Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33942 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33942 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12894/2023 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE per procura speciale allegata al ricorso
-ricorrente-
contro
COMUNE DI CAGLIARI, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE per procura speciale allegata al controricorso
-controricorrente-
avverso le SENTENZE della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI n.5/2018 pubblicata il 4/1/2018 e n. 220/2022 pubblicata il 5/5/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato in data 1.02.1995, NOME COGNOME convenne in giudizio il Comune di Cagliari ed il RAGIONE_SOCIALE per ottenere la loro condanna al risarcimento dei danni subiti per la perdita del terreno di sua proprietà, costituente parte di un maggiore compendio immobiliare pervenutogli iure ereditatis , ubicato in Cagliari, frazione di Pirri, INDIRIZZO distinto in catasto al F. 5 mapp. 652 di mq. 504, occupato in via d’urgenza per la realizzazione di un fabbricato di edilizia scolastica da destinarsi a scuola media inferiore, nonché l’indennità e il danno conseguente all’occupazione temporanea divenuta illegittima del terreno stesso, oltre rivalutazione ed interessi. L’attore dedusse che il Comune convenuto aveva disposto, con decreto sindacale n. 58 del 30 gennaio 1989, l’occupazione temporanea della predetta porzione immobiliare finalizzata all’esproprio per pubblica utilità per la realizzazione della suindicata scuola media, poi effettivamente realizzata, alla data del 5 maggio 1993, in difetto dell’adozione del definitivo provvedimento di espropriazione, quando ormai era spirato il termine ultimo del 26.1.1993, data di scadenza della dichiarazione di pubblica utilità. Il Comune di Cagliari, ritualmente costituitosi in giudizio, eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto ogni responsabilità faceva capo al RAGIONE_SOCIALE, concessionario dei lavori di edilizia scolastica per la cui esecuzione era stata disposta l’acquisizione degli immobili per cui è causa, e contestò, in ogni caso, l’ammissibilità ed il fondamento delle avverse pretese eccependo, in particolare, che l’attore avesse titolo e/o legittimazione ad agire per conseguire il risarcimento dei pretesi danni in misura superiore alla propria quota di titolarità sui beni per cui è causa. Il Comune di Cagliari, in particolare, escluse il
configurarsi di un’occupazione illegittima fonte di danni, essendo intervenuta, ai sensi dell’art. 22 della legge 20.05.1991 n. 158, la proroga della scadenza dei termini disposti con riferimento all’occupazione d’urgenza sino alla data del 26 gennaio 1995. Anche il RAGIONE_SOCIALE, costituitosi in giudizio, contestò il fondamento delle domande attrici eccependo a sua volta il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo di essere manlevato dal Comune in caso di accoglimento delle pretese avverse. In corso di causa, il Comune abbandonò la domanda di garanzia formulata nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, il quale si disinteressò alla causa in seguito all’atto di transazione intervenuto in data 4.5.2001, con il quale il Comune e il Consorzio avevano definito in via bonaria la controversia insorta tra loro in relazione all’esecuzione dei lavori di edilizia scolastica, di cui alla Convenzione del 25.2.1988 rep. N. 80710. All’esito dell’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza n. 233/2013 il Tribunale di Cagliari accolse la domanda dell’attore di risarcimento del danno per la perdita della proprietà e per l’occupazione illegittima. Il Tribunale dichiarò la competenza della Corte d’Appello con riferimento alla domanda proposta per la condanna al pagamento dell’indennità dovuta per il periodo di occupazione legittima; rigettò le eccezioni in merito alla carenza di legittimazione passiva dei convenuti, dichiarando la cessazione della materia del contendere sulla domanda di garanzia proposta in via subordinata dal Comune nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, con integrale compensazione delle spese processuali; condannò i convenuti, in solido tra loro, al pagamento, a titolo di risarcimento del danno per la perdita del diritto di proprietà, di € 83.896,00 compreso il danno da ritardo, oltre interessi legali dalla data della decisione e quella del pagamento, e alla rifusione in favore dell’attore delle spese processuali.
2.Con sentenza non definitiva n. 5/2018 pubblicata il 4-1-2018 la Corte d’appello di Cagliari, in accoglimento del primo motivo
d’appello proposto dal Comune di Cagliari avverso la citata sentenza del Tribunale, riteneva nulla doversi all’COGNOME a titolo di danno da occupazione illegittima per il periodo dal 26.1.1993 all’8 febbraio 1995. Al riguardo la Corte di merito riteneva applicabile ope legis la proroga ex art 22 L. 158/1991, operante sia per il termine di occupazione legittima, sia per quello della dichiarazione di p.u., sicché la delibera della GM del 12.6.91 era stata adottata con occupazione legittima in corso e la scadenza di tale occupazione era intervenuta il 26.1.95, dovendosi perciò escludere il danno da occupazione illegittima. Inoltre, in accoglimento del secondo e del terzo motivo, la Corte di merito accertava la natura conformativa del vincolo introdotto con la variante del 1983 all’allora vigente programma di fabbricazione, variante che aveva determinato la destinazione dell’area in contestazione, ricadente in zona ‘ C’ sottozona ‘Csi8’, all’edificazione delle opere di cui all’art. 44 della legge n. 865/1971 e, nella fattispecie, all’istruzione; richiamava la giurisprudenza di legittimità sulla natura conformativa del vincolo di destinazione delle aree all’edilizia scolastica, con conseguente determinazione del loro carattere non edificabile e relativa incidenza sul valore del bene. La Corte di merito rimarcava che la destinazione di aree a edilizia scolastica, nella cui nozione dovevano ricomprendersi tutte le opere e attrezzature aventi la funzione di integrare il complesso scolastico nell’ambito della pianificazione urbanistica comunale, ne determinava il carattere non edificabile, avendo l’effetto di configurare un tipico vincolo conformativo, come destinazione ad un servizio che trascendeva le necessità di zone circoscritte, ed era concepibile solo nella complessiva sistemazione del territorio, nel quadro di una ripartizione in base a criteri generali ed astratti. Rimarcava inoltre che neppure poteva esserne ritenuta per altro verso l’edificabilità, sotto il profilo di una realizzabilità della destinazione ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata,
giacché l’edilizia scolastica era riconducibile ad un servizio strettamente pubblicistico, connesso al perseguimento di un fine proprio ed istituzionale dello Stato, su cui non interferiva la parità assicurata all’insegnamento privato. La Corte territoriale riteneva errato il riferimento operato dal primo C.T.U. ad un ipotetico piano di lottizzazione, posto che quest’ultimo presupponeva che tutte le aree del comparto fossero edificabili a fini di edilizia privata sulla scorta delle previsioni dello strumento urbanistico, il che non era affatto nella specie.
Con sentenza definitiva n.220/2022 pubblicata il 5-5-2022 la Corte d’appello precisava che il thema decidendum era circoscritto esclusivamente alla quantificazione del danno derivante dall’illegittima occupazione dell’area per cui è causa, secondo il suo valore di mercato, alla data del 26.1.1995, accertata quale data di scadenza dell’occupazione legittima, tenendo in considerazione la natura conformativa del vincolo su di essa apposto e la conseguente natura non edificabile dell’area, come da sentenza non definitiva n. 5/2018, avverso la quale era stata formulata dall’appellato riserva di ricorso in cassazione. All’esito della rinnovazione della C.T.U. e dell’espletamento di una seconda C.T.U., la Corte territoriale rimarcava che il risarcimento del danno da occupazione appropriativa dell’area andava liquidato secondo il criterio agricolo di mercato, non avendo l’appellato, gravato del relativo onere, neppure allegato che la stessa fosse suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso rispetto a quello agricolo, pur senza raggiungere il livello dell’edificatorietà, e che, quindi, possedesse una valutazione di mercato rispondente a possibilità di utilizzazione, assentite dallo strumento urbanistico, intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (come, ad esempio, parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti). La consulenza tecnica d’ufficio redatta dal dott. NOME COGNOME aveva stimato il valore agricolo di mercato alla data
indicata del 26.1.1995, in euro 3,41 mq, per un importo complessivo, di euro 1.718,98 (euro 3,41 mq x 504 mq), a tal fine utilizzando due diversi procedimenti, quello sintetico comparativo e quello analitico per capitalizzazione del beneficio fondiario, i quali avevano condotto a valori sostanzialmente identici. La Corte d’appello, pertanto, determinava in complessivi euro € 4.357,86 il danno derivante dalla illegittima occupazione da parte del Comune di Cagliari delle aree per cui è causa, comprensivo di rivalutazione e danno da ritardato adempimento, oltre interessi dalla sentenza al saldo, e condannava NOME COGNOME alla restituzione in favore del Comune di Cagliari di tutte le somme da esso versate in forza ed in esecuzione della sentenza impugnata, maggiorate degli interessi dal pagamento al saldo, detratto l’importo dovuto dal Comune all’COGNOME ai sensi del capo 1 della sentenza, compensando per metà le spese del giudizio tra le parti e condannando il Comune di Cagliari alla rifusione in favore dell’appellato della residua somma.
Avverso queste sentenze NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, resistito con controricorso dal Comune di Cagliari.
I l ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘ Errata violazione delle norme di diritto ai sensi dell’art.360 -punto 3- c.p.c., interposto, con l’art.101 comma 2 c.p.c. e con l’art.115 c.p.c. ed errata interpretazione delle norme di riferimento ‘. Deduce che l’eccezione in merito all’edificabilità del terreno era stata sollevata in primo grado soltanto in comparsa conclusionale. Eccepisce l’inammissibilità della doglianza perché in violazione dall’art.345 c.p.c. e denuncia che il giudice d’appello ha leso il principio del contradditorio sancito dall’art.101 c.p.c., nel prendere in
considerazione una nuova deduzione ed accoglierla, ed ha violato l’art. 115 cpc, poiché il Giudice non ha posto a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti ed i fatti, da considerarsi provati, non contestati dalla parte costituita, poiché la parte convenuta nulla avrebbe opposto e dedotto in prime cure in ordine alla natura edificabile dell’area.
2. Il motivo è infondato e in parte inammissibile.
Occorre rilevare che la destinazione urbanistica dell’area ablata, nella specie ad edilizia scolastica, concerne una questione di diritto inscindibile da quella fattuale, anche ai fini della determinazione del quantum , che non è affatto autonoma, costituendo, invece, il thema decidendum della controversia, e che il Comune aveva posto quale censura specifica in appello, come chiaramente si evince dalle sentenze impugnate. La Corte di merito ha infatti ritenuto di non potere utilizzare il valore indicato dal C.T.U., il quale aveva erroneamente considerato l’area come edificabile , benché avesse la suindicata destinazione. Sotto ulteriore profilo, si osserva che la contestazione delle risultanze della C.T.U. non era preclusa, considerato altresì il regime processuale applicabile ratione temporis nella specie (la controversia è stata introdotta prima dell’entrata in vigore della l.n.46/2009; cfr. Cass. S.U. 5624/2022). 3 . Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la ‘ violazione dell’art.360 c. 1 n. 3 cpc, interposto con l’art.10 della L.1150/1942, con art. 3 della Legge Speciale del 26.2.1948 n.3 dello Statuto Sardo e con l’art.20 della L.45/1989 ‘. Denuncia l’errata interpretazione ed applicazione delle norme di riferimento, in punto di efficacia della variante al PRG con destinazione edilizia scolastica. In particolare sostiene che si tratta di variante approvata in assenza di legge regionale disciplinante il procedimento di formazione e pubblicazione degli strumenti urbanistici generali e loro varianti, rimarcando che la disciplina regionale è intervenuta solo con L. R. Sardegna (art. 20) del
22.12.1989. Di conseguenza ad avviso del ricorrente la variante del 1983, che era stata pubblicata solo sul B.U.R.A.S., avrebbe dovuto essere pubblicata anche sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, ai sensi dell’art 10 Legge 1150/1942, ed era errato ed inconferente il riferimento all’art. 3 Statuto Speciale, in ordine alla potestà legislativa esclusiva regionale in materia urbanistica. Rileva che la Sardegna è Regione autonoma a Statuto Speciale, evidenzia la differenza tra validità ed efficacia del provvedimento amministrativo, richiamando la pronuncia del TAR n.330 del 1996 e deduce l’inefficacia della variante per omessa pubblicazione sulla G.U. e di conseguenza l’edificabilità dell’area.
Il motivo è infondato.
4.1. Questa Corte ha avuto modo di affermare, in fattispecie concernente l’espropriazione di un’area sita nella regione Sardegna (Cass. 7139/2015), che « non appare infatti, condivisibile quanto i ricorrenti sostengono e cioè che ai fini della vincolatività della conformazione del territorio regionale con definizione dei vincoli d’inedificabilità, occorreva la pubblicazione dell’adottato piano paesistico oltre che sul BURAS, anche sulla GURI, questa nella specie avvenuta solo il 4.12.1992, dopo la scadenza del biennio di occupazione legittima da indennizzare. L’approvazione del P.T.P. costituiva, infatti, ai sensi del Capo 3 del D.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 e segnatamente del relativo art. 6, commi 1, 2 e 3, esercizio di funzioni amministrative in tema di tutela paesistico-ambientale affidate, unitamente alla potestà legislativa primaria in materia, alla Regione Sardegna (cfr. Corte Cost. sentenza n. 51 del 2006), sicché, trattandosi di provvedimento devoluto alla competenza regionale, doveva seguire le formalità di conoscibilità per la collettività statutariamente proprie degli atti interni all’ente autonomo territoriale (cfr. anche D.P.R. 19 maggio 1949, n. 250, artt. 17 e 18) ». Anche la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente affermato che la legale conoscenza di uno strumento
urbanistico generale decorre dal compimento delle formalità pubblicitarie per essa previste dalla legge (Cons. Stato n.2919/2017; cons. Stato n.622/2017; Tar Cagliari sentenza n.254/2017 Tar Cagliari n.674/2015). In particolare si è precisato che « Il piano urbanistico comunale entra in vigore il giorno della pubblicazione del provvedimento di approvazione definitiva nel Bollettino Ufficiale della Regione Autonoma della Sardegna (oggi tale adempimento è previsto dall’art. 20, comma 8, della legge regionale n. 45/1989). Tale forma di pubblicità, obbligatoria e non facoltativa, realizza la forma legale tipica di conoscenza di tale atto cui va ricollegata la decorrenza del termine per l’impugnazione delle disposizioni dirette a regolamentare l’uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi che in via immediata (come le norme di c.d. zonizzazione, la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici, la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo) stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata. Nel caso di specie il Programma di Fabbricazione del Comune di Arzachena è stato pubblicato, in base alla disciplina antecedente la l.r. 45/89, sul BURAS n. 53 dell’8 novembre 1983 » (così le già citate Tar Cagliari 674/2015, confermata sul punto da Cons. Stato n.2919/2017; Tar Cagliari n. 622/2017).
Come correttamente affermato dalla Corte di merito, che ha recepito sul punto le deduzioni del Comune, alla Regione Sardegna, in virtù del suo Statuto Speciale, è stata attribuita competenza legislativa esclusiva in materia urbanistica (titolo II art. 3 comma 1 lett. f dello statuto) e tra le funzioni amministrative rientra l’approvazione dei P.R.G. e relative varianti, nelle materie nelle quali ha competenza legislativa ed in quelle delegate dallo Stato (titolo II art. 6). La competenza all’approvazione dei piani regolatori generali e degli strumenti urbanistici di attuazione nella suddetta Regione è attribuita, con apposito decreto,
dell’Assessorato regionale degli enti locali, finanze ed urbanistica e detti atti di competenza regionale sono pubblicati sul B.U.R.A.S. come previsto dalle norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna (D.P.R. 19 maggio 1949 n. 250, art.17; solo per le leggi ed i regolamenti regionali è prevista la pubblicazione per notizia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, ai sensi dell’art.18) . A seguito di detta pubblicazione, pertanto, gli strumenti urbanistici acquistano efficacia con valenza erga omnes , e ciò anche nel periodo anteriore all’entrata in vigore della l. r. n.45/1989 (nella specie la variante in questione risale al 1983).
5 . Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l” Errata violazione di norme di diritto ai sensi dell’art.360 c.1 n. 3 cpc interposta con l’art.31 delle NDA della Variante del Piano Regolatore Generale adottata con delibera della C.C. n.1444 del dicembre 1979 approvata con D.A.767/U/1983 del 19.4.1983 . Errata ed inconferente interpretazione della giurisprudenza della Corte con riferimento al caso di specie, il quale comunque offre elementi per mutarne l’orientamento (art.360 -bis) ‘. Deduce che, in ogni caso, anche a voler ammettere l’efficacia della variante del 1983, a parere del ricorrente si trattava di area in zona C ‘espansione residenziale’ con destinazione specifica edilizia scolastica quale opera di urbanizzazione secondaria di iniziativa pubblica a servizio della zona residenziale. Il ricorrente afferma (pag. 34 e ss.) che « L’area di cui è causa, contrassegnata in cartografia ‘Csi’, con gli usi compatibili e assentibili di cui all’art.37 NdA (come riportato a pag.7 e segg. della c.t.u. acquisita in appello) destinata all’edificazione dei servizi di quartiere di carattere scolastico, edificabile con tale tipologia anche ad iniziativa privata, faceva parte dei mappali 652 e 571, dei quali era stata circoscritta (quale ‘comparto’) ad una minor superficie complessiva di ‘…mq 5.699, stralciata dalla maggiore superficie complessiva di mq 14.819 dei mappali interi’. Nelle more della causa è intervenuta la
approvazione del Piano Urbanistico Comunale -PUC-, che ne ha confermato la destinazione urbanistica di espansione residenziale in ‘IC -espansione’ ad edificabilità ‘mista’ (residenziale e servizi previo piano attuativo di coordinamento come accertato dal CTU), a dimostrazione che non trattavasi (quello scolastico) di vincolo conformativo impresso con la destinazione di ‘zona’, nell’accezione comunque offerta dal nuovo orientamento giurisprudenziale, secondo il quale il carattere conformativo si ha con riferimento alla cd. ‘Zona’, da intendersi nel suo significato letterale e giuridico dato dalla L.U. n.1150/1942: nel caso in ispecie, quindi, si versa nella diversa ipotesi di destinazione specifica di un terreno circoscritto (comparto ‘Scc -Ssi’), complementare alla ‘zona di espansione residenziale’ » . A parere del ricorrente, pertanto, si trattava di una previsione di ‘infrastruttura secondaria’ preventivamente individuata quale ‘comparto di sottozona edificabile’, a servizio di ‘zona’ edificabile (in termini tali da dover concorrere agli standards di cessione nell’ipotesi di un piano attuativo), e il vincolo era di natura ‘ablatoria’ e non ‘conformativa’, con conseguente ‘errore in giudicando’ del Giudice d’appello. Infine rileva che i vizi denunciati inficianti la sentenza parziale non definitiva erano destinati a travolgere per illegittimità derivata la sentenza definitiva.
Il motivo è infondato e in parte inammissibile.
6.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte che il Collegio condivide (tra le altre Cass.22921/2022; Cass. 32422/2023), per la determinazione dell’indennità di esproprio (o del risarcimento del danno da occupazione appropriativa), la destinazione di aree a edilizia scolastica, nella cui nozione devono ricomprendersi tutte le opere e attrezzature che hanno la funzione di integrare il complesso scolastico (nella specie, ristorante mensa, zone di soggiorno e ricreative, auditorium, sale per mostre), nell’ambito della pianificazione urbanistica comunale, ne
determina il carattere non edificabile, avendo l’effetto di configurare un tipico vincolo conformativo, come destinazione ad un servizio che trascende le necessità di zone circoscritte ed è concepibile solo nella complessiva sistemazione del territorio, nel quadro di una ripartizione in base a criteri generali ed astratti. Per altro verso, non può esserne ritenuta l’edificabilità, sotto il profilo di una realizzabilità della destinazione ad iniziativa privata o promiscua pubblico -privata, in quanto l’edilizia scolastica è riferibile ad un servizio prettamente pubblicistico, correlato al perseguimento di un fine proprio ed istituzionale dello Stato, su cui non interferisce la parità assicurata all’insegnamento privato.
La Corte di merito si è attenuta ai suesposti principi ed ha correttamente qualificato come conformativo il vincolo sull’area ablata, né il ricorrente offre validi argomenti per giustificare un mutamento di indirizzo di questa Corte.
6.2. La censura è inammissibile nella parte in cui si pone in discussione la caratteristica concreta del vincolo, che è questione meritale.
La Corte d’appello , con motivazione congrua, ha ritenuto che il piano dei servizi del 1983, interpretato anche alla luce delle norme di attuazione, avesse determinato un vincolo conformativo apposto dal pianificatore urbanistico, nell’ambito di una variante generale al P.R.G., prevedendo che in determinate porzioni di territorio comunale potessero essere realizzate solo opere pubbliche, scolastiche, a verde, per la sosta delle autovetture o altro, così conformando il territorio e cristallizzandolo mediante vincoli di destinazione di inedificabilità, rispetto alla possibilità di interventi edificatori ad opera del privato.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia l” Errata violazione di norme di diritto ai sensi dell’art.360, punto 3, cpc interposta alla L.n.158 del 20.5.1991 art.22 in combinato disposto con l’art.20 della L.n.865/1971 ‘. Deduce che ‘ Riguardo alla deliberazione della
G.M. del giugno del 1991 si osserva che la stessa è stata adottata allorquando la vigenza della dichiarazione di p.u. era venuta meno alla data del 26.1.1995, quindi improrogabile, non potendo trovare applicazione l’istituto della proroga per un provvedimento già decaduto; ma su questo punto si è formato un giudicato, che peraltro non incide sulla riforma invocata con l’odierno gravame, per cui su di esso non si fa inutile ritorno ‘ . A parere del ricorrente ‘ il documento a cui deve farsi riferimento è la deliberazione del C.T.R.L. dei LL.PP. n.3790/15270 adottata in data 26.1.1987 (indice n.3), con il quale si era stabilito il termine per l’ultimazione dei lavori entro 48 mesi -4 anni- dalla data della medesima delibera del CTRL. Le leggi di proroga succedutesi nel tempo sono, in ordine temporale, le seguenti: L. n.385/1980 art.5; D.L.n.901/1984 art.1, comma 5-bis; D.L.n.534/1987 art.14; L.158 del 20.5.1991 art.22. Nessuna di tali proroghe afferisce l’occupazione temporanea e di urgenza di cui è causa. Quelle emanate fino al 1987, in quanto la occupazione in esame è iniziata successivamente in forza di decreto sindacale n.58 del 30.1.1989, e quindi non era ancora ‘in corso’. L’ultima, 158/1991, in quanto alla data del 1 gennaio 1991 l’opera era già stata realizzata; inoltre perché la proroga (automatica) della occupazione temporanea di cui all’art.22 della L.158/1991 era finalizzata esclusivamente a prorogare il termine quinquennale delle occupazioni temporanee e non quello della dichiarazione di p.u. venuto a decadere, improrogato, prima della promulgazione della stessa legge 158/1991, la quale, di conseguenza, non può operare la proroga di un decreto di occupazione temporanea se non è più assistito dalla dichiarazione di p.u.. Pertanto trattasi di una ‘retroattività’ relativa e non idonea a prorogare la vigenza della dichiarazione di p.u. che sarebbe dovuta intervenire prima dei 48 mesi, ossia prima del 26 gennaio 1991 ‘.
8. Il motivo è infondato.
8.1. Secondo l’orientamento di questa Corte che il Collegio condivide, (Cass. S.U. 2630/2006; Cass. 10394/2012; Cass.11481/2016) tutte le proroghe disposte dalla normativa emergenziale e, quindi, anche quella introdotta dalla l.n.158/1991 devono intendersi con effetto retroattivo, riferite ai procedimenti espropriativi comunque “in corso alle scadenze previste dalle singole leggi e si intendono efficaci anche in assenza di atti dichiarativi delle amministrazioni procedenti”; e l’effetto di proroga deve essere esteso anche ai connessi procedimenti espropriativi, compreso il termine per l’emissione del decreto di esproprio, essendo illogica la previsione del perdurare di un regime occupatorio temporaneo senza il corrispondente slittamento dei termini utili per il completamento del procedimento ablativo. Pertanto le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza citata n.2630/2006), nonché la giurisprudenza amministrativa hanno concluso che ‘ per effetto delle menzionate disposizioni legislative, non soltanto le occupazioni temporanea e d’urgenza, ma anche le dichiarazioni di p.u. che ne costituiscono un presupposto indefettibile state prorogate di un corrispondente periodo onde evitarne la scadenza diacronica: in conformità del resto alla finalità di detta legislazione di predisporre un apposito apparato normativo onde protrarre automaticamente la validità dei procedimenti di espropriazione in corso in attesa che il Parlamento procedesse all’approvazione della nuova disciplina delle indennità di esproprio resa necessaria secondo la Corte Costituzionale dalle note declaratorie di incostituzionalità di cui alle proprie decisioni 5/1980 e 223/1983 ‘ (Cass. 8734/1997; Corte Cost. 163/1994 e 244 /1993). Infine, è stato ulteriormente chiarito che ‘ Qualora il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità di un’opera sia stato prorogato tempestivamente dall’autorità espropriante prima della scadenza, anche ripetutamente, la dichiarazione resta efficace e il decreto di esproprio è quindi valido, se emesso prima
dell’ultima scadenza; ne consegue che, non essendo configurabile alcuna carenza del potere amministrativo (né in astratto, né in concreto), è legittima l’attività manipolativa del bene del privato compiuta nel complessivo periodo di efficacia della dichiarazione ‘ (Cass. 28650/2020).
8.2. La Corte di merito si è attenuta ai suesposti principi. Nello specifico, l’art. 22 l.n.158/1991, che la Corte d’appello ha ritenuto applicabile ratione temporis, è norma intervenuta (con effetto dall’1 -1 -1991) quando era ancora in corso il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, in quanto detto termine sarebbe scaduto il 26 gennaio 1991, in base a quanto asserisce lo stesso ricorrente (pag.41 del ricorso).
In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto (Cass. S.U. 23535/2019).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, che liquida in € 2.200,00, di cui €200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima sezione