Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8079 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8079 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 26/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25511/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
REGIONE LAZIO, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonché contro
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
avverso l’ ORDINANZA della CORTE D’APPELLO di NOME R.G.n. 431/2016 depositata il 26/06/2020; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/01/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE, con ordinanza ex articolo 702 ter cod. proc. civ. depositata in cancelleria in data 26 giugno 2020, respingeva le domande proposte dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della Regione Lazio e di RAGIONE_SOCIALE Capitale, dirette ad ottenere il pagamento dell’indennità dovuta per la reiterazione del vincolo espropriativo dei terreni di proprietà dell’attrice (estesi circa 160 Ha), effettuato con delibera della Giunta Regionale n.80 del 1980 e definitivamente con la delibera del Consiglio Comunale di RAGIONE_SOCIALE n.18/1980, ai sensi dell’art.39 T.U.E., quantificata dall’attrice in € 267.584.000,00 per il periodo dal 12 febbraio 2008 all’attualità, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla domanda di pagamento.
2.Avverso questa ordinanza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a due motivi, resistito con distinti controricorsi dalla Regione Lazio e da RAGIONE_SOCIALE Capitale. 3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai
sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente denuncia con il primo motivo, ai sensi dell’articolo 360 primo comma n 4 c.p.c., la nullità della gravata ordinanza per error in procedendo consistito nella violazione degli articoli 100 e 115 cod. proc. civ., in quanto il Giudice di merito si sarebbe limitato a recepire acriticamente la valutazione di diritto circa la qualificazione dei vincoli come conformativi anziché espropriativa-
ablatoria, che si assume indebitamente demandata al consulente tecnico d’ufficio in sede di formulazione del quesito.
2. Con il secondo motivo, articolato in tre sotto -motivi, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione ovvero falsa e comunque erronea applicazione dell’articolo 42 Cost. e dell’articolo 39 del d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327 , per non avere la Corte di merito valutato come espropriativi i vincoli per cui è causa, che assume essere stati erroneamente qualificati dalla Corte di merito come conformativi. Deduce che la Corte territoriale ha valutato in astratto il vincolo esistente sui terreni oggetto di causa e non invece in concreto, analizzando anche gli altri terreni sottoposti alla identica destinazione urbanistica e vincolistica. La Corte d’appello non avrebbe , inoltre, tenuto in considerazione le vicende espropriative relative a parte dei terreni di proprietà della ricorrente e sottratti dall’oggetto dalla domanda in virtù della sentenza del Consiglio di Stato numero 4636/2016, intervenuta nelle more del giudizio. Rimarca la ricorrente, inoltre, che l’erroneità della valutazione in astratto compiuta dal Giudice di merito si evince sotto i seguenti profili: i) per inesatta ricostruzione dell’avvio della sequenza impositiva dei vincoli, in quanto gli strumenti paesistici erano intervenuti allorché la sequenza dei reiterati atti di imposizione vincolistica era ampiamente avviata e consolidata, da ciò conseguendo violazione del criterio normativo della funzione e destinazione urbanistica del fondo al momento dell’avvio della sequenza impositiva dei vincoli, dal momento che, ad avviso della ricorrente, ‘ lo strumento paesistico non inficia ex se l’intervento modificativo del proprietario privato, ma lo sottopone a determinati presupposti valutativo-autorizzativi ‘ (pag.14 ricorso); ii) per non avere il Giudice di merito, in violazione dei criteri normativi, considerato tutto il territorio interessato dalla regolazione e per non avere rilevato che i terreni in questione avevano originariamente vocazione edificatoria, risalente al 1931;
iii) per non avere la Corte di merito, in violazione dei criteri normativi, valutato in concreto le vicende impositive, con riguardo (a) alle vicende espropriative afferenti i terreni del medesimo compendio, non essendo stato chiarito per quale ragione le stesse amministrazioni avessero dapprima proceduto all’esproprio, di seguito annullato, della porzione oggetto del precedente giudizio; (b) all’obbligatorietà dell’espropriazione di tutti i beni in conseguenza di approvazione definitiva del piano di assetto di Parco, da qualificare come dichiarazione di pubblica utilità; (c) alla mancata comparazione tra l’originaria vocazione edificatoria dei fondi e la condizione funzionale consolidatasi in esito alla successione di vincoli, da ciò conseguendo l’omessa valutazione delle caratteristiche concrete che erano conseguite all’imposizione dei vincoli; (d) alla rilevanza erroneamente attribuita dalla Corte d’appello, al fine di attribuire natura conformativa ai vincoli, al fatto che gli stessi incidessero anche su terreni diversi da quelli di proprietà dell’odierna ricorrente, dovendosi invece comparare le caratteristiche ontologiche, funzionali e vocazionali dell’area incisa con quelle delle altre aree con caratteristiche analoghe all’interno dell’intero territorio.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono in parte infondati e in parte inammissibili.
3.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte che il Collegio condivide e intende qui ribadire, nel caso in cui un terreno privato sia incluso nell’area di protezione di una riserva (e cosiddetta pre-riserva) naturale o di un piano paesaggistico istituito con legge regionale nel cui ambito sia consentito solo l’esercizio di attività agricola, non è dovuto un indennizzo per la perdita dello jus aedificandi , trattandosi non di un vincolo preordinato all’esproprio o avente natura espropriativa, ma di un vincolo ambientale imposto per legge, avente carattere ricognitivo e confermativo delle caratteristiche paesaggistiche e ambientali già
possedute dal bene. Tale vincolo è giustificato alla luce dell’equilibrio costituzionale degli interessi in gioco, che vede alcune delle facoltà del diritto dominicale recessive di fronte alle esigenze di salvaguardia dei valori culturali ed ambientali, in attuazione della funzione sociale della proprietà, e non è in contrasto neppure con l’art. 1 del Prot. n. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che, pur ispirato alla necessaria proporzionalità tra l’interesse pubblico perseguito e la tutela della proprietà privata, non esclude un sacrificio dello “jus aedificandi” per la salvaguardia di interessi paesaggistici e ambientali (Cass. 10210/2009; Cass. 18963/2011).
E’ stato altresì precisato (tra le altre Cass. 20383/2012; Cass. 23572/2017) che il vincolo di inedificabilità di tipo paesaggistico può derivare dalle previsioni di un piano paesistico, essere inerente alla natura dei beni, o scaturire, in via predeterminata e generale, dalla ubicazione di questi ultimi, secondo le previsioni dell’art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e successive sue modificazioni, comportando, in ciascuna di tali situazioni, che esso rivela una qualità insita nel bene così che la proprietà debba intendersi limitata ab origine da un vincolo da considerarsi conformativo, non soggetto a decadenza, e perciò incidente sul suo valore in sede di determinazione dell’indennizzo per un’eventuale espropriazione, tanto da rendere irrilevante, sempre ai fini della valutazione del bene, il regime imposto su di esso dalla disciplina urbanistica, che comunque è tenuta ad uniformarsi alla pianificazione, atteso che il vincolo imposto per legge prevale sugli strumenti urbanistici anche preesistenti (Cass. /2019).
3.2. La Corte d’appello si è attenuta ai suesposti principi e, nello specifico, sulla base delle risultanze urbanistiche fornite dal C.T.U., richiamato quanto previsto dall’art.145 del Codice dei beni culturali del paesaggio -D.lgs. n. 42/2004, nonché richiamata la
giurisprudenza sia della Corte Costituzionale (sentenza n.179/1999) sia di questa Corte, ha ritenuto che il vincolo esistente sui terreni oggetto di causa, derivante dalle fonti in dettaglio ricostruite temporalmente (pag. 7 della sentenza) fino all’istituzione del Parco RAGIONE_SOCIALE con legge regionale n.21/1987, avesse natura espressamente conformativa, in quanto interessante una generalità di beni, e non fosse, invece, destinato alla realizzazione di una singola e precisa opera pubblica. La Corte di merito, dopo aver rilevato che alla domanda era estranea l’area estesa m.q. 518.686 perché già di proprietà del RAGIONE_SOCIALE, in virtù della sentenza del Consiglio di Stato numero 4636/2016, ha ricostruito in dettaglio le vicende urbanistiche del terreno oggetto di causa ed ha ritenu to che l’istituzione del Parco RAGIONE_SOCIALE avesse comportato la omogenea zonizzazione dell’area, in modo tale da incidere su una generalità di beni e nei confronti di una pluralità indifferenziata di utenti, in funzione della destinazione dell’intera area in cui i beni stessi ricadevano, con conseguente apposizione di vincoli conformativi. La Corte d’appello ha aggiunto che, n el contesto normativo descritto, il vincolo a verde pubblico o a parco pubblico (come nel caso del terreno di proprietà RAGIONE_SOCIALE, inserito all’interno del perimetro del Parco del RAGIONE_SOCIALE) non aveva funzione ablatoria ma assolveva, piuttosto, la funzione di conformare la proprietà all’ambiente e, pertanto, anche in presenza di reiterazioni, nessun indennizzo era dovuto, in conformità a quanto chiarito anche dalla giurisprudenza amministrativa richiamata (Cons. Stato 4242/2011).
Come correttamente affermato dalla Corte territoriale, non è condivisibile la tesi della S.E.P., riproposta in sede di legittimità, secondo cui il Piano di Assetto, previsto dalla L.R. Lazio n. 43/1997, avesse valore di piano urbanistico comprensoriale, suscettibile di definire l’assetto territoriale ed in grado di condizionare la successiva pianificazione urbanistica mediante piani attuativi,
aventi valore di piano particolareggiato ex articolo 13 e ss. L. 1150/1942 (e successive modifiche), e ciò alla stregua delle prescrizioni dettate dal D.lgs. n. 42/2004 (c.d. Codice dei beni culturali e del paesaggio) e più precisamente dall’articolo 145. Con recente pronuncia, le Sezioni Unite di questa Corte hanno rimarcato che il citato art. 145, intitolato «coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione», dopo avere previsto, al comma 2, che il piano può contenere misure di coordinamento con gli altri strumenti di pianificazione territoriale di settore, al comma 3 aggiunge che ‘ Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette ‘ (Cass. S.U. 36029/2022). A ciò si aggiunga che la Corte Costituzionale, sulla premessa che il sistema della pianificazione paesaggistica deve essere salvaguardato nella sua impronta unitaria e nella sua forza vincolante, perché rappresenta attuazione dell’art. 9 Cost. ed è funzionale a una tutela organica e di ampio respiro, che non tollera interventi frammentari e incoerenti, ha fatto leva sulla disciplina dettata dal d.lgs. n. 42/2004 per affermare che « la prevalenza della pianificazione paesaggistica integra una regola di tutela primaria del paesaggio in nessun modo derogabile ad opera della legislazione regionale che, nella cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali, deve rispettare gli standard minimi uniformi di tutela previsti dalla normativa statale, potendo al limite introdurre un surplus di tutela e non un regime peggiorativo » (Corte Cost. n. 24/2022 che rinvia a Corte Cost. n. 251/2021).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, le censure non colgono nel segno, con riguardo alla ricostruzione normativa della fattispecie in esame, esattamente effettuata dalla Corte territoriale.
3.3. Quanto alle ulteriori doglianze, neppure coglie nel segno l’assunto secondo cui la Corte di merito si sarebbe attenuta ‘ acriticamente ‘ alle risultanze della C.T.U. (primo motivo), in quanto, invece, il giudice di merito ha posto a base della decisione i fatti accertati dal l’ausiliario in modo che ha ritenuto congruo ed ha condiviso, motivatamente, le conclusioni dello stesso. Le altre censure espresse con il secondo motivo sono inammissibili poiché per un verso non si confrontano compiutamente con il fulcro della motivazione (vincolo paesaggistico imposto per legge di assoluta prevalenza rispetto agli strumenti urbanistici) e per altro verso sollecitano impropriamente una rivisitazione di accertamenti fattuali, in disparte il rilievo, pur non dirimente per quanto si è detto, che il vincolo paesaggistico, nel caso concreto, in base a quanto affermato dalla ricorrente, non osta a ‘ intervento modificativo del privato proprietario, ma lo sottopone a determinati presupposti valutativo-autorizzativi ‘ (pag. 14 ricorso).
In conclusione, il ricorso deve essere complessivamente rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate, in favore di ciascuna parte controricorrente, come in dispositivo e secondo lo scaglione di valore della controversia dichiarato in ricorso (€267.584.000,00 – pag. 27).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto (Cass. S.U. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE Capitale delle spese di lite del presente giudizio,
che liquida in € 57.200,00, di cui €200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge; condanna la ricorrente al pagamento in favore della Regione Lazio delle spese di lite del presente giudizio, che liquida in € 57.200,00, di cui €200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE nella camera di consiglio della Prima sezione