Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22414 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22414 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 11927/2019 r.g. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME quale erede di NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME in proprio e quale amministratore di sostegno di COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi giusta procura in calce al ricorso dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-ricorrenti-
CONTRO
COMUNE DI SALERNO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, disgiuntamente e congiuntamente tra loro dallo Avv. NOME COGNOME, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso, i quali dichiarano
di voler ricevere le comunicazioni e notifiche relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
E
BENVENUTO NOME E COGNOME NOME, rappresentate e difese, in virtù di procura speciale conferita in calce al ricorso adesivo, dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato;
-ricorrenti incidentali adesive-
E
COGNOME E COGNOME NOME , rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati;
-ricorrenti incidentali adesivi-
E
COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME
avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno n. 1065/2018, depositata il 12/7/2018.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/3/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con distinti atti di citazione NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (proc. nn. 440/1997, 245/98 e 82/1999), NOME COGNOME (proc. n. 78/1999), nonché NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME (proc. n. 287/ 1998), proponevano opposizione alla stima dinanzi alla Corte d’appello di Salerno, chiedendo che fossero determinare le giuste indennità di espropriazione ed occupazione legittima.
Spiegavano intervento adesivo autonomo NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME a sua volta erede pro quota di NOME COGNOME.
I fatti venivano così riassunti dalla sentenza della Corte di cassazione n. 1488 del 21/1/2011:
A seguito del sisma del 1980 veniva danneggiato il fabbricato a più piani, sito in Salerno, INDIRIZZO ed il Comune di Salerno ne disponeva la demolizione con ordinanza sindacale n. 1051 del
18/1/1981, all’esito della quale residuavano l’area di sedime e due aree già pertinenziali.
Successivamente, il Comune di Salerno respingeva nel 1990, in ragione dell’inedificabilità dell’area conseguente alla variante al PRG adottata nel 1989, la domanda presentata nel 1981 dai condomini, volta ad ottenere l’autorizzazione alla ricostruzione in sito del fabbricato.
Successivamente, il Comune rigettava la domanda dei condomini di assegnazione di una nuova area per la ricostruzione dell’immobile demolito.
Entrambe le domande si fondavano sulla legge n. 219 del 1981. Il Comune, con la delibera n. 71 del 18/12/1989, aveva destinato l’area di sedime del fabbricato a «spazi pubblici, verde pubblico, parcheggi, servizi o attrezzature pubbliche, in variante (poi approvata con decreto del PGR Campania, n. 7665 del 13/7/1994) alla destinazione impressagli dal PRG, approvato con d.P.R. 4 febbraio 1965, secondo cui si trattava di area ricompresa in ‘zona residenziale attuale densa – 12’».
Con delibere consiliari n. 30 del 12/11/1990, n. 29 del 22/2/1993 e n. 3 del 18/4/1994, il Comune aveva adottato il piano di recupero n. 5 zona INDIRIZZO, ricomprendendovi anche l’area in contestazione.
Aveva, conseguentemente, disposto, con decreti sindacali n. 46 del 4/9/95 e n. 74 del 27/6/95, l’occupazione di urgenza di detta area per i lavori di ristrutturazione di INDIRIZZO e INDIRIZZO e per la sistemazione dell’area antistante la INDIRIZZO.
Con la delibera della Giunta comunale n. 185 del 23/7/1997 erano state approvate le indennità di esproprio e di occupazione, in base ai criteri di cui all’art. 5bis della legge n. 359 del 1992.
In data 22/1/1998 il Comune aveva depositato presso la Cassa DDPP le indennità provvisorie di esproprio offerte, ma non accettate dei proprietari.
Con decreto sindacale n. 36 dell’11/9/1998 veniva pronunciato il decreto definitivo di esproprio dell’area in questione.
La Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 10/9/2004, riunite le cause ed espletata una CTU, accoglieva le domande, determinando la giusta indennità di espropriazione in complessivi euro 1.027.232,35, di cui euro 971.455,30 per l’area di sedime, ed euro 55.777,35 per le due aree pertinenziali.
Per quel che ancora qui rileva, la Corte d’appello di Salerno reputava che la variante al PRG, adottata con delibera n. 71 del 18/12/ 1989, nel destinare l’area di sedime del fabbricato a spazi pubblici, verde pubblico, parcheggi, servizio attrezzature pubbliche, aveva in realtà «introdotto un vincolo non conformativo ma preordinato allo esproprio (ed alla destinazione ad opera pubblica), atteso che tale variante relativamente all’area in questione, non solo edificabile ma già edificata, sita in pieno centro cittadino, in zona altamente edificata che presentava quasi nulla possibilità di intervento pubblico, non si era risolta in immutazione della sua preesistente destinazione urbanistica, ma aveva solo comportato la possibilità di localizzarvi l’opera pubblica».
Per tale ragione, ai fini indennitari detta variante «non aveva inciso sull’originaria natura edificabile dell’area».
Per la Corte di merito, poi, dovevano essere condivisi i distinti metodi seguiti dalla CTU per la determinazione dei valori di mercato sia dell’area di sedime (valore determinato in base alla consistenza del fabbricato demolito, costituito da 16 unità immobiliari oltre pertinenze coperte scoperte) sia delle due aree pertinenziali.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il Comune di Salerno.
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME Benvenuto e NOME COGNOME resistevano con controricorso, proponendo anche ricorso incidentale.
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME resistevano con controricorso.
Restavano intimati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Questa Corte, con sentenza n. 1488 del 21/1/2011, accoglieva in parte, per quel che qui rileva, il terzo motivo di ricorso per cassazione principale del Comune.
Deduceva il Comune che «nell’accertare l’edificabilità dell’area espropriata non sono stati seguiti i criteri introdotti dall’art. 5bis della legge n. 359 del 1992, ossia verificate le possibilità legali ed effettive di edificazione al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, dolendosi essenzialmente che la conclusione dei giudici di merito circa la natura espropriativa e non conformativa della variante al PRG, adottata nel 1989 dal Comune di Salerno è affetta da vizi motivazionali e che è stata erroneamente ritenuta espropriata un’area edificata e non da lungo tempo inedificata».
Sul punto, questa Corte disattendeva il profilo di censura in ordine alla qualificazione della variante al PRG del 1989 «come espropriativa e non conformativa».
In particolare, si sottolineavano «le congrue e logiche ragioni che hanno indotto la Corte di merito a ritenere l’indole non generale ma lenticolare, e dunque a carattere espropriativo, del vincolo imposto dalla variante urbanistica in questione, con precipuo riferimento ai requisiti oggettivi di esso in rapporto al terreno di cui si controverte, tenendo anche presenti le peculiari caratteristiche e vicende di tale bene, poi coerentemente evolutesi nella sua inclusione nel piano di recupero n. 5 zona del NOMECOGNOME.
Veniva, invece, accolto il secondo profilo del terzo motivo di ricorso per cassazione principale del Comune, in ordine alla doglianza inerente all’erronea determinazione delle indennità di occupazione e di esproprio «che avrebbero dovuto essere rispettivamente commisurate alla consistenza ed al valore del bene al momento del decreto di occupazione ed a quello di espropriazione, momenti in cui nella specie il terreno di cui si controverte si presentava inedificato».
Per tale ragione, allora, la Corte d’appello aveva illegittimamente commisurato l’indennità «a situazioni inattuali di edificazione, ritenute predicabili in ragione dell’illegittimità degli ostacoli frapposti dalla P.A. alla riedificazione del fabbricato demolito, sostanzialmente parametrato non, come avrebbe dovuto, alle conseguenze prodotte dall’esproprio e dall’occupazione di urgenza, ma al diverso ed inconferente ambito del danno da intervenuta perdita di chances da edificando».
Si sarebbero dovute applicare, con riguardo all’intera area occupata e ablata, «soltanto le regole legali all’epoca contemplate dallo art. 5bis della legge n. 359 del 1992, per l’esproprio di terreni edificabili».
7. La Corte d’appello di Salerno, adita in sede di rinvio, con sentenza n. 1065/2018, depositata il 12/7/2018, determinava la giusta indennità di esproprio e quella di occupazione delle somme di euro
241.800,00 per indennità di esproprio, ed euro 32.126,44 per indennità di occupazione.
La riduzione del valore del terreno edificabile era dovuta all’accertamento, da parte della Corte di merito, della natura del vincolo di cui alla delibera n. 71 del 18/12/1989, quale vincolo conformativo e non vincolo preordinato all’espropriazione.
In particolare, nella motivazione della sentenza della Corte d’appello si richiamavano le conclusioni del CTU, per il quale, l’area oggetto di contenzioso «risultava originariamente destinata a Standard Urbanistici» e che con deliberazione di C.C. n. 3 del 18/1/1994, l’area veniva inserita «nel PDR n. 5 con la categoria di intervento E2 ristrutturazione urbanistica, demolizione senza ricostruzione e destinata a verde pubblico ampliamento della viaria».
In motivazione, si precisava ancora che «la vocazione del bene era quella di zona destinata a standard urbanistici, come sopra evidenziato, verificando gli studi di settore e l’andamento dei prezzi medi reali e delle compravendite del settore residenziale con particolare riguardo al periodo di interesse».
8. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME quale erede di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME in proprio e quale amministratore di sostegno di NOME COGNOME e NOME COGNOME depositando anche memoria scritta.
Hanno presentato ricorso adesivo tempestivo NOME COGNOME e NOME COGNOME depositando anche memoria scritta.
Hanno presentato ricorso adesivo, affidato a due motivi, anche NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il Comune ha resistito con controricorsi nei confronti del ricorso principale di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti del ricorso incidentale adesivo di NOME COGNOME, nei confronti del ricorso incidentale di NOME COGNOME e NOME COGNOME e nei confronti del ricorso incidentale di NOME COGNOME.
CONSIDERATO CHE:
Con un unico motivo di impugnazione i ricorrenti principali deducono la «violazione e falsa applicazione dell’art. 384, 2º comma, c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
In sostanza, la Corte d’appello, in sede di giudizio di rinvio, avrebbe violato il principio di diritto enunciato da questa Corte con la sentenza n. 1488 del 21/1/2011.
In particolare, la Corte territoriale, contravvenendo a quanto ormai già statuito dalla Corte di cassazione, con la sentenza del 2011, ha ritenuto che l’area oggetto di contestazione risultasse «originariamente destinata a Standard Urbanistici».
In realtà, trattavasi di area residenziale. La Corte d’appello, in sede di rinvio, avrebbe «ignorato completamente quanto dalla stessa accertato in relazione alla natura del vincolo opposto dal Comune con la variante al PRG del 1989, estendendo così in maniera illegittima l’indagine su questioni ormai precluse».
In realtà, la destinazione assegnata dalla variante al PRG del 1989, essendo stata definitivamente qualificata come espropriativa e non conformativa, in considerazione dell’indole non generale ma lenticolare della stessa, «non poteva e non doveva essere considerata ai fini del calcolo dell’indennità».
La Corte d’appello avrebbe dunque errato nel considerare ai fini indennitari l’area in questione come area destinata «a standard urbanistici».
Del resto, la Corte d’appello aveva affidato l’incarico al CTU qualificando l’area espropriata «quale area edificabile e non certamente quale area destinata a standard urbanistici».
Allo stesso modo, il CTU nominato in sede di giudizio di rinvio ha accertato che «la destinazione dell’area risultava essere, originariamente, (nel PRG del 1965) tipologia 12, zone residenziali attuali dense, dal 1994 giusta DPGRC n. 7265/94, essa fu destinata a Standard urbanistici».
Inoltre, il CTU non ha preso in considerazione alcun atto pubblico stipulato tra privati ed avente ad oggetto aree edificabili.
Con il ricorso incidentale adesivo i ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno dedotto, come primo motivo, la «violazione e falsa applicazione dell’art. 394, secondo comma, c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.», evidenziando che «il motivo di ricorso proposto dai ricorrenti principali è condivisibile e viene assolutamente fatto proprio quale motivo di ricorso nei confronti del Comune di Salerno e viene integrato con i seguenti ulteriori motivi».
