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Vittima di tratta: l’obbligo del giudice di indagare

Una richiedente asilo nigeriana si è vista negare la protezione internazionale dal Tribunale. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo che il giudice di merito ha errato nel non approfondire adeguatamente gli indizi che la donna fosse una vittima di tratta. Secondo la Corte, le contraddizioni nel racconto non sono sufficienti a negare la protezione, ma impongono al giudice un dovere di cooperazione istruttoria, utilizzando anche le linee guida internazionali per identificare correttamente le vittime di questo grave fenomeno.

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Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Vittima di tratta: quando le contraddizioni non bastano a negare protezione

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha riaffermato un principio fondamentale nella valutazione delle domande di protezione internazionale: il giudice ha l’obbligo di indagare attivamente quando emergono indizi che il richiedente possa essere una vittima di tratta, anche in presenza di un racconto lacunoso o contraddittorio. Questa decisione sottolinea come la vulnerabilità di queste persone richieda un approccio che vada oltre una mera valutazione formale della credibilità.

I Fatti del Caso

Una cittadina nigeriana presentava una domanda di protezione internazionale in Italia. La donna raccontava di aver lasciato la Nigeria per ragioni economiche e di essersi affidata a una “Madame” per il viaggio. Una volta arrivata in Grecia, questa figura avrebbe tentato di costringerla alla prostituzione. La donna si era rifiutata ed era riuscita a raggiungere l’Italia nel 2014, sopravvivendo con lavori saltuari. Il Tribunale di Ancona aveva respinto la sua richiesta, ritenendo il suo racconto contraddittorio e non sufficientemente provato, escludendo sia la protezione internazionale sia quella speciale, non ravvisando una condizione di vulnerabilità o un percorso di integrazione consolidato.

L’obbligo di indagine sulla potenziale vittima di tratta

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato la prospettiva del Tribunale. Secondo gli Ermellini, il giudice di merito, pur avendo rilevato elementi suggestivi della tratta (come la figura della “Madame”), ha commesso un errore nel fermarsi di fronte alle contraddizioni della narrazione. La Suprema Corte ha chiarito che proprio le lacune e le incongruenze possono essere, esse stesse, indicatori del trauma vissuto da una vittima di tratta. Il giudice non può limitarsi a registrare le incongruenze, ma deve attivare un dovere di cooperazione istruttoria. Questo significa che deve approfondire la vicenda, consultando fonti informative aggiornate (COI) e, soprattutto, interpretando i fatti alla luce delle linee guida specialistiche, come quelle elaborate dall’UNHCR per l’identificazione delle vittime di trafficking.

La valutazione frammentaria del Tribunale

La critica principale mossa dalla Cassazione al provvedimento impugnato è di aver condotto una valutazione “atomizzata e parcellizzata”. Invece di considerare la storia della richiedente nel suo complesso, unendo il racconto della migrazione con le ambiguità della sua vita in Italia (lunga permanenza senza un lavoro stabile, situazione abitativa incerta), il Tribunale ha analizzato i singoli elementi in modo isolato. Questo approccio ha impedito di cogliere il quadro complessivo, che suggeriva una possibile condizione di sfruttamento e vulnerabilità. La valutazione delle domande di protezione, ricorda la Corte, richiede un esame unitario di tutti gli elementi disponibili.

La procedura di referral per la vittima di tratta

Un altro punto cruciale sollevato dalla Cassazione è la mancata attivazione della procedura di referral. Questo è un meccanismo specifico previsto dal Piano Nazionale Antitratta. Quando, in qualsiasi sede (inclusa l’audizione davanti alla Commissione Territoriale o in Tribunale), emergono indicatori di tratta, l’autorità deve sospendere l’esame e rinviare il caso a un ente specializzato. Questo ente ha il compito di condurre un’identificazione formale della persona come vittima di tratta, garantendole l’assistenza e la protezione necessarie. L’assenza di questo passaggio fondamentale ha viziato l’intero processo di valutazione.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sulla base del principio che il giudice ha un ruolo attivo nell’accertamento della verità in materia di protezione internazionale, specialmente di fronte a soggetti vulnerabili. Il Tribunale non può arrestarsi di fronte a un’allegazione incompleta o contraddittoria se emergono indizi di una realtà occultata, come quella della tratta. L’obbligo di cooperazione istruttoria impone di utilizzare tutti gli strumenti a disposizione, incluse le linee guida UNHCR, per comprendere la reale condizione del richiedente. La valutazione deve essere complessiva e non frammentaria, collegando le circostanze del viaggio con la situazione attuale della persona nel paese di accoglienza. La mancata attivazione della procedura di referral costituisce una grave omissione che impedisce una corretta identificazione e protezione della vittima.

Le conclusioni

In conclusione, l’ordinanza annulla la decisione del Tribunale e rinvia il caso a un nuovo esame. Questa pronuncia è di estrema importanza perché rafforza le tutele per le vittime di tratta nel sistema di asilo. Stabilisce che la protezione di queste persone prevale su una valutazione formalistica della coerenza narrativa. I giudici sono chiamati a essere non solo giudici, ma anche attori attivi nella protezione dei diritti umani, dotati degli strumenti per guardare oltre le apparenze e far emergere verità nascoste da traumi, paure e sfruttamento.

Un racconto con contraddizioni può impedire il riconoscimento dello status di vittima di tratta?
No, secondo la Corte di Cassazione le contraddizioni non escludono automaticamente il riconoscimento. Anzi, possono essere esse stesse indicatori di tratta, legati al trauma subito. Il giudice ha il dovere di valutare il racconto alla luce delle linee guida specialistiche, come quelle dell’UNHCR.

Cosa deve fare un giudice se sospetta che un richiedente asilo sia vittima di tratta, anche se non dichiarato esplicitamente?
Il giudice non può fermarsi di fronte a un’allegazione incompleta. Deve avvalersi degli strumenti a sua disposizione per approfondire la vicenda, assumere informazioni aggiornate non solo sul paese d’origine ma anche su quelli di transito e destinazione, e valutare l’intera storia in modo unitario e non frammentario.

Che cos’è la procedura di “referral” e perché è importante in questi casi?
È una procedura formale per l’identificazione delle vittime di tratta. Se durante un’audizione emergono indicatori di tratta, la Commissione o il Tribunale devono sospendere l’esame e rinviare il caso a un ente specializzato antitratta per una valutazione formale. La Corte ha sottolineato che in questo caso non risulta che tale procedura sia stata attivata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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