Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6527 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6527 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11811/2022 R.G. proposto da: NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME, COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME
-ricorrenti-
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 269/2022 depositata il 16/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero., nella persona del Sostituto P.G. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Nel 1989 il Condominio di INDIRIZZO in Taranto e alcuni condomini convennero dinanzi al locale Tribunale NOME COGNOME e la società ‘ RAGIONE_SOCIALE, chiedendo l’accertamento del diritto di utilizzare come parcheggio condominiale il piano interrato di proprietà del COGNOME, in base ad un vincolo di destinazione stabilito in un atto di asservimento del 1972 tra il legale rappresentante della società cooperativa, proprietaria del terreno su cui era stato costruito l’edificio e il Comune di Taranto. Tale atto prevedeva che l’area fosse destinata a parcheggio condominiale ex art. 41-sexies l. n. 1150/1942, introdotto dall’art. 18 della l. n. 765/1967 (vin coli di destinazione a parcheggio proporzionati alla volumetria delle costruzioni).
COGNOME dedusse l’estraneità del proprio immobile al vincolo per averlo acquistato nel 1974 privo di tale vincolo, con produzione dell’atto di acquisto sottoscritto dal suo dante causa e altri documenti attestanti l’assenza di vincoli trascritti.
Per quanto ancora rileva, il giudizio di primo grado si concluse nel 1998 con accoglimento della domanda, conseguente riconoscimento dell’area di proprietà di Crocetta come asservita a parcheggio e previsione di un equo corrispettivo.
Nel 2001 la Corte di appello, pur accogliendo l’eccezione di COGNOME di nullità dell’atto di asservimento (in quanto privo di planimetria) per indeterminatezza dell’oggetto, ne rigettò il gravame,
ritenendo che l’area vincolata fosse determinabile attraverso elementi esterni all’atto, così come argomentato dal Tribunale.
Con sentenza n. 5028 del 2007, questa Corte di legittimità accolse il ricorso di COGNOME, ritenendo fondate le eccezioni di nullità dell’atto di asservimento e l’inopponibilità del vincolo per mancanza di elementi chiari nella nota di trascrizione.
Con sentenza n. 880/2012, la Corte di appello di Bari, in sede di rinvio, continuò a ritenere che il vincolo potesse essere dedotto da elementi estranei all’atto di asservimento.
Con sentenza n. 24246 del 2016 questa Corte accolse di nuovo il ricorso di COGNOME, osservando che la opponibilità del vincolo ex art. 18 l. 765/1967 al successivo acquirente delle aree asservite e la specifica individuazione di tali aree devono risultare dalla nota di trascrizione.
Con la sentenza n. 269/2022, oggi impugnata, la Corte di appello di Bari, sempre in sede di rinvio, ha dichiarato che il piano interrato di proprietà del COGNOME è esente da vincoli d’uso parcheggio in favore dei condomini, poiché le aree di cui si allega l’asservimento non emergono dalla nota di trascrizione, ed ha rigettato le domande avanzate contro COGNOME. Ha quindi condannato i convenuti al pagamento delle spese dell’intero giudizio.
Ricorrono in cassazione i condomini con quattro motivi.
Resiste il Crocetta con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -In via preliminare, osserva la Corte che non sussiste nessuna incompatibilità del Presidente NOME COGNOME già facente parte, come consigliere, del precedente collegio di Cassazione che in questa causa ha emesso la sentenza n. 24246/2016. Infatti, « il collegio che giudichi del ricorso per cassazione proposto avverso sentenza pronunciata dal giudice di rinvio può essere composto anche da magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, senza che sussista alcun obbligo di
astensione a loro carico ex art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c., in quanto tale partecipazione non determina alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice, e ciò a prescindere dalla natura del vizio che ha determinato la pronuncia di annullamento, che può consistere indifferentemente in un error in procedendo o in un error in iudicando, atteso che, anche in quest’ultima ipotesi, il sindacato è esclusivamente di legalità, riguardando l’interpretazione della norma ovvero la verifica del suo ambito di applicazione, al fine della sussunzione della fattispecie concreta, come delineata dal giudice di merito, in quella astratta ». Così, Cass. n. 30264/2023, cui si rinvia anche per ulteriori precedenti conformi.
Ciò premesso e p assando all’esame dei motivi di ricorso, col primo di essi si denuncia violazione degli artt. 112 e 132 co. 2 n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia sull’eccezione di nullità dell’atto di acquisto del piano interrato da parte del convenuto e per assoluta mancanza di motivazione in merito alla stessa. In particolare, si osserva che la Corte di appello di Bari ha rigettato le domande dei condomini senza esaminare l’eccezione di nullità dell’atto di acquisto del Crocetta. La motivazione della sentenza è stata ritenuta carente, in quanto si è limitata ad affermare la superfluità di ulteriori accertamenti di fatto, nonostante il giudicato interno avesse stabilito l’assenza di una planimetria allegata all’atto di asservimento e alla nota di trascrizione . Il motivo richiama gli artt. 41-sexies l. n. 1150/1942, 18 l. n. 765/1967, 26 ultimo comma l. n. 47/1985 e 1344 c.c. Viene invocata la giurisprudenza della Corte di cassazione che stabilisce l’inderogabilità del vincolo di destinazione e la nullità degli atti che non rispettino tale vincolo.
2 Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 41-sexies l. n. 1150/1942 e 1418 c.c. per non essere stata rilevata la nullità dell’atto di acquisto del piano interrato per contrasto con la normativa urbanistica imperativa e inderogabile, o, in subordine, per violazione dei canoni di interpretazione del contratto di cui agli artt.
1366 e 1367 c.c. In particolare, si censura l’omessa valutazione della nullità dell’atto di acquisto per contrasto con norme imperative e inderogabili, e si contesta l’interpretazione data al contratto di acquisto, che avrebbe dovuto essere conforme al vincolo di destinazione ex lege.
Questi due motivi, che ben si prestano ad essere esaminati congiuntamente evidente connessione, sono infondati.
La validità dell’atto di acquisto del COGNOME ha superato il vaglio di due pronunce di legittimità. Vale quindi il principio di diritto secondo cui: « il giudice di rinvio non può – anche soltanto implicitamente – rimettere in discussione gli enunciati contenuti nella sentenza di cassazione o quelli che ne costituiscono il necessario presupposto . In altri termini, il giudizio di rinvio deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non si può estendere a questioni che, pur non esaminate specificamente, in quanto non poste dalle parti o non rilevate d’ufficio, costituiscono il presupposto logico/giuridico della sentenza stessa, formando oggetto di giudicato implicito ed interno, poiché il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità . Ciò perché il giudizio di rinvio è un ‘ processo chiuso ‘ , in cui le parti non possono avanzare richieste diverse da quelle già prese né formulare difese, che, per la loro novità, alterino completamente il tema di decisione o evidenzino un fatto ex lege ostativo all’accoglimento dell’avversa pretesa, la cui affermazione sia in contrasto con il giudicato implicito ed interno, così da porre nel nulla gli effetti intangibili della sentenza di cassazione ed il principio di diritto che in essa viene enunciato non in via astratta ma agli effetti della decisione finale » (così, Cass. n. 4043/2024, cui si rinvia per ulteriori precedenti conformi).
L ‘eccezione di nullità dell’atto di acquisto del convenuto COGNOME era quindi inammissibile nel giudizio di rinvio. Pertanto, non ricorre nemmeno il vizio di omessa pronuncia, poiché essa « qualora abbia
ad oggetto una domanda inammissibile, non costituisce vizio della sentenza e non rileva nemmeno come motivo di ricorso per cassazione, in quanto, alla proposizione di una tale domanda, non consegue l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito. e quindi la Corte di rinvio non era tenuta a esaminarla » (cfr. Cass. 20363, cui si rinvia per ulteriori precedenti conformi su questo principio, che si estende logicamente anche alle eccezioni).
3. – Il terzo motivo di ricorso allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 324, 329, 336, comma 1, 342 e 112 c.p.c. per avere la Corte di appello di Bari condannato i condomini a rifondere al Crocetta le spese di tutti i precedenti gradi di giudizio, in contrasto con il giudicato interno formatosi sul capo della sentenza n. 880/2012 della stessa Corte, che aveva disposto la compensazione delle spese dei giudizi dinanzi al Tribunale di Taranto, alla Corte di appello di Lecce e alla Corte di Cassazione. In tale contesto si evidenzia che, in base al principio della soccombenza globale, il giudice dell’impugnazione può modificare le spese solo in caso di riforma della sentenza, a meno che il capo sulle spese sia stato oggetto di specifico motivo di impugnazione. Tale potere deve essere esercitato con rigore, limitandosi alle parti della sentenza dipendenti da quelle riformate.
Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 91, 324 e 329 c.p.c., anche in relazione all’art. 3 Cost., per non aver la Corte di appello di Bari considerato, nella liquidazione delle spese di lite, la molteplicità di parti coinvolte nei giudizi dinanzi al Tribunale di Taranto e alla Corte di appello di Lecce e la formazione del giudicato sul capo relativo alla compensazione delle spese nei confronti di alcune di esse. La sentenza impugnata ha condannato in solido i convenuti al pagamento dell e spese di lite, liquidando € 7.254,00 per il primo grado e € 6.615,00 per il giudizio di appello innanzi alla Corte di appello di Lecce. Tuttavia, il Tribunale di Taranto aveva dichiarato la carenza di legittimazione attiva di 22 parti e compensato le spese
del giudizio per giusti motivi; tale statuizione era passata in giudicato nei loro confronti. Analogamente, la Corte di appello di Lecce aveva confermato la decisione del Tribunale sulla compensazione delle spese e tale capo era divenuto definitivo nei confronti del Condominio, che non aveva proposto impugnazione. La decisione della Corte di appello di Bari non ha tenuto conto di tali circostanze, liquidando le spese come se il giudizio fosse stato avviato solo da 13 parti. Secondo il principio di causalità, le spese devono essere ripartite proporzionalmente tra le parti soccombenti, considerando la formazione del giudicato sulle statuizioni relative alle spese per alcune di esse. In base a tali criteri, l’importo delle spese del primo grado avrebbe dovuto e ssere ridotto a € 2.694,50, mentre quello relativo al giudizio d’appello a € 6.143,00.
Tali motivi possono essere esaminati congiuntamente per connessione (riguardando entrambi la regolamentazione delle spese).
Essi sono infondati.
Quanto al terzo motivo, il ricorrente omette di considerare che « Il giudice del rinvio, al quale la causa sia rimessa dalla Corte di cassazione anche perché decida sulle spese del giudizio di legittimità, è tenuto a provvedere sulle spese delle fasi di impugnazione, se rigetta l’appello, e su quelle dell’intero giudizio , se riforma la sentenza di primo grado, secondo il principio della soccombenza applicato all’esito globale del giudizio, piuttosto che ai diversi gradi dello stesso ed al loro risultato » (Cass. 15506/2018). Tale è il principio cui deve essere assoggettato anche il caso attuale.
Quanto al quarto motivo, s otto il profilo dell’asserito giudicato interno, esso è infondato in forza della operatività ex art. 336 co. 1 c.p.c. dell’effetto espansivo interno (già posta a base del rigetto del terzo motivo). Sotto gli altri profili fatti valere esso è parimenti infondato, poiché la pronuncia si è comunque mantenuta entro i parametri (né – è appena il caso di dire – alcuna parte completamente vittoriosa è stata condannata alle spese).
4. -In conclusione, il ricorso va rigettato con inevitabile addebito di spese per la parte soccombente. Non si ravvisano le condizioni per l’applicazione dell’art. 96 cpc.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera dei ricorrenti, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 5.000,00 oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera dei ricorrenti, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15/01/2025.