Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5144 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5144 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 5159/2022 R.G.) proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a Colonnella (TE) il 16 febbraio 1949 e residente in Martinsicuro (TE), alla INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME congiuntamente all’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale allegata al ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità (indirizzo p.e.c. del difensore: ‘ avv.EMAILpec.giuffreEMAIL ‘) ;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME nato a Colonnella (TE) il 2 luglio 1959 (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, DI COGNOME NOME , nata a Colonnella (TE) il 18 agosto 1923 (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE e NOME nata a Suzzara (MN) il 10 settembre 1954 (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliati in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio degli avv. ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che, congiuntamente e disgiuntamente, li rappresentano e difendono, giusta procura speciale allegata al controricorso (indirizzi p.e.c.
n. 5159/2022 R.G.
COGNOME
Rep.
C.C. 7 novembre 2024
Proprietà Distanze costruzioni.
tra
dei difensori : ‘ EMAIL );
-controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila n. 213/2021, pubblicata il 15 febbraio 2021;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 7 novembre 2024, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.;
FATTI DI CAUSA
1.- Con atto di citazione notificato il 6 luglio 2007, COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Giulianova, COGNOME NOME e COGNOME NOME, per ivi sentir accogliere le seguenti conclusioni: « 1. Accertare e dichiarare l’illegittimità delle opere citate nella premessa dell’atto di citazione, realizzate e poste in violazione dei diritti degli esponenti ed in violazione delle citate norme; 2. Conseguentemente condannare i signori COGNOME NOME e COGNOME NOME all’immediata rimozione delle stesse per come accertate e realizzate in violazione delle norme sulle distanze tutte e, comunque, arbitrariamente realizzate in uno con la cessazione delle vedute esercitate; 3. Condannarli inoltre, in solido tra loro, alla rifusione di ogni danno subito per l’illegittima realizzazione e mantenimento delle vedute e della costruzione, dalla illegittima realizzazione alla definitiva eliminazione, alla somma ritenuta di giustizia e dovuta, comunque, non superiore ad oggi ad 18.000,00, oltre accessori; con vittoria di spese, competenze ed onorari del presente giudizio. ».
A sostegno della domanda gli attori deducevano che: 1) i convenuti avevano realizzato nell’immobile di loro proprietà posto a confine una veranda in violazione delle norme sulle distanze legali; 2) avevano posizionato sul lato ovest una tenda con struttura portante in metallo il cui montante a nord era posizionato in maniera fissa ed in violazione delle distanze dal confine di proprietà; 3) avevano realizzato sulla veranda un’apertura, attraverso la posa di un portoncino, che permetteva l’accesso sul lastrico solare, esercitando una veduta diretta in violazione dell’art. 905 c.c..
I convenuti, costituendosi in giudizio, oltre a concludere per il rigetto delle avverse pretese, proponevano domanda riconvenzionale chiedendo: 1) l’accertamento ed il riconoscimento dell’acquisto a titolo originario per usucapione di una servitù di veduta sul fondo degli attori da esercitare attraverso il lastrico solare e la veranda posti al piano primo del fabbricato di proprietà dei medesimi; 2) la condanna degli attori: a) a demolire la muratura in elevazione del solaio in piano di copertura realizzata nel locale ripostiglio accorpato al fabbricato principale; b) a demolire la scala esterna in muratura di accesso al piano primo del fabbricato, lungo tutto il tratto in cui essa era posta in aderenza alla proprietà dei COGNOME; c) a eliminare la cisterna per l’approvvigionamento idrico posta dagli attori al di sotto della predetta scala; d) a rimuovere la tenda da sole posta dagli attori sul balcone del piano primo lato sud; e) a risarcire ai convenuti i danni dagli stessi patiti in conseguenza delle predette violazioni, da liquidarsi in via equitativa.
Con sentenza n. 504/2016 pubblicata il 15 aprile 2016 il Tribunale di Teramo, decidendo sulle sole domande proposte da NOME NOME, COGNOME NOME e NOME nell’originario atto di citazione e volte ad ottenere la rimozione di opere edilizie realizzate da COGNOME NOME e COGNOME NOME sulla loro proprietà in violazione delle norme sulle distanze tra fabbricati e dal confine, nonché la cessazione delle costituite servitù di veduta ed il risarcimento dei conseguenti danni, le rigettava, ritenendo inoltre inammissibili le ulteriori domande avanzate nella memoria ex art. 183 c.p.c..
A fondamento della decisione di rigetto, il Tribunale riteneva che non fosse qualificabile come costruzione la veranda realizzata dai convenuti che, anche nel suo successivo ampliamento occupava parte del terrazzo a livello già esistente, senza oltrepassare il profilo del fabbricato esistente, con conseguente insussistenza della violazione delle distanze di cui all’art. 873 c.c.. Inoltre, riteneva operante il principio della prevenzione in favore dei convenuti, applicabile anche in caso di mancanza di titolo abilitativo, avendo COGNOME NOME costruito per primo il proprio fabbricato ponendosi con esclusivo riferimento al lastrico solare esistente al primo piano lungo la linea di confine, così imponendo al dante causa degli attori di costruire a tre metri dal confine oppure in aderenza o in appoggio.
Quindi, il giudice di prime cure valorizzava, ai fini del rilevo della violazione delle distanze per le vedute, il riscontro operato in sede di consulenza tecnica d’ufficio secondo cui la veranda, anche a seguito del suo ampliamento, risultava posta a mt. 1,50 dal confine nord con la proprietà Viera.
Con la medesima sentenza, decidendo sulle domande riconvenzionali, il Tribunale di Teramo accoglieva quelle di cui ai capoversi 1), 2b) e 2c), dichiarando l’intervenuto acquisto per usucapione della servitù di veduta sul fondo degli attori da esercitare mediante il lastrico solare e la veranda posti al primo piano del fabbricato di proprietà di COGNOME NOME (nel frattempo costituitosi in prosecuzione anche quale erede di COGNOME NOME, deceduto in corso di causa) e condannando gli attori alla demolizione della scala esterna in muratura di accesso al piano primo del loro fabbricato lungo tutto il tratto in cui essa era posta in aderenza alla proprietà COGNOME, nonché la rimozione della cisterna, ovvero ad arretrare dette costruzioni sino alla distanza minima legale di tre metri (e di due quanto alla cisterna) dal confine.
2.- La Corte d’Appello di L’Aquila , investita da ll’impugnazione proposta da COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, condannava COGNOME NOME all’immediato arretramento di un metro della veranda insistente sul terrazzo-balcone antistante la proprietà di COGNOME NOME, COGNOME e NOME e alla rimozione della ringhiera che consentiva l’affaccio dal terrazzo insistente sul solaio di copertura del manufatto posto a confine tra le rispettive proprietà. Inoltre, rigettava le domande riconvenzionali formulate dal COGNOME sub 1) e sub 2 b) e condannava quest’ultimo al pagamento dei due terzi delle spese di lite sostenute dagli appellanti.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava, per quanto di interesse in questa sede: a ) che, nel caso di specie, con riguardo alla memoria ex art. 183 c.p.c. degli attori – appellanti, non ricorreva un’ipotesi di ‘ mutatio libelli ‘ , giacché con essa i predetti avevano proceduto alla mera specificazione di presupposti di fatto già originariamente indicati in citazione, chiarendo, in particolare, che la realizzazione della veranda, era stata effettuata, inizialmente per
dimensioni ridotte, come chiusura di un balcone costruito in occasione della soprelevazione del fabbricato dei convenuti e che, attraverso l’apertura di una porta sulla stessa, era stato consentito l’accesso ad un lastrico solare, precedentemente costituente copertura di un annesso al fabbricato dei convenuti, realizzato a confine tra le rispettive proprietà, lastrico originariamente non accessibile, caratterizzato da pendenza e non dotato di parapetti; b) che, dunque, trattavasi dei medesimi fatti sommariamente individuati nell’atto di citazione (realizzazione di una veranda e di una veduta illegittime e lesive dei diritti degli attori – appellanti); c) che era evidente, dalle fotografie e dai grafici allegati alla consulenza tecnica d’ufficio, come alcuna parte della costruzione realizzata in sopraelevazione dell’originario fabbricato COGNOME fosse posta in aderenza al fabbricato degli attori; d) che l’unica parte in aderenza (e sul confine tra le rispettive proprietà) era infatti il locale ripostiglio del piano terra, già esistente, la cui copertura era stata dotata di ringhiera; e) che, dunque, nella realizzazione e successivo ampliamento della veranda (insistente, secondo l’ausiliario , in parte su aggetto balcone e, in parte, su terrazzo a livello che fungeva da copertura ai locali sottostanti), i COGNOME avevano realizzato un ampliamento della loro porzione abitativa posta al primo piano che risultava sporgente anche rispetto all’allineamento del corpo di fabbrica già costituente il primo piano; f) che appariva evidente, alla luce della planimetria allegata alla domanda di concessione per ampliamento del terrazzo n. 30/1998 dell’11 maggio 1998 (nei limiti in cui era visibile), come il terrazzo di proprietà COGNOME, già trasformato in parte in veranda, fosse stato ampliato di un metro in avanzamento verso la proprietà degli attori e su tale aumentata superficie fosse stata allargata fino al limite estremo la veranda; g) che, ad eccezione del lastrico del preesistente piccolo manufatto realizzato dai COGNOME a confine con la proprietà degli attori, la veranda apposta sul balcone non era a confine con le rispettive proprietà ma insisteva all’interno della proprietà degli attori – appellanti; h) che l’ampliamento della veranda, fino al limite attuale era avvenuto nel l’anno 2001, in occasione dell’ampliamento del terrazzo di cui alla concessione del 1998, quando gli attori -appellanti avevano già soprelevato la propria costruzione antistante la proprietà dei convenuti, cosicché quantomeno con riferimento alla parte di essa che, in ragione
dell’allargamento del terrazzo di un metro aveva inglobato la superficie del balcone per l’intero, vi era stata evidente violazione del principio di prevenzione, cui gli stessi convenuti avrebbero dovuto attenersi avuto riguardo all ‘ intervenuta sopraelevazione del fabbricato degli attori; i) che pertanto il COGNOME, pur potendo invocare il principio di prevenzione in relazione all’ampliamento già effettuato prima della soprelevazione del fabbricato degli attori, non era legittimato a fare altrettanto per l’ulteriore ampliamento della veranda lungo il fronte nord del suo fabbricato, per tutta la sua estensione, ampliamento effettuato a seguito dell’espansione in tale direzione del terrazzo; j) che era innegabile infatti come tale manufatto, diverso rispetto al preesistente, dovesse essere considerato nel computo delle distanze, determinando l’aumento della superficie utile dell ‘ appartamento e modificando la sagoma dell ‘ edificio, senza rispettare, in applicazione del criterio di prevenzione, le distanze imposte dall ‘ intervenuta soprelevazione del fabbricato antistante appartenente agli attori – appellanti; k) che il manufatto violava il disposto dell’art. 873 c.c. integrato dalle N.T.A. del piano regolatore del Comune di Martinsicuro (TE), in quanto queste ultime (richiamate in citazione a fondamento della domanda giudiziale), come accertato dal l’ausiliario , prevedevano per la zona in contestazione una distanza minima dei manufatti di cinque metri dal confine (pacificamente non rispettata nella realizzazione della veranda anche nella sua primitiva conformazione per tutta la sua lunghezza) e di dieci metri dai fabbricati prospicienti; l) che doveva pertanto essere ordinato l’arretramento di un metro della veranda, sino al limite in cui era in precedenza legittimamente insistente sul terrazzo prima del suo ampliamento, senza potersi affermare che il convenuto aveva acquisito per usucapione il diritto di veduta sulla proprietà attorea né dalla veranda nella sua precedente conformazione, né dalla porzione del solaio del manufatto realizzato a confine tra le rispettive proprietà, su cui attualmente era apposta una ringhiera; m) che, con riguardo a tale ultimo aspetto, indipendentemente dal fatto che l’accesso al lastrico solare, in epoca antecedente la soprelevazione del fabbricato sarebbe avvenuto a mezzo di scala non fissa (elemento di per sé indicativo dell ‘ inesistenza di un comodo accesso tale da far presumere che esso potesse essere comunemente utilizzato quale terrazzo), nondimeno la stessa affermazione che tale
spazio fosse dotato di parapetto dell’altezza di trenta centimetri escludeva a priori che esso consentisse di esercitare in sicurezza qualsiasi affaccio in condizione necessaria per potersi ritenere sussistente il possesso di una situazione di fatto corrispondente al diritto di veduta di cui era stata reclamata l’intervenuta usucapione; n) che, pertanto, in riforma della sentenza di primo grado, dovevano essere rigettate le domande riconvenzionali di cui ai capoversi 1) e 2b), accolte invece dal giudice di prime cure; o) che, invece, doveva restare ferma la statuizione concernente la rimozione della cisterna collocata sotto le scale di accesso al fabbricato degli attori – appellanti, in quanto non espressamente fatta oggetto di impugnazione da parte di questi ultimi.
3.- Avverso la menzionata sentenza d’appello , COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
4.- NOME COGNOME NOME e NOME hanno resistito con controricorso.
5.- A seguito di proposta di definizione anticipata, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., il ricorrente, con istanza del 4 dicembre 2023, ha chiesto la decisione del ricorso.
6.- Ambedue le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, il ricorrente denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 183 e 345 c.p. c., per avere la Corte d’Appello erroneamente posto a fondamento della sua decisione, accogliendo la domanda attrice, la circostanza, evidenziata per la prima volta nella memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., che la violazione delle distanze era dipesa dall’ampliamento del fabbricato in ragione della realizzazione del balcone a distanza inferiore a quella prevista dall’art. 873 c.c., mentre in citazione la violazione delle distanze era riferita esclusivamente alla realizzazione di una veranda su di un precedente lastrico solare e al suo successivo ampliamento, senza alcun riferimento a una violazione delle distanze della parte di immobile su cui era stata realizzata ed ampliata la veranda.
Sostiene, in particolare, che la violazione delle distanze dipendente dall’ampliamento del fabbricato in ragione della realizzazione del balcone a distanza inferiore a quella prevista dall’art. 873 c.c., sarebbe stata
dedotta per la prima volta nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1), c.p.c., per rappresentare che la veranda era stata apposta su tale balcone e non risulterebbe essere stata dedotta nell’atto di citazione, in cui la violazione delle distanze era riferita esclusivamente alla realizzazione di una veranda su di un precedente lastrico solare e al suo successivo ampliamento, senza alcun riferimento ad una violazione delle distanze della parte di immobile su cui era stata realizzata ed ampliata la veranda.
Afferma, ancora, che non si sarebbe in presenza, dunque, di una mera precisazione o modificazione della domanda originaria rispetto a circostanze di fatto dedotte nell’atto introduttivo, ma di una vera e propria ‘ mutatio libelli ‘ .
Neppure potrebbe sostenersi che la domanda nuova sarebbe ammissibile in via di eccezione al fine di paralizzare la domanda riconvenzionale del ricorrente, giacché, in tal caso, essa avrebbe dovuto essere avanzata entro la prima udienza di trattazione.
2.- La censura risulta manifestamente infondata, giacché la Corte d’ Appello di L’Aquila ha correttamente ritenuto la variazione della domanda rientrante nel ‘ thema decidendum ‘ , sulla scorta d ell’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato presso questa Corte regolatrice, per il quale l’art. 183, comma 6, c.p.c. non esclude la possibilità della modifica del ‘ petitum ‘ o della ‘ causa petendi ‘ della domanda originariamente formulata, purché rimanga immutata la situazione sostanziale dedotta in giudizio e non sia provocata alcuna compromissione delle potenzialità difensive della controparte o l’allungamento dei tempi del processo (Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 22404 del 13 settembre 2018, Rv. 650451-01; Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 12310 del 15 giugno 2015, Rv. 635536-01; Cass. civ., Sez. 6-2, ordinanza n. 20898 del 30 settembre 2020, Rv. 659230-01; Cass. civ., Sez. 3, ordinanza n. 4031 del 16 febbraio 2021, Rv. 660594-01; Cass. civ., Sez. 3, ordinanza n. 31078 del 28 novembre 2019, Rv. 655978-01).
In particolare, la Corte di merito, nella motivazione della sentenza impugnata ha ampiamente precisato che, con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1), c.p.c. depositata in primo grado, COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME si erano esclusivamente limitati a specificare i
presupposti di fatto già originariamente indicati, a sostegno delle domande proposte, nell’atto di citazione e avevano chiarito, in particolare, che la realizzazione della veranda, era stata effettuata, inizialmente per dimensioni ridotte, come chiusura di un balcone costruito in occasione della soprelevazione del fabbricato dei convenuti e che, attraverso l’apertura di una porta sulla stessa, era stato consentito l’accesso ad un lastrico solare che in precedenza costituiva la copertura di un annesso al fabbricato dei convenuti, realizzato a confine tra le rispettive proprietà, originariamente non accessibile, caratterizzato da pendenza e non dotato di parapetti. Sulla base di tale precisazione, la Corte territoriale ha dunque escluso che, nella specie, si fosse realizzata l’ introduzione, nel processo, di un ‘ petitum ‘ diverso e più ampio, o di una ‘ causa petendi ‘ fondata su situazioni giuridiche non prospettate in precedenza, ovvero su un fatto costitutivo radicalmente differente da quelli originariamente allegati a sostegno delle domande giudiziali mediante l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado.
3.Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 873 c.c., per avere la Corte di merito affermato che l’ampliamento della veranda sarebbe stato effettuato in violazione delle distanze legali, perché coincidente con l’ampliamento di un balcone realizzato a distanza inferiore a quella prevista dall’art. 873 c.c., senza considerare che la medesima veranda, in conseguenza del predetto ampliamento, sarebbe rimasta allineata al profilo del fabbricato esistente.
Sostiene, al riguardo, che, nel caso di specie, lo stesso giudice di primo grado aveva affermato, sulla scorta delle stesse deduzioni degli attori e di quanto accertato dall’ausiliario , che la veranda, compreso il suo successivo ampliamento, aveva occupato solo una parte del terrazzo a livello, senza oltrepassare il profilo del fabbricato esistente, sicché doveva escludersi che la sua realizzazione abbia comportato una violazione delle distanze rispetto alla situazione di fatto preesistente.
Né rileverebbe, secondo la prospettazione del ricorrente, che l’ampliamento della veranda fino al limite attuale, sia avvenuto nel 2001 in occasione dell’ampliamento del fabbricato in ragione della realizzazione del balcone a distanza inferiore a quella prevista dall’art. 873 c.c., talché
troverebbe applicazione il principio di prevenzione a favore degli attori, poiché, una volta realizzato il balcone, ai fini del rispetto delle distanze, occorrerebbe fare riferimento alla situazione di fatto del fabbricato esistente con tale balcone, ancorché illegale o abusivo, atteso che, la natura abusiva della costruzione rileva unicamente nei rapporti con l’amministrazione pubblica e non anche ai fini del rispetto delle distanze legali.
4.- La censura risulta inammissibile, poiché attinge la valutazione del fatto e delle prove condotta dalla Corte di merito, con riguardo all’ampliamento della veranda .
La Corte distrettuale, riformando la decisione di prime cure, ha ritenuto, invece, all’esito della valutazione del fatto e delle prove (e, in particolare, della consulenza tecnica d’ufficio e della documentazione , grafica e fotografica, ad essa allegata) che, ad eccezione del lastrico del preesistente piccolo manufatto realizzato da COGNOME a confine con la proprietà degli appellanti, la veranda di cui si tratta non era al confine tra le proprietà delle parti, ma piuttosto all’interno di quella di Viera NOME, COGNOME NOME e NOME. In particolare – come espressamente chiarito dalla sentenza – dal rilievo fotografico contrassegnato dal n. 1 e dagli elaborati grafici allegati alla relazione di consulenza tecnica d’ufficio la Corte di merito ha desunto che il confine tra le proprietà insisteva, da un lato, in corrispondenza ai punti di aderenza del menzionato manufatto e del locale ripostiglio di proprietà degli attori (elementi intorno ai quali erano state costruite le scale di accesso alla proprietà degli appellanti ed odierni controricorrenti) e, dall’altro, al piccolo muretto che divideva i due cancelli di ingresso alle rispettive proprietà (cfr., all’uopo, la sentenza impugnata, alle pagg. 12-13).
A tale ricostruzione, il ricorrente tenta di contrapporre una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito volta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. civ., Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25 ottobre 2013, Rv. 62779001, nonché Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01, secondo cui « In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi
inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme. »).
Non è possibile, dunque, proporre un apprezzamento diverso e alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui « L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata » (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24 maggio 2006, Rv. 589595-01; conf. Cass. civ., Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448-01; Cass. civ., Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13 giugno 2014, Rv. 631330-01).
Del resto, questa Corte ha più volte affermato che « Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice de l caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la
fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità. » (Cass., Sez. 1, ordinanza n. 640 del 14 gennaio 2019, Rv. 652398-01; conf. Cass., Sez. 3, sentenza n. 7187 del 4 marzo 2022, Rv. 664394-01).
Orbene, non è chi non veda come il motivo in esame, in quanto si concentra sull’accertamento delle circostanze di fatto valevoli ad integrare gli elementi idonei a ritenere che l ‘ampliamento della veranda si trovasse all’interno della proprietà degli attori – appellanti, nel tentativo di confutarli sostenendo che invece esso fosse allineato al profilo del fabbricato esistente, finisce con il risolversi nella prospettazione di una ricostruzione alternativa della vicenda fattuale e, dunque, nella richiesta di una nuova valutazione del compendio istruttorio, notoriamente preclusa in sede di giudizio di legittimità (cfr., al riguardo, Cass., Sez. 5, ordinanza n. 32505 del 22 novembre 2023, Rv. 669412-01, secondo cui « Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. »).
5.- In definitiva, alla stregua delle considerazioni finora sviluppate, il ricorso dev ‘ essere senz’altro respinto.
6.- Le spese e compensi del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
7.- Poiché il giudizio è definito in conformità alla proposta di definizione accelerata , ai sensi dell’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., deve farsi applicazione delle disposizioni di cui al l’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c., con conseguente condanna ulteriore del ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, di una somma equitativamente determinata e che si liquida in dispositivo, nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di legge, anch’essa liquidata come da dispositivo.
8.- Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto .
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi €. 3.700,00 (euro tremilasettecento/00), di cui €. 200,00 (euro duecento/00) per esborsi, oltre accessori come per legge; condanna altresì il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, della somma di €. 3.500,00 (euro tremilacinquecento/00), ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., nonché al pagamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di €. 3.000,00 (euro tremila/00), ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c..
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione