008 con la proprietaria NOME COGNOME, e garantito dai fideiussori NOME COGNOME e NOME COGNOME, propose opposizione ad un decreto ingiuntivo con cui il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE le aveva intimato il pagamento, in favore della locatrice, dei canoni rimasti insoluti all’esito del recesso esercitato dalla conduttrice in data 2/10/2015. A sostegno dell’opposizione allegò che, avendo preso in locazione l’immobile per destinarlo a casa di riposo, l’immobile era risultato affetto da vizi per avere la RAGIONE_SOCIALE negato il certificato di abitabilità del piano cantinato che, nel progetto di essa conduttrice, avrebbe dovuto consentire la realizzazione di una struttura ricettiva per la terza età con 16 posti letto.
A causa di tale vizio dedusse di aver già adito le vie giurisdizionali e di aver ottenuto una sentenza, dello stesso Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, che le aveva riconosciuto il diritto alla riduzione proporzionale del corrispettivo del canone di locazione, nella misura indicata dal C.T.U, in conseguenza della mancata abitabilità del piano cantinato. Oltre a tale profilo, lament ò che l’immobile era in condizioni di degrado ed interessato da varie infiltrazioni di acqua, tali da giustificare la propria eccezione di inadempimento e la legittimità della non debenza del
canone di locazione fino all’esecuzione di lavori necessari per rendere l’immobile in stato da servire all’uso convenuto.
La COGNOME, nel costituirsi in giudizio, prospettò che la predetta sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE era stata annullata dalla Corte d’Appello con rinvio al giudice di primo grado.
I due giudizi vennero riuniti e i fideiussori svolsero atto di intervento volontario  per  far  valere  la  nullità  della  fideiussione,  sia  perché discendente dalla nullità della locazione, sia perché non delimitata nei suoi  effetti  e  dunque  in  contrasto  con  l’art.  1938  c.c.  Gli  stessi fideiussori avevano, altresì, proposto separata opposizione al decreto ingiuntivo spiegato pure nei loro confronti ed anche questo giudizio fu riunito ai primi due.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE rilevò che, sebbene per ragioni urbanistiche, considerato il difetto di abitabilità del piano interrato, l’autorizzazione del comune fosse stata rilasciata soltanto per 10 (e non 16) posti letto, in ogni caso il piano seminterrato era rimasto nella disponibilità della conduttrice, e neppure era dato desumere dal contratto che fosse stata pattuita una maggiore ricettività. Quanto allo stato d ell’edificio , il Tribunale accertò che la locatrice aveva autorizzato l’esecuzione di lavori, concordando per i primi cinque anni, un canone minore, ritenne che non risultava l’inadempimento della locatrice e che neppure sussistevano i gravi motivi per l’esercizio del legittimo recesso della conduttrice senza preavviso; conseguentemente ritenne che la locatrice avesse diritto al pagamento dei canoni, quali pattuiti in contratto, e che la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento della conduttrice fosse da accogliere; ritenne altresì la nullità della fideiussione dei garanti per violazione dell’art. 1938 c.c. Avverso la sentenza i fideiussori proposero appello lamentando: 1) la violazione dell’art. 1578 e ss. c.c. per non aver considerato che
l ‘impossibilità  di  destinare  il  piano  interrato  all’attività  d’impresa prevista aveva inciso sul potenziale fatturato annuo atteso; 2) la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1346, 1418 e 1419 c.c. e 3) la necessità di accertare l’inadempimento del locatore alle obbligazioni di cui all’art. 1576 c.c.
La COGNOME si costituì nel giudizio di appello.
La Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 1257 del 23/6/2022, ha ritenuto la carenza di legittimazione all’appello dei fideiussori , per essere stata in primo grado dichiarata nulla la fideiussione, così da escludere che i fideiussori avessero qualcosa di cui lagnarsi; ha rigettato integralmente il gravame ritenendo che il contratto escludeva espressamente che il mancato rilascio di una o più autorizzazioni, anche se dipendenti dallo stato della villa locata, potesse comportare la risoluzione del contratto né la possibilità di non pagare i canoni; ha affermato che il recesso avrebbe dovuto essere preceduto da un preavviso di almeno 18 mesi e che gravava sul conduttore l’onere di accertarsi che le caratteristiche del bene fossero adeguate a quanto necessario per lo svolgimento dell’attività ; ha ritenuto che non sussisteva la pretesa nullità del contratto. Conclusivamente la corte territoriale ha rigettato il gravame e condannato la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e i fideiussori al pagamento delle spese del giudizio.
Avverso la sentenza la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi cui resiste NOME COGNOME con controricorso.
Considerato che :
con il primo motivo -deducente violazione e falsa applicazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. e dell’art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione agli artt. 91 e 92 c.p.c.,  nonché  omessa  o  insufficiente  e  contraddittoria  motivazione circa il regolamento delle spese adottato dal giudice- si lamenta che la sentenza  ha  errato  nel  condannare  alle  spese  i  fideiussori  quando,
avendo essi ottenuto la dichiarazione di nullità della fideiussione, la locatrice avrebbe dovuto essere condannata a pagare le spese in loro favore.
Il motivo è inammissibile per carenza di legittimazione attiva all’impugnazione ,  in  quanto  gli  unici  legittimati  a  contestare  il  capo relativo  alle  spese  sarebbero  stati  i  fideiussori  che,  non  essendosi doluti,  hanno  determinato  il  passaggio  in  giudicato  sulla  statuizione contestata. Palese risulta la carenza di interesse a proporre il motivo in esame.
Con il secondo motivo di ricorso -prospettante violazione e falsa applicazione degli artt. 1578 e 1580 c.c. nonché violazione dell’art. 2697 e 1460 c.c. in relazione all’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c. la ricorrente censura la sentenza per aver considerato che l’unica via d’uscita per la conduttrice fosse quella del recesso anticipato dal contratto e non anche quella della riduzione del canone, quando invece, la RAGIONE_SOCIALE aveva espressamente chiesto la riduzione del canone.
Il motivo è inammissibile quanto alla dedotta violazione e falsa applicazione delle norme degli artt. 1578 e 1580 c.c., in quanto, di fronte alla chiarezza della motivazione della sentenza là dove essa ha sostenuto che la vicenda era regolata solo dalla pattuizione contrattuale della clausola 8 circa il recesso, sostiene, senza spiegare come e perché, che sarebbero state applicabili quelle norme, la cui rilevanza la corte ha escluso proprio per la presenza della clausola contrattuale. Il motivo non svolge alcuna considerazione che si faccia carico di tale esclusione e, dunque, è inidoneo a criticare la motivazione della sentenza, in quanto ad essa non si correla.
Viene in rilievo il consolidato principio di diritto di cui a Cass. n. 359 del 2005, ribadito, ex multis , anche dalle sezioni Unite nella sentenza n. 7074 del 2017, sebbene in motivazione non massimata sul punto.
Quanto alla doglianza ex art. 360 n. 5 c.p.c., in disparte che si risolve in una sollecitazione a rivalutare risultanze istruttorie e non identifica nemmeno il o i fatti omessi, è palese che essa resta assorbita dalla sorte della doglianza in iure che comporta la rilevanza decisiva della clausola contrattuale.
Con  il  terzo  motivo  di  ricorso -che  fa  valere  violazione  e  falsa applicazione  degli  artt.  1575,  1576  nonché  dell’art.  116  c.p.c.  in relazione  all’art.  360  nn.  3,  4  e  5  c.p.c.  si  lamenta  che  la  corte territoriale  non  abbia  riconosciuto  la  sussistenza  di  uno  stato  di degrado tale da incidere sulla possibilità di utilizzazione dell’immobile. Anche  questo  motivo  è  inammissibile  perché  volto  a  sollecitare  il riesame dei fatti e delle prove.
La violazione dell’art. 116 c.p.c. non è dedotta osservando la giurisprudenza di questa Corte secondo cui ‘ In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione ‘ (così Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020).
Con il quarto motivo -violazione e falsa applicazione dell’art. 91 e 92 cpc in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. la ricorrente si duole del regime delle spese.
Il quarto motivo è un ‘non motivo’, dato che auspica che venga meno la statuizione sulle spese in conseguenza dell’accoglimento di alcuno dei motivi precedenti, cosa che sarebbe discendente dal primo comma dell’art. 336 c.p.c.
Conclusivamente il ricorso è dichiarato inammissibile e la ricorrente è condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,  da  parte  della  ricorrente,  di  una  somma  a  titolo  di contributo unificato pari a quella versata per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione che liquida in € 6000 (oltre € 200 per esborsi), più accessori e spese generali al 15 %. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile