Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30690 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30690 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 29/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2617/2019 R.G. proposto da :
COMUNE DI COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso
-ricorrente principale- contro
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende per procura speciale in calce al controricorso
-controricorrenti-
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliate in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME e rappresentate e difese dagli
avvocati NOME (CODICE_FISCALE e NOME (CODICE_FISCALE per procura speciale in calce al controricorso con ricorso incidentale
–
contro
ricorrenti
e
ricorrenti incidentali-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANZARO n.
1910/2018 depositata il 05/11/2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dalla Presidente Cons. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 1910/2018, pubblicata il 5-11-2018 e notificata il 12-112018, la Corte d’appello di Catanzaro, pronunciando sulla domanda proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOMECOGNOME e da NOME COGNOME, NOME Arena e NOME COGNOME nonché da NOME COGNOME avente ad oggetto la determinazione della giusta indennità di espropriazione dovuta agli stessi dal Comune di Tropea, determinava in complessivi €106.225 ,00 la suddetta indennità, relativa al fondo esteso mq.3.035 individuato nel catasto del Comune di Tropea al fl. 3 partt. 266,269,659,660,662,663,664 e 1213, ordinando il deposito di detta somma, maggiorata degli interessi legali dal 20-3-2002 fino al deposito, presso la Cassa Depositi e Prestiti. La Corte di merito, all’esito della C.T.U. espletata, affermava la natura non edificabile dell’area ablata sul rilievo che sulla stessa vi era il vincolo di inedificabilità ex l. r. Calabria n.14 del 1973, prorogato di anno in anno fino al 31-121990, e sull’ulteriore rilievo che il terreno, in ragione della sua posizione (incluso nei 300 metri dalla linea della battigia) risultava soggetto al vincolo paesaggistico di cui alla l.n.431/1985, reiterato dall’art.146 del d.lgs.n.490/1999 e trasfuso infine nell’art.142 d.lgs. 42/2004, come d’altronde emergeva anche dalla delibera consiliare n.140/1996. La Corte d’appello affermava, quindi, che il vincolo paesaggistico, in quanto
di natura conformativa, rendeva irrilevante, ai fini della valutazione del bene, il regime su di esse imposto dalla pianificazione urbanistica. Precisava, inoltre, che, nonostante l’inedificabilità del fondo, occorreva tenere presente le possibilità di utilizzo assegnate nello strumento di pianificazione, compatibilmente con la necessità di salvaguardia del contesto in cui si inseriva. Alla stregua di detti criteri e di quanto accertato dal C.T.U., considerate anche le osservazioni critiche dei consulenti di parte e le risultanze di atti pubblici di comparazione, la Corte di merito effettuava la valutazione dell’area ablata (€35/mq.) precisando che il suolo, essendo ‘ uno dei pochi rimasti in realtà liberi tra le molte strutture recettive realizzate sulla costa ‘, rivestiva comunque un’appetibilità per la sua posizione che ne consentiva un’utilizzazione non secondaria, pur in assenza di vocazione edificatoria in senso proprio. Infine la Corte territoriale riteneva che il reliquato non avesse perso valore, sempre in ragione della posizione del fondo, avendo mantenuto la funzione avuta ab initio di parcheggio o verde pubblico, senza che le sue dimensioni fossero impeditive di un uso fin dall’inizio limitato e compresso.
Avverso questa sentenza il Comune di Tropea ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un motivo, resistito con controricorso da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché resistito con separato controricorso da NOME COGNOME e da NOME COGNOME che hanno proposto ricorso incidentale affidato a tre motivi.
I l ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio. Con decreto n.262/2024 del 17 -10 -2024 della Presidente Titolare della Prima Sezione Civile è stata disposta la modifica del Collegio come in epigrafe indicato, stante la necessità di sostituire il Presidente dello stesso Collegio, Cons. NOME COGNOME originariamente designato, in ragione dell’accoglimento della sua istanza di astensione.
La controricorrente e ricorrente in via incidentale NOME COGNOME ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente principale, con unico articolato motivo, denuncia la ‘ violazione e/o falsa applicazione degli artt. 101 e 156 c.p.c. e 195 c.p.c., in relazione all’art.360 comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c. ‘. Deduce di avere tempestivamente eccepito, con la comparsa conclusionale depositata in via telematica il 5-3-2018, la nullità della consulenza tecnica d’ufficio perché il C.T.U. non aveva trasmesso alle parti la bozza della relazione, così provocando una palese lesione del diritto di difesa delle parti. L’ Ente rileva che la nullità non era stata sanata perché all’udienza del 24 -1-2018 era stata rigettata la richiesta di parte di audizione dei consulenti. Trascrive nel ricorso l’iter motivazionale della sentenza impugnata e deduce che detto iter ‘ è inficiato da nullità essendo stato chiaramente violato l’art.195 c.p.c. con conseguente lesione del principio del contraddittorio ‘.
Il motivo è infondato e in parte inammissibile.
Secondo il costante orientamento di questa Corte che il Collegio condivide, l’omesso invio alle parti della bozza di relazione dà luogo ad un’ipotesi di nullità a carattere relativo, suscettibile di sanatoria se il vizio non è eccepito nella prima difesa utile successiva al deposito della perizia; la sanatoria può avvenire anche per rinnovazione, quando il contraddittorio sia recuperato dal giudice dopo il deposito della relazione, con la rimessione in termini delle parti per formulare le proprie osservazioni, al fine di consentire il pieno esercizio dei poteri di cui all’art. 196 c.p.c. ( tra le tante Cass. 1073/2024; Cass. 16196/2023; Cass. 23493/2017).
La dedotta nullità non è stata eccepita nella prima difesa utile, atteso che è proprio il Comune di Tropea ad affermare di averla eccepita solo in comparsa conclusionale, dopo la celebrazione dell’udienza del 24 -1-2028.
La censura è inammissibile per difetto di specificità nella parte in cui non si precisa quale sia stato il vulnus subito e quale ne sia stata la conseguente decisività (Cass. 24991/2024; Cass. 16196/2023). In particolare , l’Ente non deduce le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale avrebbe determinato una lesione del suo diritto di difesa o un altro pregiudizio incidente sull’andamento o sull’esito del processo, perché pertinente rispetto alla decisione. Nella prospettazione della doglianza circa l’omessa ‘audizione’ del C.T.U., il ricorrente principale neppure esplicita compiutamente quale critica avrebbe voluto rappresentare rispetto alle risultanze dell’elaborato peritale. 3. Passando, ora, all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art.360 comma 3 c.p.c., la ‘ violazione dell’art. 1 L.R. 14/1973, con particolare riguardo per la L. R. n.9 del 1989; violazione dell’art.4, ultimo comma della legge 18-1-1977 n.10 (ora art.9, comma 1, lett. b del d.p.r. 380/2001) ‘. Le ricorrenti in via incidentale censurano la ritenuta mancanza di edificabilità legale dell’area ablata, sul rilievo dell’assenza, al tempo dell’approvazione dell’opera pubblica (20 -8-1994), di uno strumento urbanistico applicabile, e della necessità, in tali casi, di utilizzare il criterio di cui all’art. 4 ultimo comma l.n.10/1977. Rimarcano che il regime di inedificabilità delle fasce costiere introdotto dalla L.R. Calabria n.14/1973 era stato prorogato solo sino a dicembre 1990, come dato atto anche nella sentenza impugnata, sicché alla data di approvazione del progetto dell’opera pubblica il vincolo era scaduto ed era assente una normativa urbanistica locale e regionale. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art.360 comma 3 c.p.c., la ‘ violazione ed erronea applicazione degli artt. 1, 1 bis, 1 ter e 1 quinquies L.8 agosto 1985 n.431; 7 L. 29 giugno 1939 n.1497; 82, comma 9, DPR 616/1977; 2 del D.M. 21 settembre 1984 ‘. Deducono le ricorrenti in via incidentale che il vincolo paesaggistico, nella specie
concernente territori costieri compresi in una fascia di profondità di 300 metri dalla linea di battigia, non esclude la possibilità di edificazione, ossia non comporta l’inedificabilità assoluta del suolo vincolato, e nella specie il terreno era soggetto alla disciplina autorizzatoria del citato comma 9 dell’art.82, senza alcuna preclusione a priori dell’edificabilità.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati e in parte inammissibili.
Occorre rilevare, in primo luogo, che la qualificazione giuridica dell’area oggetto del contendere è stata effettuata nel giudizio conclusosi con la pronuncia di questa Corte n. 4271/2012, al quale aveva partecipato NOME COGNOME dante causa delle odierne ricorrenti incidentali (cfr. intestazione della sentenza ora impugnata), e che aveva ad oggetto l’indennità di occupazione.
In ordine ai limiti di vincolatività di detto accertamento, questa Corte ha avuto modo di precisare che « le opposizioni alla stima dell’indennità di occupazione e quelle all’indennità di espropriazione contengono domande distinte ed autonome, avuto riguardo alle diversità delle relative ‘causae petendi’, costituite l’una dalla privazione del godimento del bene occupato e l’altra dall’ablazione di quello espropriato. Ne consegue che, in relazione ai rapporti tra i detti giudizi può assumere efficacia di cosa giudicata esclusivamente la qualificazione giuridica del terreno, quale antecedente logico giuridico della statuizione sull’indennità di occupazione legittima, ma non l’accertamento del suo valore di mercato, tanto per l’evidenziata autonomia dei rapporti quanto per la diversità dei periodi considerati» (Cass. 19758/2018; Cass. 20234/2016; Cass. 9264/2021). Nella specie, non risultano, in base alla ricostruzione effettuata dalla Corte di merito e anche dalle ricorrenti incidentali, fatti sopravvenuti di rilievo ai fini qualificatori, in ordine alla sussistenza del vincolo paesaggistico derivante dalla l.n.431/1985, neppure invero posta in
discussione dalle ricorrenti incidentali, se non sotto il limitato profilo della dedotta residualità edificatoria (secondo motivo).
Ad ogni buon conto la Corte territoriale, in ordine alla dirimente ratio decidendi sul vincolo paesaggistico, che si configura come autonoma e sufficiente, da sola, a fondare il decisum , si è attenuta ai principi affermati costantemente da questa Corte sul tema, affermando che il vincolo è di natura conformativa, e quindi non soggetto a termine, il che rende non rilevanti, nel senso invocato dalle COGNOME, le censure sulla dedotta scadenza della proroga in base alle leggi regionali e sulle relative conseguenze (primo motivo). Va infatti ribadito che, come puntualizzato dalla citata Cass. 4271/2012 e da successive pronunce conformi, il vincolo paesistico rivela una qualità insita nel bene, la proprietà su di esso è da intendere limitata fin dall’origine ed è da considerare vincolo conformativo, non soggetto a decadenza (Corte cost., sentenze nn. 55 e 56 del 1968), che incide sul valore del bene in sede di determinazione dell’indennizzo, tanto da rendere irrilevante, sempre ai fini della valutazione del bene, il regime imposto su di esso dalla disciplina urbanistica, comunque tenuta ad uniformarsi alla pianificazione paesistica (Corte Cost. n. 327 del 1990). Le situazioni limitative sono, dunque, inerenti alla natura dei beni e possono derivare da previsioni di legge, per via dell’ubicazione degli stessi, come è nella specie (Cass. 2611/2006 n. 2611; Cass. 20383/2012; Cass. S.U. 8079/2024). Si è aggiunto (Cass. 20383/2012) che un siffatto vincolo incide, invero, sulla cd. edificabilità di fatto, anche nelle ipotesi di comuni privi, per qualsiasi ragione, di strumenti urbanistici di carattere generale, dovendo la valutazione di edificabilità tener conto di tutte le condizioni non solo fattuali, ma anche dipendenti dalle scelte urbanistiche e legislative, che, in concreto, concorrono a determinare il valore venale di un cespite sul mercato immobiliare,
rendendola pertanto incompatibile con le prescrizioni imposte dall’art. 1 della legge 8 agosto 1988, n. 431 (cd. legge COGNOME).
Questi principi sono stati applicati correttamente dalla Corte di merito, che, peraltro, ha determinato il valore venale in base alle concrete caratteristiche del bene, ritenendolo di particolare pregio, e dunque appetibile ‘ per la sua posizione, che ne consente un’utilizzazione economica non secondaria, pur in assenza di vocazione edificatoria in senso proprio ‘ (pag.13 della sentenza impugnata). Pertanto neppure la doglianza espressa con il secondo motivo coglie nel segno, perché la Corte di merito ha valorizzato le qualità peculiari del bene e ne ha tenuto conto nella valutazione, ben spiegando i criteri di quantificazione del valore a cui si è attenuta, nel senso sopra precisato, in relazione agli interventi compatibili con il vincolo, in dettaglio indicati (da pag.10 a pag.13), pure con richiamo degli atti di comparazione assunti come parametri di liquidazione.
5. Con il terzo motivo le ricorrenti incidentali denunciano, in relazione all’art.360 comma 1 n. 3, la ‘ violazione dell’art. 1 L.R. 14/1973, con particolare riguardo per la L. R. n.9 del 1989; violazione dell’art.4, ultimo comma della legge 18 -1-1977 n.10 (ora art.9, comma 1, lett. b del d.p.r. 380/2001); violazione ed erronea applicazione degli artt. 1, 1 bis, 1 ter e 1 quinquies L.8 agosto 1985 n.431; 7 L. 29 giugno 1939 n.1497; 82, comma 9, DPR 616/1977; 2 del D.M. 21 settembre 1984; violazione dell’art.111 Cost.’. Deducono che dall’erronea qualificazione di inedificabilità dell’area espropriata la Corte d’appello ha fatto conseguire la non indennizzabilità dell’area residua rimasta in proprietà, e ciò nonostante la scadenza, nel 1990, del vincolo di inedificabilità, come dedotto nei mezzi primo e secondo. Di conseguenza assumono che sia stata errata anche la valutazione effettuata dalla Corte di merito sull’area reliquata e denunciano, sotto altro profilo,
l’inesistenza della motivazione perché basata su di un assunto inesistente.
Il motivo, che è articolato sul presupposto dell’accoglimento degli altri mezzi, resta assorbito.
In conclusione, vanno complessivamente rigettati sia il ricorso principale, sia il ricorso incidentale.
Nel rapporto processuale tra il Comune di Tropea e le ricorrenti incidentali, le spese di lite vanno interamente compensate, stante la reciproca soccombenza.
Nel rapporto processuale tra il Comune di Tropea e i controricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e delle ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello rispettivamente dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto (Cass. S.U. 23535/2019).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; compensa interamente le spese di lite del presente giudizio tra il Comune di Tropea e le ricorrenti incidentali NOME COGNOME e NOME COGNOME condanna il Comune di Tropea alla rifusione in favore dei controricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME delle spese di lite del presente giudizio, che liquida in € 3.700,00, di cui €200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e delle ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello rispettivamente dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima sezione