Con il secondo motivo di ricorso incidentale NOME COGNOME e NOME COGNOME deducono la «violazione e falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
Con riferimento alla natura edificatoria del suolo v’è stato un puntuale e preciso accertamento da parte della Corte di cassazione, «laddove indica espressamente il criterio da adottarsi da parte del giudice di rinvio: l’art. 5-bis della legge 359/92 per l’impiego di terreni edificabili».
Inoltre, nella nuova CTU si fa riferimento «ad una errata destinazione urbanistica».
Con il terzo motivo di ricorso incidentale si lamenta la «violazione e falsa applicazione dell’art. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, numeri 4 e 5, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe richiamato la CTU redatta dall’Ing. COGNOME senza però considerare «i rilievi mossi alla consulenza nelle memorie autorizzate e nella successiva comparsa conclusionale».
La Corte d’appello avrebbe errato nel considerare ai fini indennitari area in questione come area destinata a standard urbanistici.
Con il ricorso adesivo al ricorso principale NOME COGNOME e NOME COGNOME deducono «sull’adesione al ricorso principale per violazione e falsa applicazione della sentenza impugnata dell’art. 384, 2º comma, c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Si ribadisce che la Corte di cassazione aveva affermato che «ai fini indennitari detta variante non aveva inciso sull’originaria natura edificabile dell’area».
Il motivo di ricorso principale ed i ricorsi incidentali adesivi, che vanno trattati congiuntamente per stretta connessione, sono tutti fondati.
Non v’è dubbio che questa Corte, con la sentenza n. 1488 del 21/1/2011, in accoglimento parziale del terzo motivo di ricorso principale per cassazione formulato dal Comune, ha confermato il primo profilo del terzo motivo, in relazione alla qualificazione della destinazione urbanistica dell’area in contestazione, reputandola edificabile.
In particolare, questa Corte ha ritenuto che il vincolo di cui alla delibera n. 71 del 18/12/1989 non fosse conformativo, ma esclusi-
vamente preordinato all’espropriazione, per cui dello stesso non poteva tenersi conto nella valutazione del bene espropriato.
Si legge, infatti, con chiarezza nella sentenza di questa Corte del 2011, che il terzo motivo di ricorso per cassazione principale del Comune si articolava sotto due profili.
Da un lato, si deduceva che il vincolo di cui alla delibera del Comune del 1989 aveva natura conformativa, mentre dall’altro, si chiedeva di tenere conto del valore del bene al momento dell’emissione del decreto di esproprio, quando l’area non era più edificata.
Questa Corte ha rigettato il primo profilo di ricorso per cassazione, affermando con chiarezza che il Comune «non censura, invece, specificamente le congrue e logiche ragioni che hanno indotto la Corte di merito a ritenere l’indole non generale ma lenticolare e, dunque, a carattere espropriativo, del vincolo imposto dalla variante urbanistica in questione, con precipuo riferimento ai requisiti oggettivi di esso in rapporto al terreno di cui si controverte, tenendo anche presenti le peculiari caratteristiche e vicende di tale bene, poi correntemente evolutesi nella sua inclusione nel piano di recupero n. 5 zona INDIRIZZO».
Ciò, del resto, in coerenza con il PRG, approvato con d.P.R. 4 febbraio 1965, «secondo cui si trattava di aria ricompresa in ‘zona residenziale attuale densa – 12’».
Questa Corte, poi, accoglieva il secondo profilo della doglianza del Comune, anch’esso contenuto nel terzo motivo di ricorso principale, in quanto le indennità di occupazione e di esproprio «avrebbero dovuto essere rispettivamente commisurate alla consistenza ed al valore del bene al momento del decreto di occupazione ed a quello di espropriazione, momenti in cui nella specie il terreno di cui si controverte si presentava inedificato».
8.1. Si è più volte affermato, in sede di legittimità, che in ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato e ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla ‘regola’ giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità costituiscono il presupposto stesso della pronuncia di annullamento, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio di intangibilità (cfr. Cass., Sez. l, 11/10/2022, n. 29733).
Del resto, è pacifico che i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384, comma 1, c.p.c., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda ipotesi, il giudice non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza ipotesi, la ” potestas iudicandi ” del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ” ex novo ” dei fatti già ac-
quisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (cfr. Cass., Sez. 3, 15/6/2023, n. 17240).
Nella specie, il terzo motivo di ricorso principale per cassazione da parte del Comune si fondava sia su censure inerenti alla motivazione, sia su pretesi errori di diritto.
Con riguardo alla natura solo espropriativa, e non conformativa della variante al PRG di cui alla delibera n. 71 del 18/12/1989, questa Corte ha ritenuto «congrue e logiche le ragioni che hanno indotto la Corte di merito a ritenere l’indole non generale ma lenticolare» del vincolo imposto dalla variante urbanistica.
8.2. La Corte d’appello, invece, ha del tutto disatteso il principio di diritto di questa Corte, reputando che la natura dei terreni non era edificabile, in quanto l’area «come da DPGRC n. 7265/1994, risultava originariamente destinata a Standard Urbanistici e che con deliberazione di C.C. n. 3 del 18/1/1994, l’area veniva inserita nel PDR n. 5 con la categoria di intervento E2 ristrutturazione urbanistica, demolizione senza ricostruzione e destinata a verde pubblico e ampliamento della viaria».
In aperta violazione del principio di diritto enunciato da questa Corte con la sentenza del 2011, la Corte di merito ha ribadito che «la vocazione del bene era quella di zona destinata a standard urbanistici, come sopra evidenziato, verificando gli studi di settore e l’andamento dei prezzi medi reali e delle compravendite del settore residenziale con particolare riguardo al periodo di interesse».
Al contrario, il dato di partenza, sia della CTU, sia della Corte d’appello, non poteva che essere la statuizione adottata da questa Corte con sentenza n. 1488 del 21/1/2011, che, con assoluta chiarezza, ha fatto riferimento, quanto alla destinazione urbanistica, a
quella impressa dal PRG approvato con d.P.R. 4 febbraio 1965, qualificando tale area come «zona residenziale densa – 12» e qualificando la variante del 18/12/1989 n. 71 come un vincolo «non conformativo», ma «preordinato all’esproprio».
Questa Corte, con la sentenza del 2011, ha dunque sottolineato che la variante del 1989 «relativamente all’area in questione non solo edificabile ma già edificata, sita in pieno centro cittadino, in zona altamente edificata e che presentava quasi nulla possibilità di intervento pubblico, non si era risolta in immutazione della sua preesistente destinazione urbanistica, ma aveva solo comportato la possibilità di localizzarvi l’opera pubblica».
La menzionata variante, dunque, ai fini indennitari «non aveva inciso sull’originaria natura edificabile dell’area, della quale, peraltro, nemmeno il Comune aveva dubitato, essendosi limitato a chiedere l’applicazione dei criteri indennitari propri delle aree edificabili, di cui all’art. 5bis in luogo di quelli previsti dall’art. 39 della legge n. 2359 del 1865, per le aree edificate, norma che, invece, si rendeva applicabile per l’area de qua , con riguardo allo stato di fatto anteriore alla demolizione dell’edificio che vi insisteva ed ai limiti imposti alla relativa ricostruzione, posto anche che il soddisfacimento del prevalente interesse pubblico non poteva avvenire attraverso un procedimento logico di mera fictio iuris , tendente a risultati non solo erronei in diritto ma sommamente ingiusti».
Del resto, in tema di espropriazione per pubblica utilità questa Corte ha affermato che, per l’individuazione della qualità edificatoria dell’area, da effettuarsi in base agli strumenti urbanistici vigenti al momento dell’espropriazione, occorre distinguere tra vincoli conformativi ed espropriativi, sicché ove con l’atto di pianificazione si provveda alla zonizzazione dell’intero territorio comunale, o di una sua parte, sì da incidere su di una generalità di beni, in funzione della
destinazione dell’intera zona in cui essi ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo assume carattere conformativo ed influisce sulla determinazione del valore dell’area espropriata, mentre, ove si imponga un vincolo particolare, incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, il vincolo è da ritenersi preordinato all’espropriazione e da esso deve prescindersi nella stima dell’area (cfr. Cass., Sez. 1, 14/3/2023, n. 7393; v. anche Cass., Sez. 1, 28/5/2004, n. 10265).
10. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso principale ed i ricorsi incidentali; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 marzo 2025