Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30517 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 30517 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/11/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 11433/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente principale-
e
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente incidentale- contro
CONDOMINIO INDIRIZZO PAULLO, elettivamente
domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME , rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 3189/2020, pubblicata il 3/12/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/10/2025 dal Consigliere NOME COGNOME;
sentito il Pubblico Ministero, in persona della Sostituta procuratrice generale NOME COGNOME , che ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi;
sentito il difensore della ricorrente incidentale RAGIONE_SOCIALE.
FATTI DI CAUSA
Il RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO, sito in Paullo, conveniva davanti al Tribunale di Lodi le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, chiedendo di accertare la responsabilità delle convenute per i vizi e i difetti dell’immobile condominiale, come accertati nel procedimento di accertamento tecnico preventivo, e quindi di condannare le società al risarcimento dei danni da quantificare in base all’importo necessario all’eliminazione dei vizi.
L’attore ded uceva che lo stabile oggetto di causa era stato costruito dalle società e che, in base alla relazione di un proprio tecnico, erano presenti gravi difetti sia nelle parti comuni che in quelle private, vizi e difetti che il consulente tecnico d’ufficio nominato nel procedimento di accertamento tecnico aveva determinato in euro 241.670,00.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE, la quale deduceva che l’immobile era di proprietà dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE, che aveva affidato la realizzazione delle opere all’impresa
edili RAGIONE_SOCIALE e che, con atto del 15 giugno 2005, l’edificio già realizzato a livello di rustico era stato alienato alle convenute che, poi, avevano venduto i singoli appartamenti. La convenuta sosteneva, quindi, di non avere mai rivestito il ruolo né di committente né di costruttrice dell’edificio e che la committente dell’opera era l’impresa RAGIONE_SOCIALE e la costruttrice l’impresa RAGIONE_SOCIALE.
Con sentenza n. 424/2017 il Tribunale di Lodi rigettava la domanda dell’attore, considerando i vizi riscontrati non attribuibili alle società convenute.
Detta sentenza veniva impugnata dal RAGIONE_SOCIALE.
Con la sentenza n. 3189/2020 la Corte d’appello di Milano ha accolto il gravame e ha condannato RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in solido tra loro, al pagamento in favore del RAGIONE_SOCIALE di euro 224.382,81, oltre rivalutazione e interessi successivi al saldo.
Avverso la sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbano essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò ogni ricorso successivo al primo, indipendentemente dalla forma assunta, è da considerarsi ricorso incidentale (cfr. in tal senso, ex multis , Cass. n. 25662/2014).
Risulta proposto per primo il ricorso della società RAGIONE_SOCIALE, notificato in data 20 aprile 2021, che va pertanto qualificato quale ricorso principale. Il ricorso della società RAGIONE_SOCIALE, notificato in data 10 maggio 2021, va, quindi, qualificato quale ricorso incidentale.
Resiste con atti di controricorso rivolti avverso ciascuno dei due ricorsi il RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO, in Paullo.
RAGIONI COGNOMEA DECISIONE
Il ricorso principale è articolato in tre motivi tra loro strettamente connessi.
Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 694-696 c.p.c.
Si sostiene che la Corte d’appello ha condannato RAGIONE_SOCIALE e la ricorrente in solido tra loro sulla base dei risultati della consulenza tecnica che si era svolta nel procedimento di accertamento tecnico preventivo, ma essa non era stata chiamata a partecipare a tale procedimento; la notifica del ricorso era stata, infatti, effettuata dal RAGIONE_SOCIALE a soggetto diverso, RAGIONE_SOCIALE, che non era riconducibile alla stessa ricorrente; l’RAGIONE_SOCIALE costituiva, infatti, una società distinta dalla RAGIONE_SOCIALE pur avendo la sede legale allo stesso indirizzo; all’indirizzo indicato nella notifica dell’atto era ubicata la sede legale della ricorrente, presso lo studio del suo commercialista, così come di altre società.
Il secondo motivo lamenta violazione delle norme sul litisconsorzio necessario, in particolare violazione degli artt. 163, 164, 354 c.p.c.
