Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19519 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19519 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5738/2021 R.G. proposto da :
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME difeso dagli avvocati COGNOME e NOME
-controricorrente-
nonché contro
LA VARDERA NOME LA VARDERA NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 1262/2020 depositata il 26/08/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia trae origine da una disputa tra proprietari di fondi confinanti situati nel comune di Lampedusa. Il signor NOME COGNOME proprietario di un terreno con annesso fabbricato, lamenta che i signori NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME, proprietari di un fondo confinante, abbiano edificato il loro fabbricato in violazione delle distanze legali previste dal regolamento urbanistico locale per la zona agricola «E». Tali norme impongono una distanza minima di 7,50 metri dal confine e di 15 metri tra fabbricati. COGNOME sostiene inoltre che i convenuti abbiano installato un cancello elettrico appoggiandolo al muro di sua proprietà.
NOME conveniva in giudizio COGNOME dinanzi al Tribunale di Agrigento, domandando la condanna all’arretramento della porzione di fabbricato costruita a distanza illegale, alla rimozione del cancello e al risarcimento dei danni. I convenuti eccepivano il difetto di legittimazione passiva di NOME e NOME COGNOME, in quanto non proprietari dell’immobile, e la prescrizione del diritto azionato. In via riconvenzionale, domandavano il risarcimento dei danni che la costruzione del signor NOME avrebbe causato al loro immobile. Il Tribunale di Agrigento accoglieva le domande dell’attore, condannando NOME COGNOME ad arretrare il proprio fabbricato e a demolire il cancello e tutti i convenuti in solido al risarcimento dei danni.
Avverso tale decisione, i signori COGNOME proponevano appello. La Corte di appello di Palermo ha parzialmente riformato la pronuncia di primo grado. La Corte territoriale ha preliminarmente esaminato il secondo motivo di appello, con cui si contestava l’erroneo accertamento del confine tra i fondi. Secondo la Corte, il giudizio verteva unicamente sulla violazione delle distanze legali dal confine, che entrambe le parti avrebbero pacificamente identificato nel muro in pietra esistente tra le due proprietà. L’attore, infatti, non aveva mai formulato una domanda di regolamento di confini, né aveva contestato che il muro rappresentasse la linea di demarca-
zione. Pertanto, la Corte ha ritenuto che il Tribunale, nel determinare un confine diverso basandosi sulle risultanze della c.t.u. (fondata su atti pubblici e sull’estensione delle proprietà), avesse pronunciato ultra petita.
Sulla base del confine rappresentato dal muro, la Corte di appello ha rilevato che la stessa consulenza tecnica espletata in primo grado aveva confermato il rispetto della distanza legale di 7,50 metri da parte della costruzione dei La Vardera. Di conseguenza, ha rigettato la domanda del signor NOME di arretramento del fabbricato e la connessa domanda di risarcimento del danno per la violazione delle distanze. Ha invece confermato la condanna alla rimozione del cancello, poiché NOME COGNOME aveva ammesso di averlo appoggiato al muro di proprietà Teresi senza chiederne la comunione forzosa ai sensi dell’art. 874 c.c.
Ricorre in cassazione l’attore con quattro motivi, illustrati da memoria. Resiste NOME COGNOME con controricorso e breve memoria. Rimangono intimati NOME e NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -In via preliminare, si osserva che la narrazione dei fatti contenuta nel ricorso diverge in modo sostanziale da quella posta a fondamento della sentenza impugnata. Mentre la Corte di appello ha ritenuto che il signor COGNOME attore in primo grado, avesse indicato il muro di pietra esistente tra le due proprietà come linea di confine e che su tale identificazione vi fosse l’accordo delle parti, il ricorrente nega decisamente tale circostanza. Sostiene di aver sempre distinto, sin dall’atto di citazione, tra il «muro» e il «confine». A riprova di ciò, evidenzia come nel suo atto introduttivo fossero indicate due diverse misurazioni: una distanza di 7,38 metri del fabbricato dei resistenti dal «muro del signor COGNOME» e una distanza di soli 4,50 metri delle finestre e della porta dal «confine con il lotto del signor COGNOME». Tale distinzione, secondo il ricorrente, era ulteriormente esplicitata nella relazione tecnica di parte, al-
legata all’atto di citazione, nella quale si specificava che il muro era stato realizzato erroneamente e non costituiva il reale limite di confine del lotto.
2. – Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 1362 ss. c.c. nell’interpretazione dell’atto introduttivo dell’attore. In particolare, si censura la sentenza nella parte in cui argomenta che egli ha indicato come linea di confine il muro esistente dal 1992 ed ha quindi escluso che l’attore abbia domandato il regolamento di confini. In altri termini, la Corte di appello ha errato nell’interpretare la domanda, trascurando che, tanto nell’atto introduttivo quanto nella relazione tecnica allegata, era chiaramente indicato che il muro non coincideva con il reale confine e che la distanza contestata era quella intercorrente tra il fabbricato dei convenuti e il confine effettivo, distante m 4,50 (e non m 7,38 che è la distanza -come allegata sempre dall’attore – del fabbricato dal muro). Si censura che non si sia ritenuta implicita la richiesta di accertamento del confine, in quanto funzionale alla tutela invocata.
Nella parte censurata, la Corte di appello ha affermato che la domanda attorea era finalizzata all’accertamento della violazione delle distanze legali rispetto a un confine che, nella prospettazione dell’attore, era situato «a distanza di mt 7,38 dal muro del sig. NOME» e ha rilevato che, dopo la costituzione del convenuto, il quale non aveva contestato che il muro costituisse il confine tra i fondi, l’attore non aveva modificato le proprie domande nei termini previsti dal c.p.c. Ha quindi affermato che «il giudizio verte, dunque, sulla pretesa violazione delle distanze legali dal confine, che le parti pacificamente e concordemente hanno identificato con il suddetto muro» e che pertanto «l’accertamento del confine stabilito dal Tribunale sulla base delle conclusioni rassegnate dal CTU -costituisce una pronuncia ultra petita». Ha aggiunto che «rispetto al confine indicato dalle parti e rappresentato dal muro, l’accertamento
tecnico espletato in primo grado ha confermato che la costruzione La Vardera rispetta la distanza legale di mt 7,50».
Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. La Corte di appello ha ritenuto che la sentenza del Tribunale fosse viziata per ultrapetizione, in quanto avrebbe pronunciato sull’accertamento del confine, senza che l’attore avesse domandato espressamente il regolamento. Il ricorrente censura questa affermazione rilevando che, sulla base dell’oggetto della domanda e della prospettazione dell’attore, l’individuazione del confine era presupposto necessario per valutare la sussistenza della violazione delle distanze, e che pertanto la pronuncia del Tribunale rientrava nel perimetro della domanda proposta.
Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c. La Corte di appello ha ritenuto che le parti avessero concordemente individuato nel muro la linea di confine, applicando il principio di non contestazione. Si censura tale conclusione, sostenendo che la posizione dell’attore è sempre stata nel senso di ritenere il muro non coincidente con il vero confine e che i convenuti non avevano mai contestato in modo specifico tale prospettazione. Si afferma quindi che il fatto dedotto dall’attore (esistenza di un confine distinto dal muro) doveva considerarsi non contestato ai sensi dell’art. 115 c.p.c.
Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 345 c.p.c. La Corte di appello ha valorizzato, ai fini della propria decisione, l’asserita affermazione dell’attore circa il muro quale confine tra le proprietà, in accoglimento di una deduzione dei convenuti formulata per la prima volta in appello. Si censura tale statuizione sostenendo che si tratta di questione nuova, non dedotta in primo grado, e pertanto inammissibile.
-I quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente poiché ruotano da diverse prospettive intorno alla stessa questione: se la Corte territoriale abbia erroneamente interpretato la domanda, attribuendo all’attore l’indicazione che il muro esistente fin
dal 1992 individui la linea di confine tra i fondi e ritenendo perciò eccedente la pronuncia del Tribunale che aveva identificato, sulla base della c.t.u., una linea di confine diversa.
Il ricorso è fondato e merita accoglimento, con particolare riferimento ai primi due motivi, il cui esame positivo determina l’assorbimento dei restanti.
Con il primo e il secondo motivo, strettamente connessi e da trattare congiuntamente, il ricorrente lamenta un vizio di nullità della sentenza e del procedimento, censurando l’operato della Corte di appello per aver travisato il contenuto della domanda introduttiva del giudizio, con conseguente violazione degli articoli 1362 e seguenti del codice civile e dell’articolo 112 del codice di procedura civile.
La doglienza è da accogliere sulla base della sola censura di violazione dell’art. 112 c.p.c.
Fuori luogo è infatti la censura di violazione dell’art. 1362 c.c. Come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 22681/2023), per interpretare la domanda giudiziale non sono impiegabili i canoni di ermeneutica contrattuale ex art. 1362 ss. c.c. Ciò non tanto perché non vi è una comune intenzione delle parti da individuare: tale giustificazione da un lato proverebbe «troppo», perché implicherebbe logicamente che tali canoni non possano applicarsi agli atti di volontà unilaterali; dall’altro lato «proverebbe poco» poiché non guarderebbe alle ipotesi di domande giudiziali congiunte, che pur esistono.
Gli artt. 1362 ss. c.c. non si applicano all’interpretazione della domanda giudiziale, semplicemente perché nel processo civile non vi è una volontà negoziale degli effetti da indagare e ricostruire nel campo della multiforme varietà degli interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 co. 2 c.c. (come accade appunto in diritto sostanziale). Vi è invece uno scopo dell’atto processuale ex art. 156 c.p.c. e vi sono, correlativamente, requisiti di forma-contenuto di
quest’ultimo, legislativamente previsti per far conseguire tale scopo. In relazione alla domanda giudiziale, tali scopi sono essenzialmente due: consentire al convenuto di apprestare una difesa adeguata all’iniziativa dell’attore; consentire al giudice di pronunciarsi sul diritto dedotto in giudizio.
Non a caso, l’evoluzione giurisprudenziale degli ultimi decenni in materia è caratterizzata da due movimenti collegati e sintonici: da un lato, il progressivo abbandono dell’orientamento che riteneva applicabili alla domanda giudiziale le norme di ermeneutica contrattuale (cfr. Cass. 24480/2020, ove si rinvia a Cass. 20325/2006 per l’indirizzo recessivo); dall’altro lato la progressiva apertura ad un sindacato diretto da parte della Corte di cassazione, come giudice del fatto processuale, dell’interpretazione cui la domanda giudiziale è stata assoggettata dal giudice del merito, ove sia opportunamente censurata la violazione di norme processuali, in particolare dell’art. 112 c.p.c. (cfr. Cass. 11103/2020).
Nel caso di specie, ammissibile è quindi solo la censura ex art. 112 c.p.c.
Come già anticipato, essa è accolta.
La Corte di appello ha basato la propria decisione di riforma della sentenza di primo grado sull’assunto che il signor COGNOME attore originario, avesse pacificamente identificato il confine tra i due fondi con il muro di pietra esistente tra le proprietà e che, di conseguenza, il Tribunale, disponendo un accertamento tecnico per determinare un confine diverso, fosse incorso in una pronuncia ultra petita.
Tale presupposto fattuale, tuttavia, risulta smentito dalla lettura diretta dell’atto di citazione introduttivo del giudizio, atto che questa Corte è legittimata a esaminare vertendosi in un’ipotesi di error in procedendo censurato in modo sufficientemente specifico. In tale atto, infatti, il signor COGNOME dopo aver affermato che «il fabbricato dei signori La Vardera è stato edificato a distanza di metri 7,38 dal
muro del signor COGNOME, aveva immediatamente cura di precisare, nello stesso contesto espositivo, che «le finestre e la porta di accesso, poi, sono state realizzate a distanza di soli metri 4,50 dal confine con il lotto del signor COGNOME». L’utilizzo di due termini diversi («muro» e «confine») e l’indicazione di due misurazioni differenti rendevano palese, secondo un’interpretazione dell’atto condotta secondo buona fede e volta a ricostruire l’effettiva volontà della parte, l’intenzione di distinguere la linea di confine reale dalla posizione del muro. Tale volontà era peraltro corroborata dal richiamo, nello stesso atto di citazione, alla relazione tecnica di parte prodotta come documento numero 1.
L’erronea decifrazione del contenuto della domanda ha costituito un travisamento del fatto processuale che ha condotto la Corte territoriale a una falsa applicazione delle norme che regolano l’attività del giudice. Ritenendo, erroneamente, che la domanda riguardasse il rispetto delle distanze da un confine pacifico (il muro), la Corte di appello ha finito per omettere di pronunciarsi sulla domanda effettivamente proposta, che aveva ad oggetto il rispetto delle distanze dal confine reale, la cui effettiva posizione era implicitamente controversa. Si è così configurata la violazione dell’articolo 112 del codice di procedura civile.
Infatti, come rilevato anche nella recente giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 1831 del 2025), l’incertezza sulla linea di demarcazione tra due fondi non costituisce un impedimento alla decisione sulla domanda di rispetto delle distanze legali. Al contrario, in simili controversie, il confine tra i fondi, ove posto in discussione, deve costituire oggetto di un accertamento in via incidentale da parte del giudice di merito (così, anche Cass. n. 20691 del 2018). Questi, al fine di verificare la sussistenza della violazione lamentata, ha il potere e il dovere di determinare l’esatto confine, avvalendosi di ogni mezzo di prova, comprese le mappe catastali, il cui valore è meramente sussidiario rispetto alle altre risultanze
probatorie. La Corte di appello, pertanto, ha errato nel ritenere che la mancata proposizione di una specifica azione di regolamento di confini ai sensi dell’articolo 950 del codice civile ostasse all’accertamento della violazione delle distanze.
– L’accoglimento dei primi due motivi di ricorso (elisa la censura di violazione dell’art. 1362 c.c.) determina l’assorbimento del terzo e del quarto motivo, relativi alla violazione degli articoli 115 e 345 del codice di procedura civile, in quanto le relative censure presuppongono la medesima errata interpretazione della domanda iniziale.
– La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, la quale provvederà a un nuovo esame del merito attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, a seguito di riconvocazione, il 09/07/2025.