Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19941 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19941 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 18164/2023 proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME e domicilio eletto presso l’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
Università degli Studi di Bari Aldo Moro, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Bari n. 420/2023 pubblicata il 14 maggio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME ha esposto che:
aveva iniziato a lavorare quale lettore di madre lingua presso l’Università degli Studi di Bari in virtù di successivi contratti a termine ex art. 28 d.P.R. n. 382 del 1980, decorrenti dall’anno accademico 1991/92, effettuando un monte ore annuo di 550 ore e svolgendo attività di programmazione didattica, insegnamento della lingua, scelta dei testi, laboratorio, partecipazione agli esami e altro;
aveva convenuto l’Università di Bari innanzi al Pretore di Bari per ottenere la riammissione in servizio (sospeso nel novembre 1993) e il riconoscimento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro sin dalla conclusione del primo contratto di lettorato e il pagamento delle retribuzioni non corrisposte;
aveva ottenuto, con transazione giudiziale del 30 novembre 1998, il riconoscimento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro con l’Università di Bari e la retribuzione maggiore corrispondente a quella del professore non di ruolo di scuola media superiore, con corresponsione delle differenze retributive maturate al 31 ottobre 1994;
aveva di nuovo convenuto l’Università di Bari con ricorso depositato il 29 gennaio 2001, chiedendo il riconoscimento del proprio diritto a percepire una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost., chiedendo l’applicazione dei prin cipi di cui alla sentenza della CGUE n. 212 del 2001;
le sentenze di merito erano state a lei sfavorevoli, ma la Corte di cassazione, con sentenza n. 6050 del 2008, aveva accolto il suo terzo motivo di impugnazione, stabilendo il principio di diritto per il quale per il periodo successivo a quello regolato dalla transazione intervenuta tra le parti, ‘In forza della sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee in data 26 giugno 2001, nella causa C-212/99, e del D.L. 14 gennaio 2004, n. 2 come convertito dalla L. 5 marzo 2004, n. 63 ai collaboratori linguistici ex lettori di madre lingua straniera già destinatari di contratti stipulati ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28 abrogato
dal D.L. 21 aprile 1995, n. 120, art. 4, comma 5, convertito con modificazioni dalla L. 21 giugno 1995, n.236, art. 4, comma 5, ancorché non dipendenti da una delle sei Università menzionate nel citato D.L. n. 2 del 2004, compete, proporzionalmente all’impegno orario assolto e tenuto conto che l’impegno pieno annuale corrisponde a 500 ore, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione’;
nelle more del giudizio di rinvio, da lei riassunto, era intervenuta la legge n. 240 del 2010, che conteneva, all’art. 26, comma 3, una norma interpretativa dell’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 2 del 2004, conv. dalla legge n. 63 del 2004, che l’Università di Bari aveva chiesto di applicare, con conseguente estinzione del giudizio;
con sentenza n. 2161 del 2013, la Corte d’appello di Lecce aveva accolto l’appello, disapplicando l’art. 26, comma 3, citato, in quanto in contrasto con i principi enunciati dalla sentenza CGUE n. 212 del 2001 e in ragione del consolidamento della situazione antecedente al 1° novembre 1994, attribuendole il trattamento del ricercatore a tempo definito con decorrenza dalla prima assunzione e liquidando le differenze retributive dal 1° novembre 1994 al 31 dicembre 2008;
con sentenza della Corte di cassazione n. 17277 del 2016 il ricorso dell’Università contro detta sentenza era stato rigettato;
l’Università, però, non aveva ottemperato al giudicato intercorso fra le parti in quanto:
aveva corrisposto le differenze retributive rapportate al trattamento pieno e progressivo del ricercatore a tempo definito solo in relazione al periodo 1° novembre 1994 – 31 dicembre 2008, per poi applicare la c.d. legge Gelmini;
aveva corrisposto gli interessi legali sulle differenze retributive fino al 31 dicembre 2008 solo dal 1° gennaio 2009;
non aveva erogato gli interessi legali sulle differenze retributive successive al 31 dicembre 2008.
Il Tribunale di Bari, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 2825 del 2020, ha accolto la domanda limitatamente al profilo sub b).
NOME COGNOME ha proposto appello che la Corte d’appello di Bari, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 420 del 2023, ha accolto in parte, rigettando, però, la domanda sulle differenze retributive inerenti al periodo successivo al 31 dicembre 2008.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
L’Università degli Studi di Bari Aldo Moro si è difesa con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione del giudicato ex art. 2909 c.c., costituito dalla rideterminazione del trattamento retributivo di cui alla sentenza della Corte d’appello di Lecce del 2013, e, quindi, la violazione dei principi di diritto comunitario di cui alle sentenze CGCE n. 212 del 2001 e n. 276 del 2008, dell’art. 36 Cost., dell’art. 26, comma 3, legge n. 240 del 2010 e dell’art. 115 c.p.c.
Contesta il mancato rispetto del principio dell’ultrattività del giudicato nei rapporti di durata.
Sostiene che non era vero che avesse agito opponendo l’ultrattività della transazione giudiziale del 30 novembre 1998 e, dunque, sulla scorta di un giudizio già precedentemente definito.
Con riferimento alla locuzione ‘minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno’, espone che essa indicherebbe la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esist enza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico.
Inoltre, evidenzia che, in ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che ne costituiscano il contenuto, l’autorità del
giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti a una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, trovando tale regime limite unico nella sopravvivenza di un elemento di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento.
Secondo la ricorrente, la Corte d’appello di Lecce, nella sentenza passata in giudicato, aveva ritenuto inapplicabile l’art. 26, comma 3, della riforma Gelmini.
Ulteriori elementi in questa direzione sarebbero stati ricavabili dalle decisioni della Corte di cassazione n. 17277 del 2016 e n. 13886 del 2023.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., dell’art. 156, comma 2, c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto la motivazione sarebbe stata meramente apparente.
Con il terzo motivo contesta la violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento alla corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, non avendo domandato la disapplicazione dell’art. 26 della legge n. 240 del 2010, il riconoscimento di mansioni superiori e la commisurazione del trattamento economico a quello del professore associato.
Il primo motivo è fondato nella parte in cui denuncia la violazione del giudicato, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi.
2.1 Giova preliminarmente richiamare il principio espresso da questa Suprema Corte secondo cui il giudicato esterno, in quanto provvisto di vis imperativa e indisponibilità per le parti, va assimilato agli ‘ elementi normativi ‘ , sicché la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell ‘ esegesi delle norme (e non già degli atti e dei negozi giuridici), in base agli artt. 12 ss. disp. prel. c.c., con conseguente sindacabilità in sede di legittimità degli eventuali errori interpretativi sotto il profilo della violazione di legge (così già Cass., SU, n. 11501 del 9 maggio 2008; in senso conforme, fra molte, Cass. Sez. 3, n. 30838 del 29 novembre 2018).
2.2 Nella specie, emerge dall’ ordinanza di questa Corte n. 17277 del 2016 che il primo motivo di ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 2161 del 2013 è stato ritenuto inammissibile (almeno sotto alcuni profili) perché «Non risulta, infatti, censurato il passaggio argomentativo della Corte territoriale nella parte in cui, a sostegno della ritenuta non applicabilità della disposizione sulla estinzione del giudizio, ha posto il contrasto dell ‘ art. 26, comma 3, della legge n. 240/2010, che non ha riconosciuto ‘in modo pieno ed incondizionato agli ex lettori di lingua straniera le pretese da essi vantati’, con i principi enunciati dalla Corte di Giustizia CE nella sentenza del 26 giugno 2001, n. 212, direttamente applicabile nell ‘ ordinamento italian o » (secondo quanto riportato a p ag. 12 del ricorso) e, più ancora, per quel che rileva nella presente sede, perché «Neppure è adeguatamente censurato il decisum della Corte di appello nella parte in cui ha ulteriormente spiegato le ragioni della ritenuta non applicabilità dell ‘ art. 26 citato essendosi la ricorrente limitata a dedurre una pretesa inconferenza del richiamo al precedente di questa Corte costituito da Cass. 8 marzo 2013, n. 5792 senza chiarire perché il principio estrapolato da tale decisione mal si adatterebbe al caso in questione.
Sul punto, infatti, la Corte territoriale, a mezzo del suddetto richiamo giurisprudenziale, ha evidenziato che l ‘ art. 26 interviene su questioni, relative ai rapporti concernenti i lettori di madrelingua straniera (d.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 38), che, nella specie, riguardando il periodo antecedente all ‘ 1/11/1994, cioè quello regolato dalla transazione, hanno acquistato forza di giudicato; e, per ciò stesso, non formano più oggetto di ‘giudizi in corso’. Tale consolidamento della situazione antecedente all ‘ 1/11/1994, producendo, sia pure in via indiretta, conseguenze sul periodo successivo, impedisce l ‘ applicazione del richiamato art. 26 anche per detto periodo» (secondo quanto riportato alle pagine 12-13 del ricorso).
Ne consegue che la decisione della Corte d’appello Lecce n. 216 1 del 2013 (depositata in atti), è passata in giudicato nella parte in cui ha escluso l ‘ applicazione del richiamato art. 26 anche per il periodo successivo al 1° novembre 1994 in virtù del consolidamento della situazione antecedente,
affermazione non espressamente impugnata, come risulta dall’ordinanza di questa Suprema Corte n. 17277 del 2016.
2.3 Non è, pertanto, conforme al fondamentale canone dell’interpretazione letterale il convincimento espresso nella sentenza impugnata secondo cui «Vi è di fatto che tali ultime due sentenze» – Cass. n. 17277 del 2016 e Corte d’appello Lecce n. 2161 del 2013 – «hanno ritenuto qui inapplicabile l ‘ art. 26 comma 3 cit. solo in relazione alla (infondata) eccezione di estinzione ope legis di quel giudizio, lì sollevata dall ‘Università di Bari (nel corso del giudizio di appello, in seguito all’entrata in vigore della relativa normazione di interpretazione autentica) senza in alcun modo affrontare expressis verbis la questione della (concorrente) portata sostanziale della prima parte del medesimo art. 26 comma 3 circa l ‘ applicazione ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università quali lettori di madrelingua straniera, del trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all ‘impegno orario effettivamente assolto, ‘con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma dell’art icolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980 n. 382, sino alla data dell ‘ instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma dell’art icolo 4 del decreto-legge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236» (pagine 16 e 17 della sentenza impugnata) , posto a base dell’erronea conclusione per cui «Nulla osta, dunque, alla (doverosa) applicazione nel (separato e distinto) giudizio in esame delle cennate disposizioni sostanziali sopravvenute, in relazione a periodi retributivi questa volta senz ‘ altro rientranti sotto l ‘ egida dell ‘ art. 26 cit.» (pag. 21 sentenza impugnata).
Trova, dunque, applicazione, alla luce delle specifiche circostanze del caso concreto, come sopra riportate, il principio di diritto secondo cui, in ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, sui quali il giudice pronuncia
con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, l ‘ autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale dunque esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l ‘ unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento (principio affermato espressamente anche in tema di lettori da Cass., Sez. L., n. 20765 del 17 agosto 2018).
Nella presente controversia, il giudicato inter partes , interpretato direttamente da questa Suprema Corte nei sensi precisati, comporta, pertanto , l’accoglimento de l primo motivo di ricorso, atteso che, alla data di definizione del giudizio di rinvio conclusosi con la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 21 61 del 2013, la norma di interpretazione autentica (art. 26, comma 3, legge n. 240 del 2010) era già intervenuta e la corte di merito ne aveva inequivocabilmente escluso l’applicazione al rapporto dedotto in giudizio.
L ‘impugnata sentenza v a cassata in relazione al primo motivo, assorbite le ulteriori censure, con rinvio alla C orte d’appello di Bari, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte,
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bari, in d iversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione civile della