Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 19585 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 19585 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 02116/2020 R.G., proposto da
MINISTERO DELL’INTERNO , in persona del Ministro pro tempore ; rappresentato e difeso ope legis dall’ Avvocatura Generale dello Stato; con domiciliazione digitale ex lege ;
-ricorrente-
nei confronti di
NOME COGNOME rappresentato e difes o dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura a margine del ricorso; NOME COGNOME NOME COGNOME , NOME COGNOME rappresentati e difesi
dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura a margine del ricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrenti-
per la cassazione della sentenza n. 6795/2019 della CORTE d’APPELLO di ROMA, pubblicata l’8 novembre 2019 ;
udìta la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udìto il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udìto l’Avv. NOME COGNOME dell’Avvocatura Generale dello Stato, per il Ministero ricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. A seguito d ell’ omicidio di NOME COGNOME, rimasto vittima di un agguato di mafia nell’ambito di contrasti tra le cosche presenti nel territorio di Paola, i figli NOME COGNOME e NOME COGNOME -il primo, imputato per reati di produzione e spaccio di sostanze stupefacenti e condannato per lesioni personali; il secondo, imputato del reato di detenzione di sostanze stupefacenti in relazione al quale aveva patteggiato la pena -formularono istanza, insieme ad altri fratelli, volta ad ottenere l’accesso ai benefici che la legge n. 302 del 1990 riserva alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata; la Commissione Consultiva istituita per l’istruttoria rilevò la manca nza, in capo ad entrambi, dei requisiti soggettivi richiesti per la concessione dei benefici e, di conseguenza, l’Amministrazione adottò un provvedimento di dinego.
Gli interessati, dopo essersi rivolti al TAR Lazio al fine di sentir pronunciare l’annullamento del provvedimento di diniego, a seguito di declaratoria di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, convennero il Ministero dell’Interno davanti al Tribunale di Roma per sentirne pronunciare la condanna al pagamento dei suddetti benefici; nelle more del giudizio, verificatosi il decesso di NOME COGNOME, si costituirono gli eredi NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME BartoloCOGNOME
Il Tribunale di Roma accolse la domanda degli eredi di NOME COGNOME e rigettò quella di NOME COGNOME.
La Corte d’appello di Roma -adìta con impugnazione principale da NOME COGNOME e con impugnazione incidentale dal Ministero dell’Interno -, con sentenza 8 novembre 2019, n. 6795, ha accolto la prima e rigettato la seconda.
La Corte territoriale, individuata la disciplina applicabile nella legge n. 302 del 1990, nel testo vigente al momento della presentazione della domanda e non in quello novellato con il decreto-legge n. 151 del 2008, e richiamata l’ordinanza n. 21306 del 2015 di questa Corte di legittimità, secondo cui gli aventi diritto al beneficio sono titolari di un vero e proprio diritto soggettivo alla sua erogazione, in assenza di potestà discrezionali della Pubblica Amministrazione, in parziale riforma della sentenza di prime cure, ha accertato anche in capo a NOME COGNOME l’esistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi per l’erogazione dei benefici ed ha condannato il Ministero dell’Interno a d erogare la speciale elargizione di cui agli artt. 4 e 12 della legge n. 302 del 1990, oltre che al pagamento delle spese del grado.
Ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’ Interno, sulla base di due motivi.
Hanno resistito NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME con controricorso.
La trattazione del ricorso, originariamente fissata in adunanza camerale, è stata rinviata alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria 16 aprile 2024, n. 10319 e rifissata, unitamente a quella di altri ricorsi concernenti controversie similari, con decreto del Presidente Titolare di questa Sezione del 6 febbraio 2025.
Il Procuratore Generale, anticipando le medesime richieste formulate in udienza, ha depositato memoria con conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del ricorso.
