Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1914 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1914 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 6633-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1204/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 10/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/01/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
Il Tribunale di Pescara con la sentenza n. 1758 del 3 dicembre 2014 dichiarava lo scioglimento della comunione esistente tra la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE sul fabbricato ad uso produttivo, sito in Pescara alla INDIRIZZO, assegnando i beni alla società, previo versamento dell’eccedenza a compensazione della quota del 50% vantata dalla convenuta, attesa la non comoda divisibilità in natura del bene.
A tal fine non poteva tenersi conto della richiesta della società di conseguire l’intero solo se il conguaglio non avesse superato un determinato importo.
Inoltre, emergeva che la società aveva demolito alcuni piccoli fabbricati abusivamente realizzati, sicché al valore degli edifici esistenti andava aggiunto il valore della superficie residuata all’esito della demolizione, secondo la stima dell’ausiliario d’ufficio. Né poteva essere riconosciuta alla società la somma spesa per le operazioni di demolizione, trattandosi di intervento posto in essere a suo esclusivo vantaggio.
Avverso tale sentenza proponeva appello la RAGIONE_SOCIALE cui resisteva la condividente COGNOME.
La Corte d’Appello di L’Aquila, con la sentenza n. 1204 del 10/7/2019, rideterminava in un importo inferiore la somma dovuta a titolo di conguaglio dall’appellante, rigettando l’appello incidentale della controparte.
Quanto al motivo di appello principale, che investiva la correttezza della stima dei beni comuni, ed a quello incidentale, che invece lamentava una sottovalutazione del valore dei beni
stessi, la sentenza d’appello rilevava che fosse condivisibile la stima effettuata dal secondo consulente nominato in primo grado, posto che il rinnovo della CTU era stato disposto in considerazione delle accese critiche mosse da entrambe le parti all’operato del primo consulente.
Erano infondate le contestazioni mosse dalle parti alla stima effettuata in merito al valore dei beni in epoca anteriore alla demolizione dei fabbricati abusivi, in quanto la stessa aveva tenuto conto della destinazione urbanistica dei cespiti, con plurimi riferimenti alle quotazioni dell’osservatorio del mercato immobiliare dell’RAGIONE_SOCIALE delle Entrate ed alle quotazioni del mercato immobiliare locale.
Nessun errore si rilevava nell’individuazione della superficie residua edificabile, tenuto conto di un indice di edificabilità pari ad 1/1, mentre parzialmente fondata era la critica al calcolo della superficie risultante dall’abbattimento dei manufatti abusivi, posto che il valore della superficie emersa a seguito dell’abbattimento andava calcolato in base al coefficiente 0,35 utilizzato per le aree edificabili, invece di quello di 0,55 utilizzato per i fabbricati.
Inoltre, la tesi dell’appellante quanto all’inedificabilità di tutte le aree scoperte era rimasta priva di supporti probatori.
Occorreva, poi, attualizzare il valore dei beni alla data dell’attribuzione, e ciò in ragione della crisi che aveva colpito il mercato immobiliare, provvedendosi quindi ad una riduzione del valore nella percentuale del 15,5 %.
Ciò implicava l’assorbimento dell’altro motivo con il quale si rilevava che la richiesta di attribuzione era contenuta in un determinato valore dei beni, posto che, a seguito dell’adeguamento del valore all’andamento del mercato
immobiliare, la somma dovuta dalla società rientrava nel limite a suo tempo posto.
Alla società andava poi riconosciuto il 50% dei costi sostenuti per la demolizione dei fabbricati abusivi, trattandosi di spese necessarie per assicurare la divisione dei beni.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la RAGIONE_SOCIALE sulla base di due motivi.
RAGIONE_SOCIALE NOME resiste con controricorso.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del disposto degli artt. 112, 113 e 115 c.p.c. con riferimento all’art. 49 del DPR n. 753/1980, in quanto la sentenza d’appello ha recepito la stima dell’ausiliario d’ufficio, che aveva omesso di rilevare la contestazione della ricorrente circa il fatto che l’area inedificata è posta a confine con il tracciato della ferrovia, ed è quindi soggetta al vincolo della fascia di rispetto ferroviaria, che incide quindi sull’indice di edificabilità.
Inoltre, poiché anche l’opificio ricade nella fascia di rispetto, deve ritenersi che la concessione edilizia sia radicalmente nulla.
Il secondo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio quanto al vincolo di cui all’art. 49 del DPR n. 753/1980 sugli immobili oggetto di divisione, non avendo la sentenza rilevato che il terreno e l’edificio sono entrambi aderenti al tracciato della ferrovia, il che incide chiaramente sulla stima dei beni stessi.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono inammissibili.
In primo luogo rileva il Collegio che la sentenza impugnata si è discostata dalle conclusioni del primo giudice solo in relazione alla determinazione della superficie residua edificabile, alla necessità
di dover aggiornare il valore di stima alla data della divisione ed al diritto al rimborso delle spese di demolizione delle opere abusive, avendo invece deciso in conformità del Tribunale quanto alla determinazione del valore del fabbricato e delle aree edificabili alla data del 2008, ed in merito all’indice di edificabilità dell’area, sicché in parte qua risulta inammissibile ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. la deduzione del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 co. 1 c.p.c.
Ancora, sebbene la questione relativa all’incidenza della zona di rispetto ferroviaria non possa reputarsi questione nuova, emergendo che era stata sollevata con i motivi di appello, invece non risulta essere stata dedotta la diversa questione della invalidità della concessione in sanatoria, non emergendo la sua proposizione dalla lettura della sentenza né avendo la ricorrente specificamente dedotto in quale precedente scritto difensivo fosse stata avanzata. Il tutto anche a voler tacere del fatto che ai fini della commerciabilità del bene, e quindi anche della sua divisibilità conta il solo dato formale dell’esistenza della concessione, non potendosi pretendere che il giudice accerti incidentalmente anche la validità della concessione stessa (cfr. Cass. S.U. n. 8230/2019).
Quanto, invece, al profilo relativo all’incidenza del vincolo ferroviario sulla edificabilità delle aree inedificate, il motivo di ricorso si palesa evidentemente privo di specificità e redatto in violazione dell’art. 366 co. 1 n. 6 c.p.c.
Il mezzo di impugnazione, facendo un generico richiamo alla CTU, ma senza peritarsi di puntualmente riportare i passaggi della stessa rilevanti ai fini della decisione, assume che in prossimità degli immobili vi sarebbe la strada ferrata, ma non indica
specificamente se la zona di rispetto imposta dalla norma indicata in rubrica incida proprio sulle aree inedificate, anche divenute tali a seguito della demolizione dei manufatti abusivi, riferendo in maniera generica di immobili posti a ridosso della linea ferroviaria, ma senza permettere di comprendere se tale vicinanza riguardi le parti del fondo già edificate, ovvero le aree scoperte per le quali sole rileva il profilo relativo all’indice di edificabilità.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché il ricorso è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della controricorrente che liquida in complessivi € 4.500,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente
dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda