Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2476 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2476 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al 28173/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ANCONA n. 1047/2018 depositata il 25/06/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato in data 30 gennaio 2009 la RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Ancona, la sig.ra NOME COGNOME chiedendo che fosse dichiarata l’autenticità della sottoscrizione della scrittura privata in data 19 ottobre 2005 da parte della predetta NOME COGNOME e dell’amministratore della RAGIONE_SOCIALE, con la quale la convenuta aveva riconosciuto la proprietà delle partt. 18 e 21 del fg. 74 in capo alla RAGIONE_SOCIALE, aggiudicataria nell’ambito della procedura esecutiva immobiliare n. 111/1997 dell’immobile inte stato al debitore, NOME COGNOME, defunto marito della COGNOME la cui eredità era stata accettata con beneficio di inventario dalla curatela fallimentare di quest’ultima, oltre alle due particelle come da decreto di trasferimento del Tribunale di Ancona in data 04.11.2004; in subordine aveva chiesto che fosse emanata sentenza ex art. 2932 c.c.
NOME COGNOME si costituiva in giudizio eccependo che la scrittura oggetto della domanda attrice era stata fraudolentemente redatta su fogli rilasciati in bianco e che in ogni caso ella non aveva mai avuto intenzione e capacità di trasferire i suddetti beni. Infine, aveva dedotto che la trascrizione della domanda aveva interrotto delle trattive con una società interessata all’acquisto per cui aveva chiesto, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice al risarcimento dei danni. Inoltre, aveva chiesto di chiamare in causa i soci della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e COGNOME NOME.
Quest’ultimi si costitui vano in giudizio chiedendo di essere estromessi in ragione della irritualità della chiamata effettuata solo nel termine, come prorogato dopo la scadenza di quello originariamente concesso.
RAGIONE_SOCIALE aveva, quindi, svolto domanda subordinata volta ad accertare l’avvenuto acquisto delle due particelle come pertinenze dell’immobile acquistato all’asta.
Il Tribunale rigettava le domande proposte dalla società attrice e dai terzi chiamati, ordinava l’immediato rilascio delle particelle detenute dai predetti e li condannava al pagamento, in favore della convenuta, della somma di euro 200.000,00 a titolo di risarcimento del danno oltre che al pagamento delle spese processuali.
Avverso la richiamata sentenza proponevano appello la RAGIONE_SOCIALE ed i soci chiamati in causa AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO
La Corte d’Appello accoglieva solo in parte il gravame riformando la sentenza solo in relazione alla domanda di risarcimento del danno.
Quanto alla tardività della chiamata in causa del terzo rilevava che il tribunale aveva motivato il rigetto dell’eccezione di decadenza dalla chiamata in causa del terzo sul rilievo del carattere non perentorio del termine stesso e della conseguente legittimità della proroga.
NOME COGNOME, nel costituirsi in giudizio, aveva svolto domanda riconvenzionale e chiesto il differimento della prima udienza ai fini della chiamata in causa dei terzi AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO. Il GI, con provvedimento
adottato in data 11 luglio 2009 in calce alla comparsa aveva autorizzato la chiamata in causa e fissato la nuova udienza del 20 gennaio 2010. A tale udienza il procuratore della parte convenuta aveva affermato di non aver potuto procedere alla notificazione del provvedimento non avendone avuto conoscenza ed aveva chiesto ulteriore termine per procedere alla chiamata in causa. Il procuratore della RAGIONE_SOCIALE si era opposto facendo rilevare la rituale comunicazione del provvedimento e, dunque, l’insussiste nza dei presupposti per una eventuale rimessione in termini.
La Corte d’Appello, prescindendo dalla motivazione adottata dal giudice istruttore con la relativa ordinanza, rilevava che non risultava che fosse stata data la comunicazione del decreto adottato dal giudice ai sensi dell’art. 269, comma secondo, c.p.c., sicché non poteva farsi applicazione dei principi invocati dall’appellante anche attraverso il richiamo della motivazione dell’ordinanza della Corte Costituzionale 20.04.2004 n. 127.
8.1 Per quel che ancora rileva in questa sede, il giudice del gravame rigettava il terzo motivo di appello con il quale si lamentava l’erronea applicazione da parte del primo giudice dell’art. 2912 c.c.
