Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2664 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 2664 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7056-2023 proposto da:
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 143/2023 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 24/03/2023 R.G.N. 102/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
Con istanza del 12/06/2018 NOME COGNOME, brigadiere c apo dell’Arma dei Carabinieri, chiedeva al Ministero dell’ Interno il riconoscimento dei benefici per le vittime del dovere ai sensi dell’art. 1, commi 562 -565, della legge 23/12/2005, n. 266. Il Ministero dell’Interno rigettava l’istanza.
NOME COGNOME impugnava il diniego innanzi al Tribunale di Pesaro in funzione di giudice del lavoro. Il Ministero dell’Interno si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale di Pesaro accoglieva la domanda.
Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello il Ministero dell’Interno. NOME COGNOME si è costituito resistendo. La Corte di Appello di Ancona, sezione lavoro, con la sentenza n. 143/2023 depositata in data 24/03/2023 ha respinto il gravame.
Il Ministero dell’Interno propone ricorso per cassazione articolato su tre motivi. NOME COGNOME resiste con controricorso.
Con ordinanza resa in data 08/09/2023 il Consigliere delegato proponeva la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
Con istanza del 20/09/2023 il Ministero dell’Interno chiedeva fissarsi l’udienza per la decisione ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.. Veniva fissata l’udienza camerale del 12/12/2024.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 12/12/2024.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso il Ministero dell’Interno deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2934, 2935 e 2946 cod. civ. in relazione al diritto ad essere riconosciuti vittime del dovere ovvero soggetti ad esse equiparati ai sensi
dell’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Secondo la parte ricorrente la sentenza impugnata avrebbe errato nell’affermare l’imprescrittibilità del diritto del soggetto al riconoscimento dello status di vittima del dovere, perché si tratterebbe di un diritto soggettivo, prescrivibile secondo le regole generali e nel termine di dieci anni e nella fattispecie il diritto del COGNOME si sarebbe prescritto con il decorso del termine decorrente dall’entrata in vigore della legge istitutiva e spirato prima dell’avvio della pratica.
2.1. Con il secondo motivo di ricorso il Ministero dell’Interno deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2934, 2935 e 2946 cod. civ. in relazione ai diritti economici conseguenziali spettanti alle vittime del dovere ovvero ai soggetti ad esse equiparati ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Secondo la parte ricorrente la sentenza avrebbe errato nel considerare prescritti per il decorso del termine decennale solo i singoli ratei dell’assegno vitalizio e non il diritto stesso a percepire l’assegno, visto che questo era stato richiesto più di dieci anni dopo l’entrata in vigore della legge.
2.2. Il primo e il secondo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente perché connessi logicamente e sono infondati. Con orientamento costante e anche di recente ribadito, tanto da costituire diritto vivente, questa Corte ha affermato che la condizione di vittima del dovere, tipizzata dall’art. 1, commi 563 e 564, della legge n. 266 del 2005, ha natura di status, cui consegue l’imprescrittibilità dell’azione volta al suo accertamento, ma non dei benefici economici che in tale status trovano il loro presupposto, quali i ratei delle prestazioni assistenziali previste dalla legge (Cass. 30/05/2022, n. 17440; Cass. 08/02/2023, n. 3868).
2.3. Secondo detti principi possono, pertanto, prescriversi i singoli ratei ma non il diritto all’accertamento dello status. Vi è,
poi, da considerare che: in tema di benefici in favore delle vittime del dovere, il diritto sulle somme pretese a titolo di rivalutazione automatica dell’assegno vitalizio mensile, ai sensi dell’art. 2 della l. n. 407 del 1998, è soggetto, nel caso in cui le somme stesse non siano state poste in riscossione ovvero messe a disposizione dell’avente diritto, alla prescrizione decennale e non a quella quinquennale, atteso che quest’ultima presuppone la liquidità del credito, da intendere non secondo la nozione desumibile dall’art. 1282 c.c., ma quale effetto del completamento del procedimento di liquidazione della spesa (Cass. 03/09/2020, n. 18309).
Con il terzo motivo di ricorso il Ministero dell’Interno deduce violazione degli artt. 22, comma 36, della legge n. 724/1994, e 16, comma 6, della legge n. 412/1991, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. per avere la sentenza illegittimamente previsto il cumulo di rivalutazione e interessi sulle somme dovute per le provvidenze conseguenti al riconoscimento della qualifica.
3.1. Il motivo in questione è inammissibile per difetto di autosufficienza, perché la parte ricorrente non deduce di aver proposto la questione in grado di appello né indica dove e come avrebbe sottoposto la questione al giudice di secondo grado. Dal momen to che la sentenza di appello non tratta dell’argomento, la Corte non può trarre in alcun modo certezza che la questione sia stata oggetto di impugnazione e sulla stessa non si sia formato il giudicato.
3.2. Il motivo sarebbe comunque infondato atteso che questa Corte ha da tempo affermato il principio che sulle somme dovute a titolo di prestazioni assistenziali e previdenziali sono dovuti la rivalutazione e gli interessi che sono una componente essenziale dell’oggetto dell’obbligazione, considerato nella sua idoneità ad assicurare al titolare una sorta di indicizzazione
destinata a mantenere costante il valore della prestazione durante la mora del debitore (Cass. 05/04/2022, n. 11013).
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile perché la sentenza impugnata ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa .
Alla soccombenza fa seguito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, competenze e onorari, liquidate in ragione del valore di causa, in favore di NOME COGNOME costituitosi quale controricorrente.
5.1. Riguardo alle sanzioni previste dall’ultimo comma dell’art. 380 -bis c.p.c., stante l’esito giudiziale del tutto conforme alla proposta di definizione accelerata, sussistono i presupposti per l’applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ.. Alla presente pronuncia di inammissibilità del ricorso fa seguito, quindi, la condanna del ricorrente al pagamento delle ulteriori spese del terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., nonché della sanzione di cui al successivo quarto comma, da versare alla Cassa delle Ammende, liquidata come in dispositivo.
5.2. Non vi è luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perché il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo
stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. U., 25 novembre 2013, n. 26280; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in euro 4.000,00 (quattromila) per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi ed accessori come per legge. Condanna altresì il ricorrente al pagamento della ulteriore somma di euro 2.000,00 in favore della controparte, ed al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di Euro 2.000,00.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, del 12