I contro ricorrenti hanno depositato memoria per l’udienza .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso -nullità della sentenza per motivazione inesistente e/o apparente; violazione delle norme di cui all’art. 118 disp. att. c od. proc. civ. e 132 cod. proc. civ. -l’Amministrazione ricorrente lamenta motivazione apparente sulle disposizioni applicabili ratione temporis .
Sostiene che, in base al principio tempus regit actum , la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere applicabile la legge vigente al momento della presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’erogazione del beneficio e , soprattutto, non avrebbe motivato quanto alle ragioni per le quali, invece, sarebbe stata da disapplicare la normativa sopravvenuta vigente al momento di conclusione del procedimento amministrativo.
Secondo l’ amministrazione ricorrente, il diritto soggettivo alla prestazione delle provvidenze nascerebbe ‘ nel momento in cui il procedimento amministrativo si conclude con un provvedimento positivo e costitutivo, in seguito all’accertamento appunto dei requisiti oggettivi e soggettivi che devono esserci al momento del riconoscimento dei benefici ‘ ; ciò che troverebbe conferma nella modifica legislativa di cui all’art. 2 -quinquies del decreto-legge n. 151 del 2008, convertito nella legge n. 186 del 2008, che avrebbe disvelato l’intento del legislatore di escludere dall ‘ammissione al beneficio i soggetti che, pur non avendo al tempo della presentazione dell’istanza alcun coinvolgimento con la criminalità organizzata, lo hanno avuto successivamente; viene richiamato, al riguardo, anche l’art. 2 -quinquies , comma 2, del decreto-legge n.151/2008, secondo cui il sopravvenuto mutamento delle condizioni previste dagli artt. 1 e 4 della legge n. 302 del 1990 e successive modificazioni comporta l’interruzione delle erogazioni disposte e la ripetizione integrale delle somme pagate.
Con il secondo motivo di ricorso -violazione degli artt. 11 disp. prel. cod. civ., 2quater e 2quinquies del d.l. 2 ottobre 2008 n. 151, come convertito -il Ministero dell’Interno lamenta che la Corte territoriale, a fronte di un provvedimento di diniego del 18 giugno 2009, abbia erroneamente fatto riferimento -nell’individuare la norma da applicare -al momento di presentazione dell’istanza e non anche a quello di conclusione del procedimento amministrativo; ciò, in palese contrasto con il principio tempus regit actum , che richiede che la
legittimità del provvedimento sia valutata con riferimento alle norme vigenti al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale.
Prima di scrutinare i motivi di ricorso vanno delibate le eccezioni formulate dai controricorrenti con il controricorso e ribadite con la memoria illustrativa.
3.1. Viene, anzitutto, eccepita l’improcedibilità del ricorso per omesso deposito, da parte del Ministero, dei fascicoli di parte dei gradi precedenti; gli eccipienti reputano che, contrariamente a quanto sostenuto dall’ Amministrazione ricorrente e dallo stesso Pubblico Ministero, l’onere in questione non potrebbe ritenersi assolto mediante la produ zione dell’istanza ex art. 369, terzo comma, cod. proc. civ., la quale solleverebbe la parte dall’onere di depositare il fascicolo d’ufficio, non anche da quello di depositare il fascicolo di parte.
3.1.a. L’ eccezione è infondata, atteso che la pronuncia del massimo consesso di questa Corte evocata dagli stessi eccipienti (Cass., Sez. Un., n. 22726 del 2011) fa riferimento anche alla presenza del fascicolo di parte nel fascicolo d’ufficio.
In ogni caso, nella fattispecie, ai fini dello scrutinio dei motivi non è necessario esaminare gli atti, dovendosi giudicare in iure la motivazione resa dal giudice d’appello, criticata dalla parte ricorrente .
3.2. Viene, in secondo luogo, sollevata una eccezione preliminare di difetto di interesse al ricorso per mancata impugnazione, da parte dell’Amministrazione ricorrente, d ei capi di sentenza a sé sfavorevoli e per essere stato circoscritto il gravame alla prospettazione della sola violazione degli artt. 2quater e 2quinquies del decreto-legge n. 151/2008. In particolare, il Ministero non avrebbe gravato in sede di
legittimità la statuizione in fatto resa in secondo grado, secondo cui NOME e NOME COGNOME avrebbero posseduto i requisiti per ottenere i benefici di legge. Inoltre, neppure sarebbe stato impugnato (« né in punto di ricostruzione in fatto, né in punto di motivazione in diritto ») il capo della sentenza d’appello avente ad oggetto la condanna al pagamento delle somme spettanti, né il Ministero si sarebbe riservato tali doglianze per l’eventuale giudizio di rinvio.
La questione relativa all’applicabilità o meno degli artt. 2quater e 2quinquies del decreto-legge n. 151/2008 non potrebbe neppure essere rivalutata ai sensi dell’art. 336 c od. proc. civ., dal momento che da tale applicabilità non discenderebbe alcun automatismo decisivo nel diniego dei chiesti benefici; ciò, i n quanto l’ipotetica ‘ contiguità con ambienti malavitosi ‘ p otrebbe essere neutralizzata dai criteri derogatori di accidentalità ed estraneità/dissociazione previsti dallo stesso art. 2quinquies , da ll’art. 1 , comma 2, lett. b) , della legge n. 302/1990 e dall’art. 11 della stessa legge; a tali criteri derogatori il Ministero non avrebbe neppure accennato, quantunque abbiano costituito un punto dibattuto in primo grado e in appello.
3.2.a. L’ eccezione è inammissibile, in quanto indica il preteso giudicato interno in modo del tutto generico; e comunque infondata, in quanto omette di considerare che i due motivi di ricorso criticano la motivazione per la sua assertorietà in iure (il primo) e per la sua infondatezza in iure (il secondo).
3.3. Del tutto pretestuose sono poi le eccezioni di inammissibilità dei motivi di ricorso singolarmente considerati, le quali evocano in modo non pertinente una inesistente violazione dei principi di
specificità ed autosufficienza e persino -stigmatizzando una mera imprecisione formale contenuta nella rubrica del primo motivo -la confusione tra la regola delle disposizioni di attuazione del codice di rito che disciplina la motivazione della sentenza (art. 118 disp. att. cod. proc. civ.) con quella del codice stesso che regola l’ispezione giudiziale (art. 118 cod. proc. civ.).
Ciò posto, i motivi di ricorso -da esaminarsi congiuntamente per ragioni di evidente connessione -sono fondati.
4.1. Essi, in sintesi, pongono la questione se la modifica apportata all’art. 1, comma 2, lett. b) , della legge n. 302 del 1990, dall’art. 2 -quater del decreto-legge n. 151 del 2008 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 186 del 2008), abbia portata innovativa dell’ordinamento giuridico, con conseguente soggezione alla regola generale dell’ irretroattività (in quanto la condizione da esso prevista ai fini della fruizione dei benefici stabiliti dalla legge n. 302 del 1990 -vale a dire l ‘ estraneità ad ambienti e rapporti delinquenziali del richiedente la provvidenza -si traduca in una modifica della struttura della fattispecie legale da cui discende il diritto soggettivo del beneficiario, la quale, nella formulazione anteriore richiedeva la sussistenza di tale requisito solo ‘ al tempo dell’evento ‘ ) ovvero se abbia valore meramente ricognitivo di un connotato già intrinseco alla predetta fattispecie legale che dà diritto all ‘ elargizione (e, dunque, di un elemento costitutivo negativo della stessa, quale pre-requisito indispensabile in relazione allo scopo della legge), con conseguente esclusione di portata innovativa e con circoscrizione della sua efficacia alla chiarificazione di un precetto già immanente nella disciplina
originaria, la quale, pur agganciando formalmente la sussistenza del presupposto dell’ estraneità agli ambienti malavitosi al momento dell’evento lesivo, ne postulava tuttavia la perdurante ed attuale sussistenza al momento della concessione del beneficio, quale presupposto necessario del diritto ad ottenerlo.
4.2. L ‘illustrata questione di diritto è stata già affrontata e risolta da questa Corte di legittimità con riguardo al diritto all’accesso al Fondo di rotazione per le vittime della mafia, istituito con legge n. 512 del 1999. Al riguardo, questa Corte ha affermato il principio secondo il quale, in tema di elargizioni in favore di vittime di reati di tipo mafioso, l ‘ estraneità ad ambienti di mafia del richiedente ha natura di elemento costitutivo negativo della fattispecie legale che dà diritto all ‘ accesso al Fondo, con la conseguenza che deve necessariamente sussistere per il riconoscimento del beneficio, anche prima dell ‘ entrata in vigore dell ‘ art. 15, comma 1, lett. c) , della legge n. 122 del 2016; norma che, nell’introdurre espressamente tale condizione, ha valore non innovativo, ma puramente chiarificatore di un connotato intrinseco alla fattispecie legale (Cass. 13/10/2023, n. 28627; v., inoltre, Cass. n. 12146 del 2024 e Cass. 6007 del 2024; da ultimo, Cass. nn.17987 e 18360 del 2025).
In tal senso si è argomentato , tra l’altro, proprio dal precetto contenuto nell’art. 1 legge 20 ottobre 1990, n. 302 ( Norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata ), il quale, nel prevedere il diritto alla elargizione in favore di « chiunque subisca un’invalidità permanente, per effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza dello svolgersi nel territorio dello Stato di atti di
terrorismo o di eversione dell ‘ ordine democratico » (comma 1), nonché in favore di chiunque tali pregiudizi subisca « in conseguenza dello svolgersi nel territorio dello Stato di fatti delittuosi commessi per il perseguimento delle finalità delle associazioni di cui all’articolo 416-bis del cod. pen. » (comma 2), subordina detta provvidenza a talune condizioni negative, tra le quali quella dell’essere il soggetto leso « del tutto estraneo ad ambienti e rapporti delinquenziali » (comma 2, lett. b).
Ove si consideri che analoga previsione è contenuta n ell’art. 2 -quinquies , comma 1, lett. a) , d.l. 2 ottobre 2008, n. 151, il quale, con previsione mantenuta anche dopo le modifiche introdotte dall’art. 5, comma 1, del decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 giugno 2025, n. 80), stabilisce la stessa condizione negativa per l’elargizione in favore dei superstiti del soggetto deceduto a seguito dei crimini in questione, può affermarsi che essa costituisce presupposto generale di tutte le provvidenze erogate dallo Stato alle vittime dirette (o ai loro superstiti) del terrorismo e della criminalità organizzata, essendo insita nella stessa ratio legis , che è appunto quella di indennizzare le vittime, intendendosi per tali, necessariamente, i soggetti del tutto estranei agli ambienti malavitosi.
Le leggi istitutive di tali provvidenze, infatti, perseguono lo scopo di rendere effettivo e concreto il diritto al risarcimento del danno riconosciuto giudizialmente a favore delle vittime di atti di terrorismo o di reati di tipo mafioso, sicché l’estraneità agli ambienti malavitosi del soggetto che invoca il relativo diritto costituisce condizione
immanente allo scopo stesso della legge, tale per cui essa contraddirebbe sé stessa se ne riconcesse la spettanza anche a soggetti attualmente intranei al contesto criminale da cui originano i fatti lesivi, sol perché ne erano estranei al tempo dell’evento.
4.3. Va ribadito, riprendendo rilievi già formulati dalla citata Cass. n. 28627/2023 in ordine alla legge n. 512 del 1999, ma valevoli in generale anche per la legge n. 302 del 1990, che lo scopo prioritario da esse perseguito è pur sempre quello di contrastare i fenomeni d’infiltrazione mafiosa, nella ragionevole convinzione che la concreta solidarietà in favore di coloro che hanno subìto danni materiali alle proprie attività economiche (per il coraggio di essersi sottratti al regime deprimente della mafia) possa consentire agli stessi di trarre benefici oggettivi dal diritto concreto al risarcimento dei danni patiti, così al tempo stesso contrastando quelle situazioni di debolezza, isolamento e inferiorità economica e sociale nel quale attecchisce e si fortifica il fenomeno mafioso.
Lungi dal conseguire questo scopo, si otterrebbe, invece, il risultato opposto se il beneficio si riconoscesse nel caso in cui il beneficiario (o il congiunto) risulti appartenere al contesto criminale che ha dato ragione e origine al fatto lesivo; tali soggetti riceverebbero in tal caso la provvidenza pubblica, non per essersi coraggiosamente allontanati e opposti al contesto mafioso ma, al contrario, paradossalmente, proprio per averne fatto parte.
Ritiene, dunque, il Collegio di dare piena continuità -anche con riferimento all’elargizione prevista dall’art. 1 della legge n. 302 del 1990 -ai principi sanciti dalla pronuncia n. 28627/2023 e dalle
successive pronunce conformi di questa Corte, i quali, del resto, costituiscono il consolidamento di un orientamento già precedentemente affermato (cfr. Cass.8/11/2019, n. 28820), peraltro non contraddetto da decisioni precedenti (in particolare, Cass., Sez. Un., n.21927/2008; Cass. n. 21306 del 2015; Cass. n. 8646/2016) solo apparentemente contrastanti, in relazione alle quali si rinvia alle puntuali considerazioni espresse nella medesima ordinanza n. 28627 del 2023 ( Punti 8, 8.1, 8.2 e 8.3 delle Ragioni della decisione ).
4.4. La tesi che attribuisce all ‘estraneità ad ambienti di mafia del richiedente l ‘ elargizione la natura di requisito immanente allo scopo stesso della legge e, pertanto, di elemento costitutivo negativo della fattispecie legale (il quale, dunque, sin dalla formulazione originaria dell’art. 1 della legge n. 302 del 1990, deve necessariamente sussistere al momento della concessione del beneficio, e non soltanto a ‘ al tempo dell’evento ‘, con conseguente interruzione delle erogazioni effettuate e ripetizione integrale delle somme già corrisposte , nell’ipotesi in cui venga successivamente meno: art 2quinquies , comma 2, decretolegge n. 151 del 2008), trova conferma nella recente sentenza della Corte costituzionale n. 122 del 2024.
Questa sentenza ha dichiarato l’ illegittimità costituzionale del l’ art. 2quinquies , comma 1, lettera a ) del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151 (ora lett. b ) a seguito della sostituzione operata dall’art. 5, comma 1, del decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48, come convertito dalla legge 9 giugno 2025, n.80), nella parte in cui esclude, dai benefici previsti per i superstiti delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, i parenti o affini entro il quarto grado di soggetti nei cui
confronti sia in corso un procedimento per l ‘ applicazione o sia applicata una misura di prevenzione di cui al codice delle leggi antimafia, ovvero di soggetti nei cui confronti sia in corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui all ‘ articolo 51, comma 3bis , del codice di procedura penale.
Nell’emette re questa pronuncia, la Corte costituzionale ha osservato che la disciplina dettata dal decreto-legge n. 151 del 2008, convertito dalla legge n. 186 del 2008, e successivamente modificata dalla legge n. 94 del 2009 ( Disposizioni in materia di sicurezza pubblica ), si prefigge una finalità legittima, in quanto intende evitare che le limitate risorse dello Stato siano sviate dal sostegno delle vittime della mafia e del terrorismo e avvantaggino, per vie indirette, le stesse associazioni criminali che intendono contrastare.
Il raggiungimento di tale obiettivo, tuttavia, non ha bisogno del mezzo (da ritenersi sproporzionato rispetto al fine) della esclusione preventiva, dalla platea dei beneficiari della provvidenza, dei parenti e degli affini entro il quarto grado dei soggetti destinatari di misure di prevenzione o sottoposti a procedimento penale per reati di particolare gravità, dal momento che esso è già efficacemente perseguito attraverso la prescrizione di requisiti tassativi e stringenti di meritevolezza, come, in particolare, quello previsto dal surrichiamato art. 1, comma 2, lettera b ), della legge n. 302 del 1990, il quale sancisce il presupposto della totale estraneità della vittima diretta agli ambienti criminali, nonché quello previsto dal successivo art. 9bis della medesima legge ( introdotto dall’art. 1, comma 259, della legge 23 dicembre 1996, n. 662: Misure di razionalizzazione della
finanza pubblica ), il quale puntualizza che le condizioni di estraneità alla commissione degli atti terroristici o criminali e agli ambienti delinquenziali « sono richieste, per la concessione dei benefici previsti dalla presente legge, nei confronti di tutti i soggetti destinatari » e, dunque, non soltanto delle vittime dirette.
In altri termini, il perseguimento della legittima finalità di evitare che le limitate risorse dello Stato siano sviate dal sostegno delle vittime della mafia e del terrorismo e avvantaggino, per vie indirette, le stesse associazioni criminali che intendono contrastare, non ha bisogno della creazione di una irragionevole presunzione assoluta di indegnità ancorata al vincolo di parentela o affinità, giacché essa finalità è efficacemente assicurata dal presupposto costituito dall’estraneità del destinatario del beneficio agli ambienti delinquenziali.
Presupposto che, in quanto requisito tassativo e stringente di meritevolezza ed elemento costitutivo del vantato diritto soggettivo, deve sussistere attualmente (e non solo ‘ al tempo dell’evento ‘) dovendo considerarsi « immanente al sistema la necessità di una verifica rigorosa della radicale estraneità al contesto criminale » (così Corte cost. n. 122 del 2024, Punto 10 del Considerato in diritto ).
4.5. In questa prospettiva, non solo va esclusa la valenza innovativa della disposizione di cui all’art. 2quater del decreto-legge n. 151 del 2008, convertito nella legge n. 186 del 2008 ( la quale, tutt’al contrario, nel sopprimere, dall’art. 1, comma 2, lett. b) , della legge n. 302 del 1990 le parole ‘ al tempo dell’evento ‘ , si è limitata ad esplicitare, in via meramente ricognitiva, la necessità che l’ estraneità del soggetto leso o danneggiato ad ambienti e rapporti delinquenziali,
in quanto pre-requisito negativo già immanente alla fattispecie legale che dà diritto all’ elargizione, sussista al momento della concessione del beneficio e permanga nel tempo a pena di revoca dello stesso); ma va anche precisato che la predetta estraneità non si esaurisce nella mera condizione di incensurato o, in negativo, nella mancanza di affiliazione alle consorterie criminali, ma postula, in positivo e in senso più pregnante, la prova di una condotta di vita antitetica al codice di comportamento delle organizzazioni malavitose, sicché grava su chi rivendica elargizioni o assegni vitalizi l’onere di dimostrare in modo persuasivo tale presupposto fattuale del diritto azionato, mentre la carenza di una prova adeguata ridonda a danno di chi reclama le provvidenze (in tal senso, v. ancora Corte cost. n. 122 del 2024, Punto 10 del Considerato in diritto , e, nella giurisprudenza di questa Corte, cfr. Cass. 16/03/2025, n.6962).
4.6. Deve dunque enunciarsi il seguente principio diritto.
‘ In tema di elargizioni in favore di vittime della mafia, il requisito della estraneità ad ambienti e rapporti delinquenziali costituisce elemento costitutivo della fattispecie legale che dà diritto all’ elargizione, in quanto pre-requisito tassativo e stringente di meritevolezza in funzione dello scopo perseguito di sostegno alle vittime della mafia e di contrasto ai fenomeni d’infiltrazione mafiosa . Tale natura implica, da un lato, sotto il profilo formale, l’esclusione del riconoscimento di efficacia innovativa dell’ordinamento giuridico al disposto de ll’art.2 -quater del decreto-legge n. 151 del 2008, convertito nella legge n. 186 del 2008, il quale, nel sopprimere, all’art. 1, comma 2, lett. b), della legge n. 302 del 1990 le parole ‘ al tempo dell’evento ‘
si è limitato ad esplicitare, in via meramente ricognitiva, la necessità che l’estraneità del soggetto leso o danneggiato ad ambienti e rapporti delinquenziali sussista al momento della concessione del beneficio e permanga nel tempo a pena di revoca dello stesso ; dall’altro lato , sotto il profilo sostanziale, che il predetto requisito, da intendersi, non già, in negativo, come mera condizione di incensurato o come mancanza di affiliazione alle consorterie criminali, ma, in positivo, quale condotta di vita antitetica al codice di comportamento delle organizzazioni malavitose, deve essere provato dal richiedente l ‘elargizione , sicché, in difetto di tale dimostrazione, la domanda deve essere rigettata ‘.
Ne discende la fondatezza del ricorso proposto dal Ministero dell’Interno, il quale deve essere accolto, con cassazione della sentenza d’ appello e rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte territoriale di Roma.
Alla luce dei principi affermati e delle argomentazioni poste a loro fondamento, si palesa, invece, manifestamente infondata -ove pure se ne volesse riconoscere la rilevanza -l’articolata questione di legittimità costituzionale degli artt. 2quater e 2quinquies del decreto lege n. 151 del 2008, come convertiti dalla legge n. 186 del 2008, formulata sotto i profili della lesione dei principi di ragionevolezza e della parità di trattamento.
Anche sotto tale aspetto, vanno richiamati i rilievi svolti dalla citata Cass. n. 28627 del 2023, secondo cui la logica della legislazione di cui si discorre è quella del riconoscimento, non già di un diritto soggettivo del singolo in qualche modo dovuto sul piano costituzionale, bensì di un diritto attribuito sulla base di una scelta del legislatore che è
espressione del principio solidaristico consacrato nell’art. 2 della Costituzione e che, come tale, deve essere funzionale a tale principio, il che giustificherebbe pienamente, in presenza di una situazione di compromissione del soggetto beneficiario, o del congiunto dalla cui lesione origini il diritto al beneficio, con il contesto criminale che ha dato ragione e origine al fatto lesivo, che il legislatore intervenga retroattivamente per escludere che non trovi realizzazione un intento solidaristico privo di giustificazione. Nel contempo, sempre lo scopo solidaristico della normativa escluderebbe qualsiasi rilevanza, sempre nella logica della ragionevolezza, del principio dell’affidamento.
Alla stregua dei principi affermati, si palesano manifestamente infondate, altresì, le deduzioni in iure formulate in controricorso, secondo cui sarebbe spettato al Ministero l’onere di dimostrare il carattere ostativo delle vicende giudiziarie dei richiedenti in relazione al vantato diritto all’ accesso al Fondo, mentre sono invece irrilevanti, in questa sede, le allegazioni, de facto , in ordine alla sussistenza o meno, nel caso concreto, dei presupposti del detto diritto, le quali, attenendo all’accertamento di merito, potranno essere proposte dinanzi al giudice del rinvio, che condurrà tale accertamento attenendosi ai principi sopra enunciati.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità (art. 385, terzo comma, cod. proc. civ.).
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Corte d’appello di Roma, comunque in diversa composizione.