Si evidenzia che essa ricorrente non era stata chiamata nel giudizio di primo grado e non aveva partecipato a tale giudizio in violazione delle norme sul litisconsorzio necessario; il giudice d’appello non aveva dichiarato la nullità della sentenza di primo grado, mentre avrebbe dovuto dichiararla e rimettere la causa al primo giudice per nullità della citazione introduttiva ovvero per mancata integrazione del contraddittorio; nell’atto di citazione di primo grado la ricorrente asserisce che non risultava essere stata chiamata in giudizio e identificata esattamente con il codice fiscale come prevede l’art. 163, n. 2, c.p.c.; non assume rilevanza che nel
giudizio d’appello il RAGIONE_SOCIALE convenuto in giudizio la ricorrente, causa la mancata vocatio in ius nel giudizio di primo grado.
3) Il terzo motivo deduce violazione degli artt. 160, 162 e 164 c.p.c.
Si rappresenta che la citazione in appello di entrambe le società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e la dichiarazione di contumacia di entrambe da parte della Corte d’appello avvalora vano il vizio dell’indeterminatezza del soggetto convenuto in giudizio.
I motivi sono infondati e vanno, pertanto, rigettati.
La ricorrente sostiene che non è stata chiamata a partecipare al procedimento di accertamento tecnico preventivo e al primo grado del processo, con la conseguenza che la consulenza tecnica svolta nel procedimento istruttorio non era utilizzabile nei suoi confronti e il giudice d’appello avrebbe dovuto dichiarare la nullità del processo di primo grado e rimettere la causa al Tribunale e questo perché è stata citata non la società RAGIONE_SOCIALE, ma la società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e a quest’ultima sono stati notificati il ricorso per l’accertamento tecnico preventivo e l’atto introduttivo del processo.
La nullità denunciata dalla ricorrente non sussiste: ai sensi dell’art. 164, primo comma c.p.c., la citazione è nulla se è omesso o risulta assolutamente incerto alcuno dei requisiti di cui al n. 2 dell’art. 163 c.p.c. Nel caso in esame la denominazione della persona giuridica chiamata in giudizio è stata non correttamente indicata – RAGIONE_SOCIALE invece che RAGIONE_SOCIALE -ma l’errore non si è tradotto in assoluta incertezza dell’individuazione della società convenuta, considerato che la citazione è stata notificata presso la sede legale della persona giuridica e, al riguardo, non rileva che la sede della società fosse presso il commercialista della medesima, in quanto all’indirizzo si
trovava la sola RAGIONE_SOCIALE (si veda al riguardo Cass. n. 5209/1978, secondo la quale ‘quando venga convenuta in giudizio una persona giuridica privata, l’indicazione inesatta o incompleta della sua denominazione determina la nullità della citazione solo se risulti assolutamente incerta o equivoca l’identificazione dell’ente convenuto ‘ , nonché Cass. n. 23816/2007, Cass. n. 2678/1998 e Cass. n. 5814/1981).
Peraltro, a prescindere dalla riconducibilità del vizio denunciato alla categoria della nullità, vanno effettuate ulteriori considerazioni.
Per quanto concerne l’accertamento tecnico preventivo, va ricordato che ‘la relazione conclusiva di un accertamento tecnico preventivo, se ritualmente acquisita al giudizio di cognizione, entra a far parte del materiale probatorio regolarmente prodotto e sottoposto al contraddittorio anche se una delle parti del giudizio di merito non ha partecipato al procedimento di istruzione preventiva e, perciò, è liberamente apprezzabile e utilizzabile, quale elemento di prova idoneo a fondare il convincimento del giudice nel raffronto con le altre risultanze istruttorie acquisite, nei confronti di tutte le parti del processo’ (cfr. in tal senso Cass., n. 8496/2023 e Cass., n. 13229/2015). Per quanto concerne il giudizio di primo grado, va considerato che la ricorrente è stata regolarmente citata nel giudizio d’appello con la corretta denominazione RAGIONE_SOCIALE, cosicché la ricorrente avrebbe dovuto fare valere l’eventuale nullità della citazione nel giudizio di primo grado quale motivo d’appello. Essendo rimasta contumace, il vizio non è proponibile davanti a questa Corte di cassazione, trattandosi di nullità che ai sensi del primo comma dell’art. 161 c.p.c. si converte in motivo di impugnazione.
Il ricorso principale va, pertanto, rigettato.
Il ricorso incidentale è articolato in undici motivi.
I primi due motivi sono tra loro strettamente connessi e possono essere esaminati congiuntamente:
il primo motivo denuncia violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo discusso fra le parti; contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili per avere la sentenza affermato la decorrenza del termine decadenziale da due date differenti;
il secondo motivo lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 1669 c.c. in combinato disposto con gli artt. 2935, 2943 e 2966 c.c. e con l’art. 145 c.p.c. per avere la sentenza riconosciuto effetto impeditivo della decadenza e interruttivo della prescrizione alla notifica di un atto eseguita con modalità difformi da quelle normativamente previste.
