SENTENZA CORTE DI APPELLO DI ROMA N. 4766 2025 – N. R.G. 00000928 2023 DEPOSITO MINUTA 01 08 2025 PUBBLICAZIONE 01 08 2025
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
SECONDA SEZIONE CIVILE -SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA
Così composta:
APPELLANTI
NOME COGNOME Presidente
NOME COGNOME Consigliere Relatore
NOME COGNOME Consigliere
riunita in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile di appello iscritta al n. 928 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2023 vertente
TRA
( C.F.
)
( C.F.
)
elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv.to NOME COGNOME che li rappresenta e difende con l’Avv.to NOME COGNOME per mandato in atti
E
(C.F. ) P.
(C.F.:
) P.
elettivamente domiciliate in Roma INDIRIZZO, rappresentate e difese dagli Avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che le rappresentano e difendono per mandato in atti
APPELLATE
Oggetto: impugnazione sentenza del Tribunale di Roma, Sezione Specializzata Imprese n. 1283/2023 resa nel procedimento 50332/2019 – violazione diritto all’uso del marchio –
P.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato e iscritto a ruolo ( r.g. 50332/2019 )
e convenivano dinanzi al Tribunale di Roma, sezione specializzata imprese, e deducendo che i questi ultimi avevano agito in concorrenza sleale e violato i diritti di privativa ( art. 20 CPI ) sui marchi EUTM n. 000264804 del 24/11/1998, EUTM n. 014022495 del 25/08/2015 e) EUTM n. 11432457 del 17/12/2012 e sul marchio italiano registrato n. 0001042308 del 29/7/2003 commerciando anche tramite canali web i prodotti recanti detto marchio.
Chiedevano che fosse inibita ex art. 124 CPI la produzione, commercializzazione e vendita dei capi di abbigliamento e accessori, che fosse disposto il ritiro dal commercio dei prodotti contraffatti, che i convenuti fossero condannati al risarcimento del danno anche per la concorrenza sleale.
I convenuti si costituivano, affermava di non essere legittimato in proprio e comunque era chiesto il rigetto delle domande attoree.
Il Tribunale disponeva CTU e con sentenza 1283/2023 così statuiva :
‘ Accoglie la domanda attorea; – Condann in solido co a rifondere a risarcitorio oltre interessi dal dì della sentenza. – Condanna in solido con a rifondere a le spese di CTP per complessivi 9.391,38; – Co a rifondere a le spese di lite per complessivi euro 22.500,00 di cui euro 3.500,00 per lo studio, euro 2.500,00 per la fase introduttiva, euro 10.000,00 per la fase istruttoria ed euro 6.500,00 per la fase decisoria. Iva al 22% spese generali al 15%, CPA e contributo unificato. – pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese della disposta consulenza tecni ca di ufficio nell’importo già liquidato. ‘
e
proponevano appello chiedendo:
‘ preliminarmente, dichiarare il difetto di legittimazione passiva del sig in ogni caso, nel merito, rigettare le domande di parte attrice giacché infondate, in fatto e diritto, e, in ogni caso, non provate; in subordine, condannare gli appellanti al solo danno effettivamente accertato. Con vittoria di spese di lite.’
Le appellate si costituivano e concludevano chiedendo :
‘in via preliminare dichiarare, per le ragioni esposte in atti, l’inammissibilità ex art. 345 c.p.c. del doc. 2 avversario, nonché dell’eccezione di esaurimento dei diritti sui Marchi di titolarità di (come in atti individuati) formulata dalle parti appellanti; nel merito rigettare
ogni domanda e/o pretesa avanzata dalle parti appellanti in quanto infondate, in fatto e in diritto, per tutti i motivi indicati in atti e, per l’effetto, confermare integralmente la sentenza di primo grado ex adverso appellata. In ogni caso con vittoria di spese, anche forfettarie, diritti e onorari di causa oltre rimborso forfettario delle spese generali, IVA e CPA come per legge, del doppio grado di giudizio .’
La Corte all’esito dell’udienza del sette luglio 2025, trattata in forma scritta come da decreto del ventuno maggio 2025 riservava la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Occorre premettere il contesto in cui è maturata l’azione intrapresa dalle odierne appellate.
di cui era amministratore unico e socio unipersonale, tramite due siti ( e Kadeba.it ) con dominio web intestato ad in proprio, commercializzava capi di abbigliamento e accessori di famose case produttrici rifornendosi da diverse ditte anche estere.
A giugno 2017 era eseguita una perquisizione da parte della GDF in un magazzino intestato a una RAGIONE_SOCIALE ma in uso a in tale occasione erano sequestrati migliaia di prodotti con marchi contraffatti; aveva indicato in sede di interrogatorio alla GDF che il numero dei prodotti commercializzati era di oltre quattro milioni di articoli con un fatturato annuo superiore a € 7.500.000,00.
Con sentenza di patteggiamento del venticinque novembre 2018 il Tribunale di Tivoli aveva comminato ad una pena di un anno e dieci mesi di reclusione ed €1.400,00 di multa.
Il Tribunale ha espletato ctu, ha confermato la contraffazione e ha ritenuto la responsabilità solidale delle parti odierne appellanti.
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Eccezioni in rito sollevate dalle appellate
Le appellate costituendosi hanno affermato l’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c.
L’eccezione è infondata considerate le compiute argomentazioni svolte dall’appellante e i passaggi della sentenza articolatamente oggetto di doglianza.
E’ stata poi dedotta l’inammissibilità della produzione della sentenza del Tribunale di Frosinone n. 1995/2022 con cui è stato assolto dal delitto di contraffazione e ricettazione per non aver commesso il fatto. L’eccezione è infondata in quanto seppur il dispositivo è stato letto nel 2022 la motivazione è stata depositata il trenta gennaio 2023 dopo la sentenza oggetto del presente appello, depositata il ventisei gennaio 2023.
E’ stata infine dedotta la tardività dell’eccezione di esaurimento del marchio sollevata per la prima volta in appello. L’eccezione è effettivamente tardiva in quanto formulata per la prima volta in appello oltre ad essere comunque inidonea, per quanto di seguito verificato, a scalfire la motivazione della sentenza impugnata.
Primo motivo di appello
‘Sulla responsabilita’ della e del in proprio. Difetto di motivazione. Motivazione apparente’
Si afferma che il Tribunale avrebbe ‘ immotivatamente ed erroneamente ritenuto dimostrata la responsabilità dei convenuti, id est, la consapevolezza del carattere contraffatto dei prodotti compravenduti dall .
In particolare gli elementi addotti dal Giudice di prime cure ( risultanze ctp e ctu, verbale di sequestro ) accerterebbero solo l’elemento oggettivo della fattispecie per cui erroneamente il Tribunale avrebbe dedotto la consapevolezza in capo a parte appellante basandosi solo ed erroneamente sulla natura contraffatta dei beni.
Si nega valore confessorio alle dichiarazioni rese dal nonché si afferma che la sentenza di patteggiamento non avrebbe alcun rilievo dirimente e che la difesa di controparte in primo grado avrebbe utilizzato a sostegno solo tale ultimo elemento.
Si sostiene inoltre che il Tribunale avrebbe valorizzato l’assenza di licenza per la commercializzazione laddove detta circostanza non era stata dedotta da controparte; comunque, una volta introdotto in commercio il bene, il titolare del diritto di privativa non potrebbe opporsi in virtù del principio di esaurimento del marchio.
Si afferma poi che l’assenza di consapevolezza era stata invero provata in quanto già in primo grado era stato allegato e dimostrato come avesse commercializzato i prodotti
in base ad accordi con società estere fornitrici che avevano garantito l’autenticità dei prodotti forniti e come, appena avuto notizia di possibili contraffazioni segnalate da terzi acquirenti, prima dell’ispezione e sequestro, fossero state chieste subito spiegazioni alle società spagnole e fosse stato dato incarico a società specializzata di verificare l’autenticità
.
Il motivo è infondato.
Come condivisibilmente indicato in motivazione da Cass. 5722 del 2014 in un caso analogo in cui l’azione a tutela del marchio era stata esercitata anche contro coloro che avevano acquistato i beni da importatori, richiamando numerosi precedenti, gli stati soggettivi ‘ sono del tutto irrilevanti ai fini dell’azione diretta ad impedire…la contraffazione del marchio, che è un’azione di carattere reale avente ad oggetto immediato e diretto la tutela della titolarità esclusiva del bene immateriale destinato al servizio di un’impresa, nei confronti di chiunque ponga in essere un fatto oggettivamente lesivo di quella titolarità, indipendentemente dalla sua buona fede’.
Atteso quanto detto il fatto che le società fornitrici avessero la licenza o meno per distribuire i prodotti ( circostanza negata dal Tribunale e affermata dagli appellanti ), la richiesta di chiarimenti e l’attivazione di una società terza per verificare l’autenticità dei prodotti rimangono elementi del tutto disallineati rispetto alla responsabilità di chi vende prodotti contraffatti rifornendosi da altri.
A ciò si aggiunge il fatto che, in materia di concorrenza sleale anche l’art. 2600 comma 3 stabilisce una presunzione di colpa che nel caso di specie comunque non è stata superata.
La sentenza del Tribunale di Frosinone sopra indicata poi non ha rilevanza dirimente.
In primo luogo infatti riguarda solo un numero ridotto di capi di abbigliamento rispetto a quello oggetto della presente causa.
In secondo luogo concerne fattispecie penali ( falso e ricettazione ) che hanno un regime di accertamento diverso rispetto alla violazione del marchio e alla concorrenza sleale civilistica.
In terzo luogo nella motivazione di detta sentenza con cui il signor è stato assolto per non aver commesso il fatto è stato solo accertato che la contraffazione e la ricettazione erano state commesse da altri ( i produttori e le società che avevano fornito i capi di abbigliamento all’imputato ) ma ciò è irrilevante rispetto all’oggetto del presente giudizio
riguardante la rivendita di prodotti contraffatti su piattaforma web in violazione della normativa a tutela del marchio e con atto di concorrenza sleale.
Gli strumenti di tutela civilistica sono stati di conseguenza correttamente azionati dalle appellate nei confronti sia del titolare del sito su cui operava la piattaforma di vendita online ( ) sia nei confronti della società.
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Secondo motivo di appello
‘Sulla responsabilita’ personale e la legittimazione passiva del Violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato’
Il Tribunale ha ritenuto personalmente responsabile in quanto socio unipersonale e amministratore della RAGIONE_SOCIALE nonché in quanto titolare dei siti web ‘tempodisconti.it e kadeba.it’.
Si afferma l’insussistenza dei presupposti per applicare la responsabilità ex art. 2462 c.c.; si sostiene che l’azione svolta dalle appellate sarebbe stata basata solo sulla sentenza di patteggiamento senza invocare la responsabilità dell’amministratore ex art. 2476 c.c. per cui il Tribunale, applicando il regime di responsabilità dell ‘ amministratore e del socio unico avrebbe violato l’art. 112 c.p.c.
Si afferma poi che l’azione esercitata nei confronti di non si baserebbe su una responsabilità in proprio quale titolare dei domini; l’azione sarebbe stata in realtà svolta solo nei confronti di ( e di in quanto destinatario della sentenza di patteggiamento ) .
La domanda come proprietario dei domìni sarebbe stata poi intempestiva in quanto effettuata solo nella prima memoria ex art 183 c.p.c. e in quanto domanda nuova; non sarebbe infine comunque fondata la domanda di condanna poiché il titolare del dominio non può ritenersi responsabile di fatti addebitati alla società che detto dominio utilizza.
Il motivo è infondato.
A prescindere infatti dalla tempestività o meno dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva ( sollevata invero tardivamente dall’odierno appellante in sede di costituzione tardiva
in primo grado ) comunque la sentenza di patteggiamento costituisce un elemento di prova per cui correttamente è stata utilizzata in motivazione dal Giudice di prime cure.
Come infatti condivisibilmente affermato da Cass 2897/2024 ‘ In tema di rapporti tra giudizio civile e giudizio penale, mentre il giudice può assumere a fondamento del proprio libero convincimento la sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, la sentenza di patteggiamento – della quale l’art. 445, comma 1-bis, c.p.p. sancisce l’inefficacia agli effetti civili – può essere assunta semplicemente come elemento di prova, che può essere considerato in ragione dell’assenza di un principio di tipicità della prova nel giudizio civile e della possibilità delle parti di contestare, in detto giudizio, i fatti accertati in sede penale ‘ ).
L ‘ azione poi, come risulta dal testo dell ‘ atto di citazione, è stata svolta nei confronti sia della società che di in proprio indicato infatti specificamente come titolare del dominio ed erano stati individuati i criteri di responsabilità; la domanda svolta nei confronti di pertanto non è nuova né vi è alcuna violazione dell ‘ art. 112 c.p.c. ben potendo il Giudice qualificare la domanda sulla base dei fatti allegati.
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Terzo motivo di appello
‘Sulla quantificazione del danno’
Si sostiene che il Tribunale in sintesi avrebbe errato quantificando il danno in € 400.000,00 in quanto non avrebbe considerato l’assenza di dolo e avrebbe al più dovuto effettuare il calcolo sulla base dei capi sequestrati che si erano rivelati contraffatti.
Il Tribunale invece avrebbe calcolato il danno prendendo a base l’utile di tutti i capi a marchio venduti negli anni precedenti ritenendo che detta vendita fosse stata effettuata illegittimamente in quanto senza la dovuta licenza; in realtà, si afferma, era applicabile il principio di esaurimento del marchio per cui, una volta messo in commercio il prodotto, il proprietario non può più vietarne la libera vendita.
Il motivo è infondato.
In primo luogo riguardo all’elemento soggettivo l’infondatezza della deduzione deriva da quanto già sopra indicato rispetto ai precedenti motivi e comunque come condivisibilmente indicato da Cass. 2800 del 2023 ‘ In tema di diritti di privativa industriale, il titolare del marchio oggetto di contraffazione può chiedere, in luogo del risarcimento del danno da lucro
cessante, la restituzione (cd. “retroversione”) degli utili realizzati dall’autore della violazione, ai sensi dell’art. 125 del codice della proprietà industriale, senza che sia necessario allegare e provare che il convenuto abbia agito con colpa o dolo, ed anche nel caso in cui tali utili superino quelli che il titolare avrebbe potuto conseguire qualora la contraffazione non vi fosse stata, trattandosi di un rimedio diverso da quello puramente risarcitorio, improntato ad una funzione, oltre che compensativa anche dissuasiva e deterrente, volta a prevenire la pianificazione di attività contraffattive da parte di operatori economici più efficienti per capacità imprenditoriale del titolare del diritto di proprietà industriale.’.
Per quanto poi riguarda il criterio di calcolo in realtà in sede di ctu era stato evidenziato come, nonostante le ripetute richieste, non avesse reso disponibile per gli anni 2015, 2016 e 2017 le fatture emesse, i libri giornale ed i registri IVA; il difensore degli odierni appellanti in sede di note critiche alla ctu aveva addotto impossibilità tecniche per scadenza del servizio di server cluod ma senza produrre, nel corso delle operazioni peritali e comunque in giudizio, documentazione a supporto di detta tesi.
Il medesimo difensore aveva poi chiesto che fossero effettuati i calcoli in due parti, il primo sulla base della merce oggetto di sequestro e procedimento penale e il secondo sulla base della merce acquistata e compravenduta nel corso del rapporto commerciale fra e le ditte spagnole che avevano fornito la merce contraffatta.
Il CTU ha a tale proposito compiutamente risposto:
‘ Il CTU fa presente che i criteri di valutazione sopra adottati e condivisi tengono conto di tutta la merce a marchio acquistata e desunta dalle fatture di acquisto dissequestrate e consegnate dal Sig Pertanto i conteggi esposti dal CTU assorbono anche la merce oggetto di sequestro che ai fini del Quesito corrispondono a ricavi in quanto rimanenze di magazzino ‘
La doglianza dell’appellante, che chiede che il danno sia calcolato sulla base dei prodotti rispetto a cui si è accertata la contraffazione non si confronta poi con la motivazione del Tribunale che ha rilevato :
La natura meramente formale delle osservazioni svolte alla ctu
La stessa parte convenuta aveva confermato per il 2016 un giro di affari di circa quattro milioni di euro, dato aveva trovato riscontro in sede di CTU;
La correttezza tra i criteri di calcolo adottati di quello ha preso come base esclusivamente la fatturazione dei beni acquistati dalla RAGIONE_SOCIALE, dalla RAGIONE_SOCIALE e dalle altre fornitrici, e quindi sulla base della presunzione che tutti i beni acquistati dalla fossero stati successivamente rivenduti.
L’appellante a tale proposito afferma che dal reperimento di alcuni capi contraffatti non potrebbe inferirsi la contraffazione di tutti i capi che le ditte sopra indicate avevano fornito a
La doglianza non si confronta con i punti di motivazione sopra elencati.
Rileva comunque la Corte come il criterio adottato ponga, in sintesi, come elemento di riscontro la rilevante consistenza numerica della merce sequestrata e un sistema che aveva in buona sostanza costituito un mercato parallelo di prodotti rispetto a quelli commercializzati dalla ; detto riscontro è del tutto condivisibile non avendo del resto parte appellante opposto se non l’affermazione in base a cui le ditte avrebbero fornito merce originale tranne che negli ultimi anni fornendo come unico, insufficiente e apodittico elemento l’assenza di reclami nel periodo precedente.
Le spese del presente grado seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo senza fase istruttoria in quanto non tenuta.
Per quanto riguarda l’applicabilità dell’art. 13 comma 1 quater dpr 115del 2002 ( introdotto dall’art 1 comma 17 l. 228/2012 ) la Corte deve dare atto della sussistenza del presupposto processuale a seguito della presente statuizione di rigetto; sono peraltro sempre fatti salvi gli accertamenti successivi demandati all’amministrazione giudiziaria.
Come infatti affermato da Cass. ss. UU 4315/2020 con statuizione che il Collegio ritiene di adottare ‘ In tema di raddoppio del contributo unificato a carico della parte impugnante ex art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, l’attestazione del giudice dell’impugnazione della sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell’importo ulteriore (c.d. doppio contributo) può essere condizionata all’effettiva debenza del contributo unificato iniziale, che spetta all’amministrazione giudiziaria accertare, tenendo
conto di cause di esenzione o di prenotazione a debito, originarie o sopravvenute, e del loro eventuale venir meno. ‘
P.Q.M.
La Corte definitivamente pronunciando, respinge l’appello e per l’effetto conferma la sentenza 1283/2023 del Tribunale di Roma, sezione specializzata in materia di impresa.
Condanna gli appellanti in solido a pagare alle appellate in solido le spese del presente grado liquidate in complessivi € 14.239,00 oltre rimborso forfettario del 15%, IVA e CA.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento a carico degli appellanti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ( art. 13 comma 1 quater dpr 115 del 2002 introdotto dall’art. 1 comma 17 l. 228/2012 ) salvo l’accertamento dell’effettiva debenza del contributo u nificato iniziale, demandato all’amministrazione giudiziaria
Roma, camera di consiglio del ventuno luglio 2025
IL CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRESIDENTE
NOME COGNOME NOME COGNOME de Courtelary