Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26536 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26536 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7147/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliata ex lege all’indirizzo Pec in atti.
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME, domiciliata ex lege all’indirizzo Pec in atti.
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di LECCE n. 199/2022 depositata il 15/02/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2025
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che
Con ricorso ex art. 447bis cod. proc. civ. RAGIONE_SOCIALE agiva per la risoluzione ex art. 1456 cod. civ., ovvero, in subordine, per inadempimento della controparte, di due contratti di comodato e fornitura, rispettivamente stipulati in data 29 marzo 2007 e 2 febbraio 2011 con RAGIONE_SOCIALE, e relativi rispettivamente a due impianti di distribuzione carburanti.
Deduceva la società ricorrente che la comodataria aveva effettuato e continuava ad effettuare, in relazione ad entrambi i due predetti impianti e per la rivendita al pubblico, consistenti ritiri di carburante da terzi, in violazione della clausola di esclusiva in favore di RAGIONE_SOCIALE, pattuita nei due contratti stipulati tra le parti e che prevedeva, in caso di violazione dell’esclusiva, che i contratti medesimi si risolvessero di diritto.
In via gradata, sul rilievo per cui la violazione dell’esclusiva anche integrasse un grave inadempimento ai contratti di comodato e fornitura, formulava domanda di risoluzione per fatto e colpa del comodatario.
Si costituiva RAGIONE_SOCIALE, resistendo, ed in via riconvenzionale chiedendo la risoluzione del contratto di affitto di ramo di azienda e il risarcimento del danno subito.
Con sentenza parziale n. 1219/2020 il Tribunale di Brindisi rigettava la domanda, sia principale, sia subordinata, di risoluzione dei due contratti di comodato e fornitura, nonché le connesse domande di immediata riconsegna, a pena di
pagamento di una penale per il ritardo, degli impianti e del relativo complesso aziendale alla comodante RAGIONE_SOCIALE
Avverso tale sentenza parziale RAGIONE_SOCIALE proponeva appello; si costituiva, resistendo al gravame, RAGIONE_SOCIALE
3.1. Con la qui impugnata sentenza la Corte d’Appello di Lecce accoglieva il gravame e, in riforma della sentenza impugnata, accoglieva la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE e per l’effetto dichiarava la risoluzione dei due contratti stipulati con RAGIONE_SOCIALE; condannava, pertanto, RAGIONE_SOCIALE alla restituzione di tutti beni mobili ed immobili, incluse le relative chiavi, oggetto di ciascun contratto di comodato, ove già non restituiti, nonché al pagamento di somme a titolo di penale per il ritardo.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE propone ora ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
La società ricorrente e la società controricorrente hanno depositato rispettive memorie illustrative.
Considerato che
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia ‘Art. 360 n.3 c.p.c. Violazione o falsa applicazione dell’art. 17, comma 1, del d.l. 24/1/2012, n. 1, conv. dalla l. 24/3/2012, n. 27, dell’art. 1 del d.lgs. 11/2/1998, n. 32, e dell’art. 15 della L.R. Puglia n. 13/12/2004, n. 23’.
Lamenta che la corte di merito avrebbe erroneamente escluso che la RAGIONE_SOCIALE, pur essendo titolare dell’autorizzazione petrolifera prevista dal d.lgs. n. 32/1998, potesse avvalersi delle disposizioni contenute nell’art. 17 d.l. n.1/2012.
1.1. Il motivo è infondato.
Si fonda sull’argomentazione secondo cui non vi sarebbe stata una voltura dell’autorizzazione petrolifera, che dunque sarebbe rimasta nella titolarità della comodataria RAGIONE_SOCIALE e non della comodante RAGIONE_SOCIALE, dato che non vi era stato un provvedimento costitutivo, in tal senso, da parte della p.a.
Il motivo deduce quindi una quaestio iuris sulla base della situazione di fatto per come emergente dalla stessa sentenza, la quale, come rileva del resto nella memoria la ricorrente, assume essa stessa che la c.d. volturazione non vi era stata.
Peraltro, essendovi stato un accordo fra le parti nel quadro degli affitti di azienda impositivo dell’obbligo di volturazione alla sola ricorrente, il rilievo dell’invocato art. 15 della l.r. Puglia ne resta assorbito e, soprattutto, resta, in conseguenza, non censurato e non censurabile il rilievo che, nel rapporto fra le parti ex contractu la ricorrente aveva ceduto l’autorizzazione.
Tanto è sufficiente a giustificare l’inapplicabilità dell’art. 17 del d.l. n. 12 del 2012, che suppone un accordo fra il gestore che sia titolare anche dell’autorizzazione petrolifera ed un produttore, mentre qui vi è stato un duplice conferimento di azienda ed è nel quadro di esso che è stata convenuta la cessione dell’autorizzazione.
Nel caso di specie sussiste un accordo di tipo diverso da quello supposto dalla norma, perché intervenuto fra un soggetto titolare di autorizzazione, ma che aveva conferito i due rami di azienda, e che nell’àmbito dei due contratti di affitto ebbe a cedere l’autorizzazione.
Quanto all’ulteriore rilievo, contenuto nel motivo, circa la assenza delle comunicazioni previste dalla legge per il trasferimento dell’autorizzazione petrolifera, è sufficiente osservare, sotto il profilo dello stretto diritto, che esse rilevano con riferimento al rapporto con la pRAGIONE_SOCIALE., senza che la loro
omissione determini nullità della cessione fra le parti.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia: ‘Art. 360 n.3 c.p.c. violazione dell’art. 1362 c.c.’.
Lamenta che la corte di merito nell’interpretazione dei contratti di affitto di azienda, avrebbe omesso di tener conto del comportamento delle parti, dando così per scontato che l’obbligo di volturazione si riferisse anche alle autorizzazioni petrolifere intestate alla ricorrente.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Sotto la formale invocazione della violazione di legge, sostanzialmente sollecita un riesame del fatto e della prova, dato che, anzitutto, non deduce correttamente la violazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ. (stante il consolidato orientamento di legittimità, secondo cui il ricorrente non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra’: v. Cass., 28/11/2017, n. 28319; Cass., 27/06/2018, n. 16987), e, inoltre, pretende una valutazione sia del comportamento di RAGIONE_SOCIALE, che non si sarebbe mai impegnata a volturare l’autorizzazione petrolifera a RAGIONE_SOCIALE, sia di RAGIONE_SOCIALE, che tale voltura non avrebbe mai richiesto, sollecitando dunque un nuovo esame dei fatti di causa, che è invece estraneo al giudizio di legittimità.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ‘Art. 360 n. 4 c.p.c. Violazione degli artt. 39, comma 2, 295 e 337, comma 2, c.p.c.’.
Lamenta che la corte di merito avrebbe negato la sospensione necessaria del giudizio di appello, relativo ad una sentenza non definitiva, in attesa della previa definizione della causa pregiudiziale, pendente in primo grado.
3.1. Il motivo è fondato, ma la sua fondatezza non è tale da determinare la cassazione dell’impugnata sentenza. Sussistono, infatti, gli estremi per una correzione della motivazione in iure , cui questo Collegio deve procedere ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 384 cod. proc. civ.
Infatti, il dispositivo della sentenza impugnata, là dove ha negato la sospensione del giudizio, è corretto, ma non per i rilievi svolti dalla corte leccese, bensì sulla base del principio di diritto, al quale si intende dare continuità, per cui ‘Nel rapporto fra il giudizio di impugnazione di una sentenza parziale e quello che sia proseguito davanti al giudice che ha pronunciato detta sentenza, l’unica possibilità di sospensione di quest’ultimo giudizio é quella su richiesta concorde delle parti, ai sensi dell’art. 279, quarto comma, cod. proc. civ. (che trova applicazione anche nel caso di sentenza parziale sul solo “an debeatur”), restando esclusa sia la sospensione ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., sia la sospensione ai sensi del secondo comma dell’art. 337 cod. proc. civ., per l’assorbente ragione che il giudizio é unico e che per tale ragione la sentenza resa in via definitiva é sempre soggetta alle conseguenze di una decisione incompatibile sulla statuizione oggetto della sentenza parziale’ (così Cass., 30/10/2007, n. 22944; v. anche Cass., 14/01/2004, n. 419: ‘La sospensione del giudizio di primo grado a seguito di appello immediato avverso sentenza non definitiva può essere disposta dal giudice istruttore esclusivamente su concorde istanza delle parti, a norma dell’art.
279, quarto comma, cod. proc. civ., e non in applicazione analogica dell’art. 295 cod. proc. civ., attese sia la natura eccezionale di tale ultima norma, sia la mancanza di una lacuna normativa (essendo la fattispecie regolata dal richiamato art. 279, quarto comma), ne’ in forza di un potere discrezionale di sospensione, non più configurabile a seguito della modifica degli artt. 42 e 295 cod. proc. civ. ad opera degli artt. 6 e 35 della legge 26 novembre 1990, n. 353′).
Mette conto, inoltre, di rilevare che parte ricorrente, di fronte alla scelta del primo giudice di separare la decisione delle domande principali da quelle riconvenzionali introdotte da essa, non ha sostenuto con l’appello che o la separazione in sé o piuttosto la decisione del primo giudice di non sospendere il giudizio sulle domande non decise sarebbe stata illegittima, cosa che avrebbe potuto lo si dice a mo’ di mera ipotesi – fare adducendo che -in base al rinvio dell’art. 36 alle regole degli artt. 34 e 35 (naturalmente per quanto a contrario potrebbero suggerire ove non si configurino problemi di competenza) -la separazione era illegittima.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Stante la correzione della motivazione svolta in riferimento al terzo motivo, ritiene il Collegio di compensare integralmente le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione l’11 giugno 2025.
Il Presidente COGNOME NOME COGNOME