Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1341 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1341 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15191/2023 R.G. proposto da :
COGNOME VINCENZA, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 863/2023, depositata il 12/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
NOME COGNOME premesso di essere proprietaria di una villetta, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Siracusa NOME COGNOME proprietaria di un immobile adiacente, lamentando che nel sopraelevare nel 2015 la sua costruzione la convenuta non aveva rispettato le distanze minime tra fabbricati e dal confine di proprietà ai sensi dell’art. 873 c.c. e della normativa regolamentare di attuazione; l’attrice chiedeva quindi al Tribunale di accertare che nel 2015 erano stata realizzata da NOME Cavarra la suddetta sopraelevazione, con i relativi aumenti di cubatura, e che la stessa viola le distanze legali e per l’effetto di condannare la convenuta alla sua demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi.
Con sentenza n. 861/2021, il Tribunale di Siracusa dichiarava che i lavori di sopraelevazione eseguiti dalla convenuta sul proprio immobile ‘violano le distanze legali codicistiche e regolamentari dal confine dell’immobile di proprietà dell’attrice’ e condannava la convenuta all’esecuzione dei lavori volti alla demolizione della sopraelevazione e al ripristino dello stato dei luoghi.
La sentenza è stata appellata da NOME COGNOME Con la sentenza n. 863/2023 la Corte d’appello di Catania ha rigettato il gravame.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME.
Resiste con controricorso NOME COGNOME
Il Consigliere delegato dal Presidente della sezione seconda ha ritenuto che il ricorso sia inammissibile e/o manifestamente infondato e ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis , comma 1 c.p.c.
La ricorrente ha chiesto, ai sensi del comma 2 dell’art. 380 -bis c.p.c., la decisione del ricorso da parte del Collegio.
La ricorrente e la controricorrente hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in due motivi, tra loro strettamente connessi.
Il primo motivo contesta violazione e falsa applicazione degli artt. 872, 873, 2058 e 2934 ss. c.c., 112 c.p.c.: dagli atti del processo risulta in modo incontrovertibile e incontestato che l’immobile è stato costruito nel 1976 ed è quindi certo che già prima del 1986 l’immobile presentava due elevazioni, consistendo in un piano terra, un primo piano e un secondo piano; l’immobile poi era stato realizzato a oltre dieci metri da dove è stata realizzata la costruzione di controparte; l’immobile dell’esponente è collocato alle medesime distanze dal confine dell’immobile di controparte; a distanza di oltre trent’anni controparte ha denunciato una lesione data da un innalzamento del tetto dal quale non sono derivati pregiudizi nei suoi confronti; inoltre non è possibile la riduzione in pristino che, se non impossibile, è palesemente pericolosa, oltre che sproporzionata, in quanto consisterebbe nel demolire un volume frutto di ‘abuso infinitesimo che insiste su un volume preponderante sano’.
Il secondo motivo denuncia ‘omessa motivazione’ per avere la Corte d’appello totalmente omesso ogni motivazione in merito a un fatto importante e per certi versi decisivo, ossia ‘la messa in pristino o il risarcimento del danno per equivalente’.
I motivi non possono essere accolti. La Corte d’appello non contesta che anche la seconda elevazione fuori terra sia stata realizzata negli anni 1990, ma puntualizza che la seconda elevazione è stata interessata da una sopraelevazione (mediante la posa in opera di una fascia di muratura che ha determinato l’innalzamento delle quote in corrispondenza sia delle linee di gronda che dei colmi delle falde di copertura) in tempi assai più recenti, ossia nei primi mesi del 2015. La Corte precisa poi che sino alla sopraelevazione del 2015 la seconda elevazione era un
sottotetto non abitabile, mentre la maggiore volumetria in conseguenza della sopraelevazione l’ha trasformata in una mansarda abitabile, come verificato dal consulente tecnico d’ufficio; con l’innalzamento delle quote il piano è venuto ad avere una nuova altezza media di più di due metri così da fargli assumere rilievo nel computo dei volumi, determinando un aumento della cubatura realizzata. Le deduzioni in senso contrario della ricorrente, secondo cui la sopraelevazione della falda di tetto soprastante la propria unità non avrebbe arrecato variazioni significative alla struttura preesistente non si confrontano con le articolate argomentazioni della Corte d’appello e, in ogni caso, si risolvono in censure di merito relative all’accertamento del fatto e alla valutazione delle prove acquisite; profili del giudizio, questi, che non sono sindacabili in sede di legittimità. Per quanto concerne il vizio di omessa motivazione denunciato con il secondo motivo, il vizio non sussiste: la Corte d’appello, dopo avere puntualizzato che l’art. 872, comma 2 c.c., sancisce il diritto di chiedere la riduzione in pristino ove siano state violate le norme sulle distanze nelle costruzioni, ha respinto come pretestuosa l’eccezione della ricorrente per cui la sentenza di primo grado avrebbe ordinato la demolizione di ‘una parte non precisata’, in quanto, a prescindere da quanto riservato al giudice dell’esecuzione, l’ordine del primo giudice di riduzione in pristino implica l’eliminazione della sola ‘fascia di muratura realizzata in epoca successiva a quella della costruzione originaria del fabbricato’. La ricorrente fa riferimento, nel ricorso e nella memoria, alla ‘irreversibilità’ dell’opera realizzata e alla conseguente ‘impossibilità o difficoltà notevole’ della sua eliminazione e invoca al riguardo l’applicazione dell’art. 2058 c.c. Al riguardo va sottolineato che di tale profilo non si occupa la sentenza impugnata e la ricorrente non specifica quando l’avrebbe fatto valere (limitandosi a parlare di ‘doglianze ed eccezioni di questa difesa’); in ogni caso, la giurisprudenza
costante di questa Corte esclude l’applicazione in materia dell’art. 2058 c.c. (cfr. Cass. n. 2359/2012, secondo cui ‘l’art. 2058, comma 2 c.c., che prevede la possibilità di ordinare il risarcimento del danno per equivalente anziché la reintegrazione in forma specifica, in caso di eccessiva onerosità di quest’ultima, non trova applicazione nelle azioni intese a far valere un diritto reale, la cui tutela esige la rimozione del fatto lesivo, come quella diretta ad ottenere la riduzione in pristino per violazione delle norme sulle distanze, atteso il carattere assoluto del diritto leso’; negli stessi termini, più di recente, v. Cass. 19942/2020).
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., avendo il Collegio definito il giudizio in conformità alla proposta, trovano applicazione il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. (v. al riguardo la pronuncia delle sezioni unite n. 28540/2023, secondo cui, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, nel prevedere nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c., ‘codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi a una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente’).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente che liquida in euro 3.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, nonché al pagamento sempre in favore della controricorrente di euro 3.500 ai sensi del comma 3 dell’art. 96 c.p.c. e al pagamento di euro 3.000 in favore della cassa delle ammende ai sensi del comma 4 dell’art. 96 c.p.c.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione