Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14079 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14079 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5231/2020 R.G. proposto da:
NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 7284/2019 depositata il 26/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Tivoli, sez. distaccata dai Castelnuovo di Porto, nel definire il giudizio promosso da NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME, proprietaria di un terreno confinante con quello dell’attrice, ha accolto, fra le varie richieste dall’attrice, solo la domanda relativa a una tettoia realizzata sul fondo della
convenuta, ordinandone l’arretramento fino a portarla alla distanza di dieci metri dalla parete dell’edificio dell’attrice ; ha respinto le altre domande e ha accolto invece la domanda riconvenzionale della convenuta, condannando l’attrice di arretrare a sua volta il proprio fabbricato sino a portarlo alla distanza di tre metri dal confine.
Con la sentenza indicata n epigrafe, la Corte d’appello di Roma, adita dall’originaria attrice e nel contraddittorio con NOME, erede della convenuta, ha confermato la decisione.
La Corte capitolina ha ritenuto che il primo giudice avesse correttamente interpretato la domanda, diretta solo a fare valere la violazione delle distanze fra costruzioni ed entro tali limiti era stata conseguentemente accolta. In questi termini, la Corte di merito ha ritenuto infondata la tesi sostenuta in appello dalla Atanasi, secondo cui la domanda iniziale riguardava anche violazioni diverse da quelle sulle distanze, in particolare il cambio di destinazione d’uso dell’immobile vicino e le anomalie incorse nella realizzazione di tre muri sul confine; essa ha evidenziato che il petitum era circoscritto all’abbattimento delle costruzioni ‘che violano le distanze minime previste dalla normativa e il risarcimento del danno subito dall’attrice’. La Corte di merito ha aggiunto che, in materia, la rilevanza dei provvedimenti amministrativi si esauriva nei rapporti fra il privato e la pubblica amministrazione, senza estendersi ai rapporti fra privati. In considerazione di ciò, le assunte irregolarità denunziate dall’attrice , incorse nella costruzione dei tre muri, non spiegavano alcuna rilevanza nella causa in corso, non dando luogo al diritto del vicino di chiederne l’abbattimento. La C orte d’appello ha rigettato anche il motivo di appello riferito all’accoglimento della domanda riconvenzionale. In
proposito, ha osservato che la convenuta aveva edificato per prima: da qui l’obbligo dell’attrice, la quale non aveva chiesto la comunione del muro di confine, di edificare con il rispetto della distanza di tre metri dal muro, essendo invece il fabbricato a ridosso di esso.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, illustrati memoria.
NOME ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 Il primo motivo denunzia violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunziato, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per avere la Corte d’Appello deciso in materia di distanze, mentre l’attrice aveva lamentato solo la lesione di un proprio diritto derivante dal cambio di destinazione d’uso e aveva chiesto solo il danno. Inoltre , l’attrice non aveva mai lamentato l’apertura di una nuova finestra, ma solo anomalie nell’erezione di muri di confine.
2 Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 873 e 878 c.c. e omesso esame di fatto decisivo (distanza superiore al minimo legale). Si rileva in particolare che il consulente aveva accertato una distanza del fabbricato dell’attrice ben superiore a tre metri rispetto a quello della vicina (da mt, 7,50 a mt. 8,25). La Corte d’appello ha invece considerato la distanza fra il fabbricato della convenuta e il muro di confine, che è invece irrilevante ai fini del calcolo delle distanze fra edifici, trattandosi di muro di cinta e quindi non computabile ai fini del calcolo delle distanze per espressa previsione normativa (art. 878 cc).
3 Il terzo motivo denunzia omesso esame di fatto decisivo, per avere la C orte d’appello omesso di considerare la possibilità di
colmare l’intercapedine, e per non avere considerato che, tenuto conto dell’epoca della costruzione, eventuali violazioni sarebbero giustificate dall’avvenuto acquisto per usucapione della corrispondente servitù, essendo inoltre prescritto ogni diritto al risarcimento del danno.
Il primo motivo è fondato.
Con la domanda introduttiva , l’attrice aveva denunziato non solo la violazione delle norme sulle distanze, ma anche violazioni di diverso tipo, in particolare il mutamento della destinazione d’uso di una parte della costruzione della vicina, da magazzino ad abitazione. Si denunziava che il permesso di costruire, il quale aveva consentito il cambio di destinazione, non avrebbe potuto essere rilasciato secondo la normativa vigente nella zona nella quale ricadevano i manufatti. Il mutamento aveva cagionato un danno all’attrice, in quanto permetteva alla vicina di ampliare la superficie abitativa e ledere la privacy della stessa attrice, il cui fondo si trova a livello più basso ( l’esistenza del magazzino non avrebbe comportato invece comportato l’ inspicio sul fondo di proprietà dell’attrice ). Furono inoltre denunziate anomalie nel rilascio del permesso a costruire i tre muri sul fondo della convenuta, essendo inoltre incorse difformità nella loro realizzazione rispetto al progetto autorizzato. Anche in questo casso furono lamentati pregiudizi in conseguenza dell’attività edificatoria della vicina, precisandosi nella parte in diritto che «il danno subito dall’attrice consiste nel deprezzamento del proprio bene, nella parziale perdita di godimento dello stesso, a causa della diminuzione dell’amenità, salubrità, comodità e tranquillità, dovuti all’azione della convenuta, la quale ha edificato in violazione delle normative vigenti».
Come è stato affermato in giurisprudenza, gli artt. 871 e 872 c.c. distinguono, nell’ambito delle leggi speciali e dei regolamenti edilizi, le norme integrative delle disposizioni del Codice civile sui rapporti di vicinato dalle norme che, prive di portata integrativa o modificativa e se pure dirette incidentalmente ad assicurare una migliore coesistenza ed una più razionale utilizzazione delle proprietà private, tendono principalmente a soddisfare interessi di ordine generale, come quelli inerenti alle esigenze igieniche, al godimento della proprietà ed alla tutela dell’estetica edilizia. A tale distinzione corrisponde, in caso di violazione delle norme, una diversa tutela del privato, assicurata, per le norme del secondo tipo, soltanto dall’azione di risarcimento del danno, a parte il potere della P.A. di imporne l’osservanza coattiva, e, per quelle del primo tipo, anche dall’azione reale per l’eliminazione dello stato di fatto creato dalla violazione edilizia (tra le varie, v. Cass. n. 16094/2005).
Ora, l’attrice, nel proporre la domanda, aveva denunziat o sia la violazione delle norme sulle distanze, integrative del Codice civile, sia la violazione delle norme di edilizia non integrative, assumendo di avere subito un danno. Il petitum della domanda, non colto dalla Corte d’appello nel su o reale significato, conteneva sia la richiesta di abbattimento delle costruzioni erette in violazione della normativa vigente, sia la richiesta di condanna dell’attrice al risarcimento del danno.
In presenza di una domanda così formulata il giudice adito avrebbe dovuto verificare la natura delle varie violazioni denunziate, stabilire il tipo di sanzione applicabile nei rapporti fra privati, nell’alternativa fra il risarcimento del danno o anche la riduzione in pristino, con la precisazione che anche la riduzione in pristino,
laddove prevista, concorre con la tutela risarcitoria (Cass. n. 25475; n. 21501/2018) : ciò che la Corte d’appello non ha invece fatto, ritenendo che l’attrice non avesse formulata altra richiesta se non quella di riduzione in pristino conseguente alla sola violazione delle norme sulle distanze.
Si rende pertanto necessario nuovo esame.
Anche il secondo motivo è fondato.
La Corte di merito ha riconosciuto che nella specie, in assenza di normativa specifica, occorreva fare riferimento alle norme sulla distanza fra costruzioni e non, come invece ritenuto dal primo giudice, alla distanza dal confine. Nondimeno ha confermato ugualmente la decisione, evidenziando la presenza di un muro sul confine. Ora, tenuto cont o di quanto dispone l’art. 878 c.c. , la C orte d’appello non avrebbe potuto decidere in questo senso senza preventivamente accertare se il muro avesse o non avesse i requisiti previsti dalla norma per essere qualificato come muro di cinta, sottratto al computo delle distanze.
Si deve aggiungere che la Corte d’appello ha richiamato la ‘normativa del Comune di Mazzano Romano, approvata in epoca successiva alla costruzione delle parti in causa’. In linea teorica tale richiamo, posto in questi termini, non è coerente con il principio secondo cui «nel caso di successione nel tempo di norme edilizie, se le norme successive siano più restrittive, la nuova disciplina non è applicabile alle costruzioni che al momento della sua entrata in vigore possano considerarsi già sorte, mentre nell’ipotesi di nuove norme meno restrittive, il principio della immediata applicabilità dello ius superveniens trova l’unico limite nell’eventuale giudicato formatosi nella controversia sulla legittimità o meno della costruzione, con la conseguenza che non
può disporsi la demolizione degli edifici originariamente illeciti alla stregua delle precedenti norme e che siano consentiti dalla normativa sopravvenuta, nè, qualora la costruzione risulti illegittima anche alla stregua della disciplina sopravvenuta, ordinarsene l’arretramento in misura maggiore di quella necessaria ad assicurare il rispetto della nuova prescrizione, salvo, ove ne ricorrano le condizioni, il diritto al risarcimento dei danni prodottisi medio tempore , ossia di quelli conseguenti alla illegittimità della costruzione nel periodo compreso tra la sua esecuzione e l’avvento della nuova disciplina» (Cass, n, 9348/1991; n. 26713/2020; n. 28263/2022).
La sentenza va pertanto cassata anche sotto tale profilo, non avendo applicato i principi in tema di successione di legge e non avendo individuato la natura del muro.
Il terzo motivo è inammissibile nella parte in cui si censura la mancata considerazione dell’acquisto per usucapione della servitù di tenere la costruzione a distanza inferiore rispetto a quella legale. Infatti, la questione relativa all’usucapione non emerge dalla sentenza impugnata, per cui era onere della ricorrente di allegarne, con la dovuta specificità, l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito. Tali oneri non risultano assolti dalla ricorrente. Si ricorda che i motivi di ricorso per cassazione devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass. n. 20694/2018; n. 18018/2024).
Il motivo, per la parte relativa alla mancata considerazione della possibilità di colmare l’intercapedine e per la parte in cui si censura
la liquidazione delle spese, è logicamente assorbito dall’accoglimento del precedente .
In conclusione, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai primi due motivi, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.