La Corte premetteva che nel decreto di trasferimento del Tribunale di Ancona il bene acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE veniva descritto come unità abitativa in Comune di Ancona, INDIRIZZO. INDIRIZZO in INDIRIZZO, INDIRIZZO distinta al NCEU al figlio 74, particella 20, sub 2 e particella 229, categoria A/7, classe 5, vani 9,5, rendita Euro 1.226,59′. Risulta va , pertanto, evidente che con l’atto di trasferimento non si era fatto alcun riferimento alle particelle oggetto di controversia. Peraltro, già la relazione peritale redatta in
sede esecutiva nello stabilire il prezzo dell’immobile aveva fatto riferimento alla superficie di mq 240 dell’abitazione e di mq 370 della corte ed aveva quindi determinato il prezzo base d’asta di euro 337.762, 81. Il CTU, AVV_NOTAIO, sentito in sede di sommarie informazioni in data 21.09.2010, avava riferito che le partt. 18 e 21 non erano state descritte nella sua relazione.
Le due porzioni non erano pertanto ricomprese nell’oggetto del decreto di trasferimento.
La natura pertinenziale delle due porzioni di terreno doveva comunque verificarsi ai sensi dell’art. 2912 c.c. atteso che la omessa menzione nel decreto di trasferimento non impediva il trasferimento degli accessori e delle pertinenze.
Come riferito dalla stessa parte appellante l’intero fabbricato comprendente l’immobile trasferito in sede giudiziaria, era stato realizzato utilizzando tutta la cubatura assentibile di un fondo di complessivi mq 10.000 che era stato poi frazionato per consentire, qualche mese prima del pignoramento del 1977, la vendita da parte dell’esecutato NOME COGNOME in favore del fratello, della metà dell’area.
Si trattava, come peraltro in alcuni passi evidenziato dalla stessa parte appellante, di asservimento dell’area nel senso che con la realizzazione dell’immobile erano state utilizzate tutte le sue potenzialità edificatorie senza che ciò potesse comportare la configurabilità della dedotta pertinenza. Né si poteva addivenire a diverse conclusioni in ragione delle riportate previsioni del regolamento comunale in quanto riguardanti detto asservimento e non anche il regime giuridico del bene. La natura pertinenziale andava, dunque, ancorata alla verifica in concreto dei presupposti
oggettivo e soggettivo posti dalla disciplina codicistica (principio affermato anche in relazione al regime fiscale delle aree asservite ad immobile principale da Cass. 26.01.2016 n. 1390).
La Corte d’Appello richiamata la costante giurisprudenza di legittimità sui presupposti per configurare il vincolo pertinenziale fra beni immobili distinti e autonomi osservava che l’estensione dell’area pari a circa 3.000,00 mq costituiva elemento che di per sé testimoniava la diversa natura del bene rispetto a quella di giardino del villino prospettata dalla parte appellante sul presupposto non condivisibile che siffatta definizione dell’immobile non potesse non implicare la presenza di un giardino.
Nella fattispecie in esame in definitiva non poteva ravvisarsi l’esistenza di quell’elemento oggettivo richiesto dalla giurisprudenza di legittimità e consistente nella obiettiva destinazione del bene accessorio ad un rapporto funzionale con quello principale risultando dalle foto in atti l’esistenza, sulle porzioni in esame, di alberi di alto fusto non aventi carattere ornamentale e la delimitazione con muretti che consentivano solo in spazi limitati l’accesso a dette aree.
Né siffatto rapporto poteva essere tratto dalla asserita presenza su tali fondi delle condutture, attenendo tali aspetti a possibili servitù.
Per tali motivi confermava sul punto della sentenza di primo grado anche quanto alla pronuncia di condanna degli odierni appellanti al rilascio.
Come si è detto, la Corte, invece, accoglieva il motivo di gravame relativo alla domanda di risarcimento del danno per mancanza di prova.
RAGIONE_SOCIALE ed i soci chiamati in causa NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione del l’ art.360, nn.3 e 4, c.p.c. in relazione agli artt. 269 c.p.c. e 184 bis c.p.c.
La censura ha ad oggetto la ritenuta tempestività della notifica della chiamata in causa dei terzi nonostante la tardività della stessa tenuto conto della prova della comunicazione del provvedimento di ammissione. I ricorrenti citano il report del telefax della cancelleria con attestazione di avvenuta consegna in data 27 luglio 2009 al terminale dell’AVV_NOTAIO del differimento della prima udienza al 20 gennaio 2020 per la chiamata di terzo autorizzata dal giudice con ordinanza del 22 luglio 2009.
La Corte non avrebbe verificato tale circostanza e avrebbe ritenuto veritiere l’affermazione dell’AVV_NOTAIO di non aver ricevuto alcuna comunicazione.
1.2 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
La Corte d’Appello ha affermato che l’ordinanza di ammissibilità della chiamata in causa dei terzi non era stata comunicata e, dunque, si è pronunciata sul punto ritenendo che non vi fosse stata alcuna comunicazione. Il motivo di appello riguardava appunto la rituale comunicazione del provvedimento di
ammissione da parte della cancelleria e, dunque, quello prospettato è, al più, un errore revocatorio.
Il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: «L’errore determinato dall’inesatta percezione da parte del giudice di merito di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, poiché consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso, oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, senza che su quel fatto, non «controverso» tra le parti, il giudice abbia reso un qualsiasi giudizio, non può costituire motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., o n. 4) dello stesso comma, per violazione dell’art. 115 del medesimo codice, ma piuttosto di revocazione ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c.» (Sez. L – , Sentenza n. 24395 del 03/11/2020, Rv. 659540 – 02).
Inoltre, è fondato anche l’ulteriore profilo di inammissibilità evidenziato dalla difesa della COGNOME per difetto di interesse in capo ai ricorrenti a far valere la suddetta tardività per mancanza di soccombenza. Infatti, in accoglimento dell’appello è stata rigettata la domanda di risarcimento del danno proposta nei loro confronti senza alcuna condanna alle spese.
Deve ribadirsi che l ‘interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire – sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 cod. proc. civ. – va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte
dall’eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata; sicchè è inammissibile, per difetto d’interesse, un’impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sia diretta quindi all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico (Sez. L, Sentenza n. 13373 del 2008).
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli artt. 2912, 817, 2697 c.c. e 115 c.p.c.
I ricorrenti citano il provvedimento cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza ed evidenziano che successivamente la Corte d’Appello lo ha del tutto disatteso.
Il giudice dell’appello avrebbe pertanto escluso il nesso pertinenziale sulla base di valutazioni soggettive e discrezionalli e non sulla base degli atti del processo esecutivo dai quali emergerebbe invece che i terreni erano pertinenza del bene pignorato sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo. A tal proposito i ricorrenti citano due perizie la prima del geometra COGNOME e la seconda dell’ing. COGNOME , entrambe redatte nel corso del processo esecutivo Da tali atti emergerebbe la sicura appar tenenza delle aree in esame alla villetta dell’esecutato come destinazione a giardino. D’altra parte , le controparti avevano descritto i terreni come giardino della casa in un annuncio di vendita tramite un’agenzia immobiliare .
Inoltre, i ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui ha affermato l ‘ asservimento urbanistico e non pertinenziale a fini
edificatori dell’area di originari mq. 10.000 sulla base dell’utilizzo del suo intero indice per la costruzione del fabbricato.
La sentenza non avrebbe fatto riferimento all’art. 18 del regolamento edilizio comunale approvato nel 1973 secondo cui le aree costituenti singoli lotti in base all’edificazione già realizzata sarebbero di pertinenza degli edifici esistenti e non possono essere frazionate per la formazione di nuovi lotti.
L’area in oggetto al momento della costruzione del fabbricato nel 1965 era un singolo lotto, dunque, l’area in esame era e doveva rimanere pertinenza del bene edificato. Il AVV_NOTAIO, dunque, avrebbe dovuto segnalare la necessità di provvedere alla regolarizzazione catastale in conformità alla licenza edilizia. Anche il P.R.G. collega l’area all’edificio bifamiliare.
I ricorrenti citano alcuni atti della controparte dai quali emergerebbe che la stessa COGNOME considerava pertinenze i suddetti terreni.
In conclusione, i ricorrenti ritengono che la Corte abbia omesso di valutare le risultanze: A) della ctu redatta in sede di esecuzione dal Geom COGNOME; B) della ctu redatta, sempre in sede di esecuzione, dall’Ing. COGNOME; C) della perizia a firma dell’Ing. COGNOME depositata dai ricorrenti; D) della scheda descrittiva rilasciata dalla COGNOME all’agenzia RAGIONE_SOCIALE ; E) dell’ordinanza di vendita; F) del progetto originario per la costruzione dell’immobile; G) del regolamento comunale sopra citato; H) del certificato di destinazione urbanistica; I) della denuncia di successione presentata nel 2008 dalla RAGIONE_SOCIALE.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Preliminarmente deve evidenziarsi l ‘inconsistenza dell’argomentazione che fa riferimento al provvedimento di sospe nsione dell’esecutività della sentenza sulla base di un a valutazione fondata sul fumus che sarebbe stato poi contraddetto con la sentenza definitiva. Si tratta, infatti, del fisiologico rapporto tra la fase a delibazione sommaria e quella successiva con delibazione piena sulla base di tutti gli elementi di causa.
Quanto alla natura pertinenziale dei terreni oggetto di causa la stessa è stata esclusa sulla base di un approfondita motivazione fondata sulla valutazione di tutti gli elementi istruttori emersi nel corso del giudizio e i ricorrenti con il motivo in esame richiedono un’inammissibile rivalutazione in fatto della vicenda .
La Corte d’Appello ha preliminarmente evidenziato come dagli atti del procedimento esecutivo non emergesse alcun riferimento alle particelle oggetto del presente giudizio. Inoltre, la relazione peritale redatta in sede esecutiva nello stabilire il prezzo dell’immobile aveva fatto riferimento alla superficie di mq 240 dell’abitazione e di mq 370 della corte ed aveva quindi determinato il prezzo base d’asta di euro 337.762,81. Il CTU, AVV_NOTAIO, sentito in sede di sommarie informazioni in data 21 settembre 2010, aveva riferito che le partt. 18 e 21 non erano state descritte nella sua relazione. Le due porzioni non erano pertanto ricomprese nell’oggetto del decreto di trasferimento .
La Corte ha escluso la natura pertinenziale delle due porzioni di terreno anche ai sensi dell’art. 2912 c.c. atteso che, come riferito dalla stessa parte appellante, l’intero fabbricato comprendente l’immobile trasferito in sede giudiziaria, era stato realizzato utilizzando tutta la cubatura assentibile di un fondo di complessivi
mq 10.000 che era stato poi frazionato per consentire, qualche mese prima del pignoramento del 1977, la vendita da parte dell’esecutato NOME COGNOME in favore del fratello, della metà dell’area.
Si trattava di asservimento dell’area nel senso che con la realizzazione dell’immobile erano state utilizzate tutte le potenzialità edificatorie dell’area senza che ciò potesse comportare la configurabilità della dedotta pertinenza. Né si poteva addivenire a diverse conclusioni in ragione delle riportate previsioni del regolamento comunale in quanto riguardanti detto asservimento e non anche il regime giuridico del bene.
La natura pertinenziale andava, dunque, ancorata alla verifica in concreto dei presupposti oggettivo e soggettivo posti dalla disciplina codicistica. Come già osservato dal primo giudice l’estensione dell’area pari a circa 3.000,00 mq costitui va elemento che evidenziava di per sé la diversa natura dello stesso rispetto a quella di giardino del villino prospettata dalla parte appellante sul presupposto non condivisibile che siffatta definizione dell’immobile non potesse non implicare la presenza di un giardino.
Nella fattispecie in esame in definitiva il giudice del merito non ha ravvisato l’esistenza di quell’elemento oggettivo richiesto dalla giurisprudenza di legittimità e consistente nella obiettiva destinazione del bene accessorio ad un rapporto funzionale con quello principale risultando dalle foto in atti l’esistenza, sulle porzioni in esame, di alberi di alto fusto non aventi carattere ornamentale e la delimitazione con muretti che consentivano solo in spazi limitati l’accesso a dette aree.
Risulta evidente, sulla base dell’ampia motivazione ora riportata, che la Corte d’Appello ha esaminato tutti gli elementi indicati dai ricorrenti e che la censura si risolve in un’inammissibile sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità.
Deve ribadirsi, infatti, che: L’accertamento del rapporto pertinenziale tra due immobili comporta un giudizio di fatto demandato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da congrua e corretta motivazione e presuppone l’esistenza, oltre che di un unico proprietario, di un elemento oggettivo, consistente nella oggettiva destinazione del bene accessorio ad un rapporto funzionale con quello principale e di un elemento soggettivo, consistente nell’effettiva volontà, espressa o tacita, di destinazione della “res” al servizio o all’ornamento del bene principale, da parte di chi abbia la disponibilità giuridica ed il potere di disporre di entrambi i beni … (Sez. 2, Ordinanza n. 20911 del 21/07/2021, Rv. 662050 – 01).
Le censure, pertanto, anche là dove denunciano il vizio di violazione e falsa applicazione di legge si appalesano inammissibili, giacché la Corte territoriale, ha individuato le fonti del proprio
convincimento e valutato le risultanze probatorie, dando conto dell’iter logico e deduttivo seguito. Infatti, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008, Rv. 601665), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido tra loro al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 2000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione