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Vittima del dovere: la presunzione per i militari

La Corte d’Appello di Genova conferma lo status di “vittima del dovere” per un militare che ha contratto un tumore dopo una missione in Kosovo. La sentenza ribadisce il principio della “presunzione relativa”: spetta all’Amministrazione, e non al militare, provare che la malattia non sia legata al servizio in zone a rischio. Tuttavia, la Corte ha parzialmente accolto l’appello dello Stato, riducendo la percentuale di invalidità riconosciuta dal 36% al 25% e ricalcolando i benefici connessi.

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Pubblicato il 12 dicembre 2024 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Vittima del Dovere: La Presunzione del Nesso Causale per i Militari in Missione

Una recente sentenza della Corte d’Appello di Genova ha riaffermato un principio fondamentale a tutela del personale militare impiegato in missioni ad alto rischio, facendo luce sul riconoscimento dello status di vittima del dovere. Il caso riguarda un maresciallo dei carabinieri che ha sviluppato una grave patologia tumorale dopo aver prestato servizio in Kosovo, in un contesto operativo caratterizzato dalla nota presenza di uranio impoverito. La pronuncia, pur riducendo l’entità del risarcimento, consolida l’orientamento che agevola la posizione del militare nell’onere della prova.

I Fatti di Causa

Un maresciallo dei carabinieri, dopo aver partecipato a una missione di pace in Kosovo tra il 2004 e il 2005, nel 2011 scopriva di essere affetto da un carcinoma alla tiroide. Ritenendo che la malattia fosse una conseguenza diretta dell’esposizione a sostanze nocive e alle particolari condizioni ambientali della zona di operazione, il militare ha agito in giudizio per ottenere il riconoscimento dello status di soggetto equiparato a vittima del dovere e i relativi benefici.

Il Tribunale di primo grado, accogliendo la sua domanda, gli aveva riconosciuto un’invalidità del 36%. L’Amministrazione dello Stato ha però impugnato la decisione, contestando sia il nesso causale tra servizio e patologia, sia la percentuale di invalidità ritenuta eccessiva. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte d’Appello.

La Decisione della Corte d’Appello e lo status di “vittima del dovere”

La Corte d’Appello ha confermato il cuore della decisione di primo grado: il militare ha diritto allo status di vittima del dovere. Il punto centrale della sentenza ruota attorno al concetto di “presunzione relativa”.

I giudici, richiamando consolidati principi della Corte di Cassazione, hanno chiarito che, per i militari che hanno operato in “particolari condizioni ambientali od operative”, non è necessario fornire la prova certa e diretta del legame causa-effetto tra l’esposizione al rischio (in questo caso, l’uranio impoverito) e la malattia. È sufficiente dimostrare:

1. Di aver prestato servizio in un contesto operativo oggettivamente pericoloso.
2. Di aver contratto un’infermità.

Una volta provati questi due elementi, scatta una presunzione legale: si presume che la malattia sia conseguenza del servizio. A questo punto, l’onere della prova si inverte. È l’Amministrazione a dover dimostrare, se ne è in grado, che la patologia è dovuta a cause diverse, del tutto estranee al servizio prestato. Nel caso di specie, lo Stato non è riuscito a fornire tale prova contraria.

La Rideterminazione dell’Invalidità

Se da un lato la Corte ha protetto il diritto del militare, dall’altro ha parzialmente accolto le ragioni dello Stato riguardo all’entità del danno. I giudici hanno ritenuto che la valutazione del 36% di invalidità, stabilita in primo grado, fosse eccessiva.

Sulla base di una nuova Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) e di una diversa valutazione delle componenti del danno, la Corte ha rideterminato l’invalidità complessiva nella misura del 25%. Questa nuova percentuale è stata calcolata tenendo conto del danno biologico, del danno morale (la sofferenza soggettiva patita) e della prognosi favorevole della patologia, ormai in remissione clinica.

Le motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione sul principio della “presunzione relativa”, evidenziando come la normativa dedicata ai militari introduca una tutela speciale. Questa scelta legislativa mira a garantire una protezione rafforzata a chi è chiamato a servire lo Stato in contesti ad alto rischio, contaminati da sostanze pericolose come l’uranio impoverito. La giurisprudenza citata (tra cui Cass. 9641/2024 e Cass. 28696/20) conferma che l’esposizione a fattori di rischio in particolari condizioni ambientali e operative fa presumere il nesso di causalità, invertendo l’onere della prova a carico dell’Amministrazione.
Per quanto riguarda la quantificazione del danno, la Corte ha motivato la riduzione della percentuale di invalidità ritenendo più adeguata una valutazione che tenesse conto della stabilizzazione della malattia e della buona risposta alle terapie. Pur riconoscendo la gravità dell’intervento subito e delle sofferenze, ha optato per un calcolo che, partendo da una base di danno biologico del 19% (già riconosciuta in passato dalla stessa Amministrazione) e aggiungendo le altre componenti di danno, ha portato al risultato finale del 25%.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante punto di riferimento. Da un lato, consolida la tutela per i militari e il personale dei corpi dello Stato, alleggerendo il loro onere probatorio nel dimostrare il legame tra servizio e malattia in contesti a rischio. Dall’altro, dimostra che il riconoscimento del diritto non implica automaticamente l’accettazione di qualsiasi richiesta risarcitoria. La quantificazione del danno rimane un terreno di confronto tecnico e legale, dove il giudice è chiamato a operare un bilanciamento equo tra la tutela del singolo e le ragioni dell’Amministrazione, basandosi su perizie e criteri normativi specifici. La decisione finale, dunque, conferma il diritto ma ne ridimensiona l’impatto economico.

Quando un militare in missione può essere considerato “vittima del dovere”?
Un militare può essere considerato “vittima del dovere” se contrae un’infermità permanente in seguito a missioni, nazionali o internazionali, caratterizzate da “particolari condizioni ambientali od operative” rischiose. La sentenza stabilisce che non è necessario per il militare provare il legame diretto causa-effetto, ma è sufficiente dimostrare di aver operato in quel contesto a rischio.

Cosa significa “presunzione relativa” in questo contesto?
Significa che una volta che il militare prova di aver prestato servizio in un’area a rischio (come una zona con uranio impoverito) e di aver contratto una patologia compatibile, la legge “presume” che la malattia sia stata causata dal servizio. Tocca quindi all’Amministrazione (lo Stato) dimostrare, con prove concrete, che la malattia ha avuto un’origine completamente diversa e non legata al servizio.

La Corte ha confermato interamente la sentenza di primo grado?
No. La Corte d’Appello ha accolto parzialmente l’appello dello Stato. Pur confermando lo status di “vittima del dovere”, ha ridotto la percentuale di invalidità permanente dal 36% al 25%, sulla base di una diversa valutazione del danno biologico e morale, rideterminando di conseguenza l’importo dei benefici economici.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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