I motivi sono destituiti di fondamento.
Con il primo motivo si denuncia la contraddittorietà della sentenza impugnata che, in relazione al rispetto dei termini di decadenza e di prescrizione di denuncia dei vizi, afferma da un lato che la decorrenza del termine va stabilita nel giorno in cui è stata depositata la consulenza tecnica nel procedimento di accertamento tecnico preventivo e, dall’altro lato, sostiene che il termine di cui all’art. 1669 c.c. decorre dalla scoperta dei vizi nel novembre 2009, quando il RAGIONE_SOCIALE ha acquisito la piena comprensione dei vizi e difetti tramite i risultati della perizia del tecnico COGNOME.
Il contrasto denunciato non sussiste.
La Corte d’appello ha affermato che solo con la relazione del consulente tecnico nominato nel procedimento di accertamento tecnico preventivo, relazione depositata il 22 maggio 2010, il RAGIONE_SOCIALE ha avuto ‘piena contezza che i vizi e difetti di costruzione riscontrati nel fabbricato oggetto di perizia erano dovuti alla realizzazione delle opere non a regola d’arte’, così che da quel momento è iniziato a decorrere il termine annuale di decadenza della denuncia dei vizi. Peraltro, ha aggiunto il giudice d’appello, anche a considerare quale dies a quo per la denuncia il 16 novembre 2009, data nella quale si è avuto il deposito della
relazione del tecnico del RAGIONE_SOCIALE, i termini di decadenza e di prescrizione di cui all’art. 1669 c.c. sono stati rispettati. Il giudice d’appello ha , infatti, osservato come il 20 febbraio 2010 sia stato introdotto il procedimento per accertamento tecnico preventivo, cui la giurisprudenza di questa Corte riconosce efficacia interruttiva della prescrizione che si protrae fino alla conclusione del procedimento, ritualmente coincidente con il deposito della relazione del consulente nominato (cfr. ad esempio Cass. n. 8637/2020), deposito che si è avuto -come appena detto -il 22 maggio 2010. Il 9 maggio 2011, il 3 maggio 2012 e il 29 aprile 2013 il RAGIONE_SOCIALE ha chiesto il ristoro dei vizi riscontrati con l’accertamento tecnico preventivo, cosicché all’atto della notifica della citazione -ha concluso il giudice d’appello senza contraddirsi -non erano maturati né il termine di decadenza, né quello di prescrizione.
Con il secondo motivo si lamenta che la notifica del ricorso per accertamento tecnico preventivo non ha costituito valido atto impeditivo della decadenza, in quanto la notificazione del ricorso alla RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore è avvenuta presso INDIRIZZO; la visura camerale della società attestava che fin dalla costituzione la sede sociale è sempre stata quella di Milano, INDIRIZZO, mentre l’indirizzo di INDIRIZZO era il domicilio dell’allora amministratrice unica della società.
Il motivo è infondato.
Al riguardo la Corte d’appello, alla quale la censura è già stata proposta, ha osservato che la notifica è stata regolarmente effettuata presso la residenza dell’amministratore espressamente indicato nella sua qualità di legale rappresentante; l’unica irregolarità è data dal fatto che nella richiesta di notifica viene indicato erroneamente il riferimento alla sede sociale, facendola
coincidere con l’indirizzo di residenza dell’amministratore, ma tale irregolarità non può ritenersi rilevante in quanto gli elementi prescritti dall’art. 145 c.p.c. sono comunque presenti. La notificazione in oggetto è stata, pertanto, validamente effettuata, così che al ricorso per l’ATP va riconosciuta l’efficacia di valido atto interruttivo della decadenza.
Il terzo, il quarto e il quinto motivo sono tra loro strettamente conness i e possono, anch’essi, essere trattati unitariamente :
il terzo motivo lamenta violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo discusso fra le parti; mancanza assoluta di motivazione per non avere la sentenza motivato circa la posizione del RAGIONE_SOCIALE in ordine allo stato di realizzazione dell’edificio alla data del 15/06/2005;
il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo discusso fra le parti; motivazione apparente, in subordine argomentativo rispetto al terzo motivo;
il quinto motivo deduce violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo discusso fra le parti; motivazione apparente, perplessa e obiettivamente incomprensibile per avere la sentenza ritenuto che il RAGIONE_SOCIALE non potesse conoscere lo stato di realizzazione dell’edificio alla data del 15/06/2005.
I motivi sono privi di fondamento.
Essi investono tutti e tre vizi attinenti alla motivazione della sentenza impugnata (il primo mancanza assoluta di motivazione, il secondo motivazione apparente, il terzo motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile) per avere la Corte non argomentato ovvero argomentato in modo apparente o perplesso circa la posizione del RAGIONE_SOCIALE in ordine allo stato di realizzazione dell’edificio.
La censura isola una frase della motivazione della sentenza impugnata, senza considerare la frase successiva. La Corte ha infatti chiaramente affermato che da un lato il RAGIONE_SOCIALE ha sempre contestato che i vizi riscontrati fossero riconducibili unicamente alle opere già realizzate al momento dell’acquisto da parte di COGNOME e che, in ogni caso, anche se non aRAGIONE_SOCIALE contestato che alcune opere erano già realizzate, le allegazioni in ordine alla responsabilità del venditore/costruttore fatte valere dal RAGIONE_SOCIALE priverebbero di significato la non contestazione su tale punto di fatto.
La motivazione della Corte sul punto è, quindi, esistente, non è apparente e neppure contraddittoria (si ricorda che, in conformità all’esegesi svolta dalle sezioni unite di questa Corte con le sentenze n. 8053 del 2014 e n. 8038 del 2018, il sindacato di legittimità sulla motivazione è ridotto al “minimo costituzionale”, con la conseguenza che risulta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione).
3) Il sesto motivo denuncia violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo discusso fra le parti; mancanza assoluta di motivazione per non avere la sentenza motivato circa l’imputabilità soggettiva a COGNOME di ciascun fatto dannoso.
Il motivo è infondato.
Ad avviso della ricorrente la motivazione della sentenza impugnata sarebbe, ancora, omessa perché la Corte d’appello non avrebbe giustificato la responsabilità della ricorrente per le opere effettuate prima del suo acquisto.
Il vizio non sussiste, avendo la Corte d’appello interpretato l’atto di vendita e avendo quindi ritenuto, sulla base di tale atto, che la ricorrente si fosse impegnata al completamento dell’opera dovendo
provvedere al rifacimento delle parti non correttamente costruite o al completamento delle opere, in modo da emendare i vizi eventualmente già presenti (cfr. pag. 5 e inizio pag. 6 della sentenza impugnata).
Il settimo motivo lamenta violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo discusso fra le parti; motivazione meramente apparente per non avere la sentenza argomentato circa la riconducibilità dei vizi alla categoria della gravità.
Il motivo non è meritevole di accoglimento.
Secondo la ricorrente la motivazione della sentenza impugnata sarebbe meramente apparente laddove riconduce i vizi e i difetti riscontrati dal consulente tecnico d’ufficio alla garanzia di cui all’art. 1669 c.c.
Il vizio non sussiste, avendo la Corte sostenuto che le ‘descritte alterazioni incidono sulla struttura e funzionalità globale dell’edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile’ , accertamento, quindi, idoneo a ricondurre la responsabilità nell’alveo dell’art. 1669 c.c. .
L’ottavo motivo denuncia violazione dell’art. 101 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 145 c.p.c. per avere la sentenza ritenuto utilizzabile nei confronti di COGNOME la perizia resa in sede di accertamento tecnico preventivo benché la procedura sia stata radicata con la notifica di un atto eseguita con modalità difformi da quelle normativamente previste.
Il motivo è infondato.
Con il motivo si deduce l’inutilizzabilità nei confronti di essa società RAGIONE_SOCIALE della consulenza tecnica resa in sede di accertamento preventivo, in quanto il procedimento non si sarebbe instaurato correttamente a causa dell’invalidità della notifica del ricorso introduttivo perché la notificazione del ricorso era stata effettuata
alla COGNOME in persona del legale rappresentante pro tempore presso il suo luogo di residenza.
In relazione a tale notificazione se ne è già affermata supra sub 1 la validità, essendo essa affetta da una mera irregolarità. In ogni caso, come si è visto in relazione al ricorso principale, la consulenza espletata in sede di accertamento tecnico preventivo, se ritualmente acquisita al giudizio di cognizione, entra a fare parte del materiale probatorio regolarmente prodotto e sottoposto al contraddittorio anche se una delle parti del giudizio di merito non abbia partecipato al procedimento di istruzione preventiva.
6) Il nono motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la sentenza omesso di pronunciarsi in ordine all’eccezione di carenza parziale di legittimazione attiva del RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo è infondato.
Con esso la ricorrente sottolinea di aver eccepito in primo grado la carenza parziale di legittimazione attiva del RAGIONE_SOCIALE, avendo questo agito a tutela anche di elementi di proprietà esclusiva dei singoli condomini, eccezione che, rimodulata alla luce della rinuncia parziale del RAGIONE_SOCIALE alle proprie domande, è stata reiterata in appello; su tale eccezione la Corte avrebbe omesso completamente di pronunciare.
Il vizio non sussiste in quanto la Corte d’appello (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata) ha precisato che ‘l’appellante nel presente grado ha rinunciato alla richiesta relativa ai vizi e difetti che riguardavano parti private del RAGIONE_SOCIALE‘. D’altro canto, nel motivo la ricorrente non precisa quali vizi relativi alle parti private sarebbero stati considerati nella liquidazione dei danni da parte del giudice d’appello, cosicché non è possibile, sulla base dell’esposizione del motivo, verificare se effettivamente costi relativi a vizi delle parti esclusive sono stati addebitati dalla Corte d’appello. Pertanto, la doglianza risulta priva del necessario
requisito di specificità che bisogna osservare per il ricorso in cassazione.
Il decimo motivo lamenta violazione dell’art. 1362 c.c. in combinato disposto con l’art. 1669 c.c. per avere la sentenza impugnata applicato erroneamente i criteri di ermeneutica contrattuale e su tale base delineato erroneamente il ruolo di COGNOME.
Il motivo è privo di fondamento.
Con esso si lamenta che la Corte d’appello abbia assegnato alla ricorrente la veste di costruttore/venditore sull’unica base della clausola 6 del contratto di compravendita, esaminata supra in relazione al sesto motivo, in forza della quale ‘la parte acquirente assume a proprio carico la prosecuzione delle opere sino alla fase di finitura finale con esonero della parte venditrice da responsabilità a riguardo’. Ad avviso della ricorrente la clausola è stata interpretata dalla Corte d’appello violando i criteri di ermeneutica contrattuale e, in particolare, quelli previsti dall’art. 1362 c.c.
Senonché, al riguardo, va ricordato che l’interpretazione del contratto è compito riservato al giudice di merito, che non può quindi essere sindacato da parte di questa Corte di legittimità ove, come nel caso in esame, la censura si risolva nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni (cfr. per tutte Cass. n. 28319/2017).
L’undicesimo motivo deduce violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo discusso fra le parti; mancanza assoluta di motivazione per non avere la sentenza motivato circa la sussistenza di colpa in capo a COGNOME ai fini dell’applicabilità dell’art. 1669 c.c.
Con il motivo la ricorrente ribadisce che la presunzione di colpa prevista dall’art. 1669 c.c. è applicabile solo a carico del soggetto che abbia realmente specificamente ricoperto il ruolo di appaltatore e la Corte d’appello avrebbe omesso qualsiasi pronuncia sul tema.
Il motivo non può essere accolto in quanto non è ravvisabile il denunciato vizio di omessa pronuncia.
La Corte d’appello, come si è già detto, ha ritenuto la responsabilità della ricorrente, per i vizi e difetti riscontrati dal consulente tecnico d’ufficio nel procedimento di accertamento tecnico preventivo, in quanto nella qualità di appaltatrice che ha portato a compimento l’opera essa è responsabile di non avere posto rimedio ai vizi già esistenti, responsabilità che si è specificamente assunta con la sopra ricordata clausola 6 del contratto di vendita. In ogni caso, va ricordato che ‘l’azione di responsabilità di cui all’art. 1669 c.c. ha natura extracontrattuale e, trascendendo il rapporto negoziale (appalto o vendita) in base al quale l’immobile è pervenuto nella sfera di un soggetto diverso dal costruttore, può essere esercitata nei confronti di quest’ultimo, quando abbia veste di venditore, anche da parte degli acquirenti’ (cfr. in tal senso , ad es., Cass. n. 23470/2023).
Il ricorso incidentale va, in definitiva, integralmente rigettato.
III. Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e pertanto le due ricorrenti, nei cui confronti il RAGIONE_SOCIALE ha fatto valere distinti atti di controricorso, vanno condannate al pagamento delle spese in favore dello stesso controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate – a carico di ciascuna – in euro 6.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio seguita alla pubblica udienza della sezione seconda civile, in data 16 ottobre 2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME