Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34715 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34715 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 7579-2020 proposto da:
COGNOME, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
MINISTERO COGNOME, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
nonché contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato –
Oggetto
R.G.N. 7579/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 29/10/2024
CC
avverso la sentenza n. 2834/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/10/2019 R.G.N. 176/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
COGNOME NOME impugna sulla base di un unico motivo la sentenza n. 2834/2019 della Corte d’appello di Roma che ha accolto il gravame del Ministero della Difesa avverso la pronuncia del Tribunale di Civitavecchia che aveva dichiarato lo status di soggetto equiparato a vittima del dovere del fratello NOME COGNOME deceduto in data 18 dicembre 1983, e riconosciuto alla ricorrente quale erede i benefici assistenziali richiesti.
Resiste il Ministero della Difesa con controricorso, illustrato da memoria.
Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.
Parte ricorrente ha depositato memoria con la quale, sull’erroneo presupposto che il ricorso fosse stato avanzato dall’Amministrazione, ne ha chiesto il rigetto.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 29 ottobre 2024, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, c.p.c.).
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo la ricorrente censura la sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 564, della legge n. 266/2005 e dell’art. 1, comma B, del d.P.R. n. 243/2006 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.. Premesso che il fratello, militare di leva, era deceduto, insieme a 34 altri commilitoni, a seguito dell’incidente occorso al pullman della marina militare su cui viaggiava, in quanto comandato in missione di rappresentanza delle forze armate a una manifestazione sportiva, e che sulla questione inerente alle vittime del medesimo sinistro si era già pronunciata la Suprema Corte a SSUU, la ricorrente lamenta che la Corte romana avrebbe erroneamente ritenuto che solo una attività dotata di intrinseca pericolos ità potesse rientrare nel concetto di ‘missioni di qualunque natura’ mentre l’art. 1, comma 564, della legge n. 166/2005 volutamente tutela anche attività prive di rischio particolare, come spostamenti o addestramenti, laddove si inserisca un fattore di ma ggior rischio che provochi l’evento.
Il motivo è fondato.
Va, in primis , rilevato che non sussistono i profili di inammissibilità dedotti dal Ministero controricorrente, secondo il quale la Corte avrebbe negato la equiparabilità della posizione del fratello della ricorrente alle vittime del dovere non ‘sul presupposto che la sua morte non si verificò a seguito di un’attività intrinsecamente pericolosa, come vorrebbe controparte’ bensì ‘evidenziando, sulla base di un giudizio di merito (come tale insindacabile in sede di legittimità), che lo spostamento tramite mezzo militare per assistere alla partita di
calcio deve essere qualificato come ‘attività ludica’ non rientrante nel concetto di missione’.
Dalla lettura complessiva dell’atto introduttivo, si comprende che la ricorrente censura la motivazione addebitando al collegio romano una errata interpretazione dei presupposti per l’equiparazione alle vittime del dovere ex art.1, comma 564, del d.P.R. n. 266/2005 e del regolamento di attuazione di cui al d.P.R. n. 243/2006 ed a sostegno riporta, altresì, la parte motiva delle SSU n. 15484/2017 che si erano pronunciate proprio in relazione al medesimo evento.
Ciò premesso, nella sentenza qui impugnata viene in primo luogo esposta la, pacifica, ricostruzione del fatto come risultante dalla sentenza di primo grado: «in data 18.12.1993 il fratello della ricorrente, unitamente ad altri marò, si trovava a bordo di u n pullman della marina militare diretto a Torino nell’ambito di iniziativa promossa dal COCER, per partecipare ad una gara sportiva, che per le avverse condizioni climatiche, pioggia, vento, e per la non corretta manutenzione degli pneumatici il mezzo si ribaltava e il COGNOME, come la maggior parte degli altri, decedeva».
Partendo dal confronto fra i commi 563 e 564 dell’art. 1 della legge n. 206/2004, il collegio capitolino argomenta poi: «il modello di selezione delle attività che è possibile equiparare, ai sensi del comma 564, non opera attraverso la tipizzazione di singole attività caratterizzate ma volutamente risulta formulata una fattispecie aperta, che tutela tutto ciò che sia avvenuto (per eccezionali situazioni) in occasione di missioni di qualunque natura. E’ stata quindi adottata una nozione lata del concetto di missione, nel senso che la stessa riguarda tutti i compiti e le attività istituzionali svolte dal personale militare…. E’ dunque essenziale … che la dipendenza da causa di servizio sia legata
al concetto di ‘particolari condizioni’ che è concetto aggiuntivo e specifico».
Ricordato che la nozione di ‘particolari condizioni ambientali o operative’ è chiarita dal d.P.R. n. 243/2006, la Corte aggiunge che, peraltro, ai fini del riconoscimento dell’equiparazione alle vittime del dovere, «è pur sempre previsto un collegamento con i compiti e le attività istituzionali svolte dal personale militare», poiché «i soggetti equiparati sono coloro che abbiano riportato infermità….a seguito di missioni, rientranti nei compiti della nomale attività militare, che si siano complicate per l’e sistenza o il sopravvenire di circostanze o eventi straordinari, ulteriori rispetto al loro rischio tipico».
Di tale chè, conclude, «è indubbio che NOME COGNOME nel momento del sinistro si spostava con il mezzo militare per assistere ad una partita di calcio, unitamente ad altri marò, pertanto non si trattava di normale attività istituzionale ma di attività ludi ca, non rientrante certo nel concetto di ‘missione’». Così statuendo la Corte è incorsa nell’erronea lettura del dato normativo di cui si duole il ricorrente, in primis , dell’art.1, comma 564, della legge n. 266/2005.
Premesso che sulla specifica vicenda all’esame ora del Collegio si sono espresse le SSUU n. 15484/2017 e numerose Cassazioni a sezioni semplici successive conformi, va rimarcato che questa Corte ha più volte esaminato le norme al cui interno si colloca la fattispecie, precisandone i criteri applicativi nei termini che seguono: l’art. 1, comma 563, della legge n. 266/2005 stabilisce che vittime del dovere sono i soggetti di cui alla legge n. 466/1980 e gli altri dipendenti pubblici che siano deceduti o che a bbiano riportato un’invalidità permanente nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi nello svolgimento di specifiche
attività, elencate come da lettere da a) ad f); al successivo comma 564 si precisa ‘che sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative’; in attuazione di quanto stabilito dal comma 565, è stato emesso, con d.P.R. n. 243/2006, il Regolamento concernente i termini e le modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, che, all’art. 1, comma 1, definisce: ‘a) per benefici e provvidenze, le misure di sostegno e tutela previste dalle L. 13 agosto 1980, n. 466, L. 20 ottobre 1990, n. 302, L. 23 novembre 1998, n. 407, e loro successive modificazioni, e L. 3 agosto 2004, n. 206; b) per missioni di qualunque natura, le missioni, quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall’autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente; c) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto’.
Da tale quadro normativo si ricava che il legislatore è intervenuto con due disposizioni diverse: con il comma 563 ha individuato alcune attività ritenute pericolose ex lege che, se hanno comportato infermità a chi le ha svolte (o ne hanno determinato il decesso), possono portare ad attribuire i benefici
quali vittime del dovere; con il comma 564 ha esteso detti benefici a soggetti equiparati, ossia coloro che abbiano subito lesioni (o morte) nell’espletamento di attività, diverse da quelle elencate nel comma 563, che non sono pericolose per loro natura ma che lo sono diventate per circostanze eccezionali.
Sul medesimo evento si è pronunciata, tra le altre, Cass. n. 19676/2019, che ha cassato la sentenza con cui la Corte d’appello di Bari aveva accolto il gravame dell’Amministrazione ritenendo -dopo aver ricordato il significato della locuzione ‘missioni di qualunque natura’ e ‘particolari condizioni ambientali e operative’ di cui al d.P.R. n. 243/2006 -che l’evento accaduto non rientrasse nella nozione per il fatto che il viaggio in pullman era finalizzato alla partecipazione dei marinai ad un evento sportivo ed era avvenuto per colpa del conducente del mezzo e del soggetto che avrebbe dovuto garantirne la manutenzione.
In quell’occasione, questa Corte ha argomentato come segue: «il modello di selezione delle attività che è possibile equiparare, si sensi del comma 564, non opera attraverso la tipizzazione di singole attività così caratterizzate, ma volutamente risulta formulata una fattispecie aperta, che tutela tutto ciò che sia avvenuto (per eccezionali situazioni) in occasione di missioni di qualunque natura; è stata, dunque, adottata una nozione lata del concetto di missione, nel senso che la stessa riguarda tutti i compiti e le attività istituzionali svolte dal personale militare, che si attuano nello svolgimento di funzioni o compiti operativi, addestrativi o logistici sui mezzi o nell’ambito di strutture, stabilimenti e siti militari; qualunque tipo di attività e compito istituzionale può portare, in caso di infermità, ai benefici in questione; è, dunque, essenziale -per la vittima del dovere che abbia contratto un’infermità in qualunque tipo di servizio, non
essendo sufficiente la semplice dipendenza da causa di servizio -che la dipendenza da causa di servizio sia legata al concetto di «particolari condizioni», che è un concetto aggiuntivo e specifico». Detta nozione è stata chiarita dal citato d.P.R. n. 243 del 2006 che ha adottato una formulazione tale da «contemplare ogni possibile accadimento che abbia comportato l’esposizione a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto».
Ciò premesso, questa Corte ha concluso ricordando come «la riconduzione della fattispecie all’esame del Collegio ai presupposti normativi sopraindicati già stata esaminata dalle Sezioni Unite della Corte (Cass. Sez. U n. 15487 del 2017)»: in riferimento ad altro militare deceduto nel medesimo incidente, le SSUU hanno confermato la decisione della Corte territoriale -che in quel caso aveva riconosciuto il diritto -e affermato la sussistenza delle condizioni straordinarie che avevano aggravato il normale rischio connesso al trasferimento, determinate dall’utilizzo di un mezzo di trasporto in pessime condizioni di manutenzione a dispetto delle avverse condizioni meteorologiche, così come accertato definitivamente in sede penale.
Come già espresso dal precedente in esame (Cass. n.19676/2019) e, negli stessi termini (in relazione al medesimo evento), anche da Cass. n. 6312/2021, che ha richiamato, a sua volta, Cass. n. 16569 del 2020, «le medesime considerazioni possono essere richiamate a supporto della decisione inerente al medesimo tragico evento, dovendosi escludere la necessità di ulteriori accertamenti in fatto alla stregua dell’accertamento posto a fondamento della richiamata decisione delle Sezioni unite della Corte, n. 15487 del 2017, a sua volta fondata sul giudicato penale, da cui emerge che l’evento si verificò in
situazione straordinaria dipesa da ragioni peculiari che aggravarono il rischio normalmente connesso all’attività espletata»
Pertanto, «accertata irretrattabilmente la sussistenza della condizione di fatto del sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto» (Cass. n. 19676/2019 e n. 16569/2020), la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla medesima Corte d’appello in diversa composizione che provvederà anche in ordine alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma , in diversa composizione, che