Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33874 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33874 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12733/2023 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE per procura speciale allegata al ricorso
-ricorrente-
contro
COMUNE DI CAGLIARI, rappresentato e difeso dal l’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE per procura speciale allegata al controricorso
-controricorrente-
avverso le SENTENZE della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI n.15/2018 depositata il 12/01/2018 e n. 219/2022 depositata il 05/05/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 7-3-1994 NOME COGNOME convenne avanti il Tribunale di Cagliari il Comune di Cagliari per ottenere la condanna al risarcimento dei danni subiti per la perdita del terreno di sua proprietà distinto in catasto al F. 5 mapp. 652 di mq. 3901, mapp. 644 mq.1404, mapp. 667 mq 394 occupato in via d’urgenza per la realizzazione di edifici scolastici, nonché l’indennità ed il danno conseguente all’occupazione temporanea divenuta illegittima del terreno stesso, oltre rivalutazione ed interessi. Il Comune di Cagliari, nel costituirsi ritualmente, eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva, per essere ogni responsabilità ascrivibile al Consorzio RAGIONE_SOCIALE per l’edilizia scolastica (di seguito per brevità CRIES), chiamato in causa, concessionario dei lavori di edilizia scolastica per la cui esecuzione venne disposta l’acquisizione degli immobili, e contestò in ogni caso, l’ammissibilità ed il fondamento delle pretese del privato. Anche il CRIES, costituitosi in giudizio, contestò il fondamento delle domande attrici eccependo a sua volta il proprio difetto di legittimazione passiva. Con sentenza non definitiva n.1998/2006 dell’11.7.2006
il Tribunale di Cagliari dichiarò cessata la materia del contendere tra il Comune di Cagliari ed il CRIES per effetto di una transazione intervenuta tra tali parti e rimise la causa in istruttoria, con separata ordinanza, disponendo c.t.u. per accertare i danni subiti dall’attore. Con detta sentenza parziale, inoltre, il Tribunale di Cagliari dichiarò il diritto dell’attore al risarcimento dei danni per l’occupazione illegittima dell’area a decorrere dal 26.1.1994 fino alla data dell’effettiva restituzione del bene, da determinarsi per la sola quota ereditaria in capo allo stesso COGNOME. Esperita la c.t.u., nonché avvenuta la restituzione dell’area all’attore in data 26 -92006, con sentenza definitiva n.191/2013 il Tribunale di Cagliari,
individuando quale termine ultimo per la quantificazione del danno la data del 26-9-2006, condannò il Comune di Cagliari a corrispondere all’attore, a titolo di risarcimento danni, la somma di € 88.792,62 (somma già rivalutata all’attualità), oltre al danno ulteriore nella misura del 3% dal 26.1.1994 sino alla data di pubblicazione della sentenza, oltre agli interessi legali sulla somma così calcolata dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo, rigettando ogni altra domanda.
2. Con sentenza parziale non definitiva n.15/2018 la Corte d’appello di Cagliari, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Comune di Cagliari avverso le citate sentenze n.1889/2006 e 191/2013 del Tribunale di Cagliari, rigettava il primo motivo d’appello, accertava la natura e destinazione non edificabile dell’immobile in contestazione distinto in catasto al F.5 mapp.652 di mq 3901, mapp. 644 di mq 1404 e mapp. 667 di mq 394 e disponeva con separata ordinanza per il proseguo del giudizio.
Con sentenza definitiva n.219/2022, all’esito della rinnovazione della C.T.U., la Corte d’appello determinava in complessivi euro € 9.377,68 il danno derivante dalla illegittima occupazione da parte del Comune di Cagliari delle aree in questione, comprensivo di rivalutazione e danno da ritardato adempimento, oltre interessi dalla sentenza al saldo, condannava l’appellato alla restituzione in favore del Comune di Cagliari di tutte le somme da esso versate in forza ed in esecuzione della sentenza impugnata, maggiorate degli intessi dal pagamento al saldo, detratto l’importo dovuto dal Comune all’COGNOME ai sensi del primo capo della stessa sentenza e compensava per metà le spese del giudizio tra le parti, condannando il Comune di Cagliari alla rifusione in favore dell’appellato della residua somma. La Corte di merito rilevava che era stato apposto alle aree di cui trattasi un vincolo conformativo di destinazione all’edilizia scolastica con la variante al Piano Regolatore vigente all’epoca adottata nel 1983, pubblicata sul
RAGIONE_SOCIALE. In particolare detta variante aveva determinato la destinazione dell’area, ricadente in zona ‘C’ sottozona ‘Csi8’, all’edificazione delle opere di cui all’art. 44 della legge n. 865/1971 e, nella fattispecie, all’istruzione. La Corte d’appello richiamava la giurisprudenza di legittimità sulla natura conformativa del vincolo di destinazione delle aree all’edilizia scolastica, con conseguente determinazione del loro carattere non edificabile e relativa incidenza sul valore del bene, e rimarcava che la destinazione di aree ad edilizia scolastica, nella cui nozione dovevano ricomprendersi tutte le opere e attrezzature aventi la funzione di integrare il complesso scolastico nell’ambito della pianificazione urbanistica comunale, ne determinava il carattere non edificabile, avendo l’effetto di configurare un tipico vincolo conformativo, come destinazione ad un servizio che trascende le necessità di zone circoscritte ed era concepibile solo nella complessiva sistemazione del territorio, nel quadro di una ripartizione in base a criteri generali ed astratti. Rimarcava inoltre che neppure poteva esserne ritenuta per altro verso l’edificabilità, sotto il profilo di una realizzabilità della destinazione ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, giacché l’edilizia scolastica era riconducibile ad un servizio strettamente pubblicistico, connesso al perseguimento di un fine proprio ed istituzionale dello Stato, su cui non interferiva la parità assicurata all’insegnamento privato. La Corte territoriale riteneva errato il riferimento operato dal primo C.T.U. ad un ipotetico piano di lottizzazione, posto che quest’ultimo presupponeva che tutte le aree del comparto fossero edificabili a fini di edilizia privata sulla scorta delle previsioni dello strumento urbanistico, il che non era affatto nella specie.
Avverso queste sentenze NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, resistito con controricorso dal Comune di Cagliari.
I l ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘ Errata violazione delle norme di diritto ai sensi dell’art.360 -punto 3- c.p.c., interposto, con l’art.101 comma 2 c.p.c. e con l’art.115 c.p.c. ed errata interpretazione delle norme di riferimento ‘. Deduce che l’eccezione in merito all’edificabilità del terreno non era stata sollevata in primo grado e all’udienza di precisazione delle conclusioni, ma soltanto con l’atto introduttivo in appello. Eccepisce l’inammissibilità della doglianza perché in violazione dall’art.345 c.p.c. e denuncia che il giudice d’appello ha leso il principio del contradditorio sancito dall’art.101 c.p.c., nel prendere in considerazione una nuova deduzione ed accoglierla, ed ha violato l’art. 115 c.p.c., poiché il Giudice non ha posto a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti ed i fatti, da considerarsi provati, non contestati dalla parte costituita, poiché la parte convenuta nulla avrebbe opposto e dedotto in prime cure in ordine alla natura edificabile dell’area.
Il motivo è infondato e in parte inammissibile.
Occorre rilevare che la destinazione urbanistica dell’area ablata, nella specie ad edilizia scolastica, concerne una questione di diritto inscindibile da quella fattuale, anche ai fini della determinazione del quantum , che non è affatto autonoma, costituendo, invece, il thema decidendum della controversia, e che il Comune aveva posto quale censura specifica in appello, come chiaramente si evince dalle sentenze impugnate. La Corte di merito ha infatti ritenuto di non potere utilizzare il valore indicato dal C.T.U., il quale aveva erroneamente considerato l’area come edificabile, benché avesse la suindicata destinazione. Sotto ulteriore profilo, si osserva che la contestazione delle risultanze della C.T.U. non era preclusa, considerato altresì il regime processuale applicabile ratione
temporis nella specie (la controversia è stata introdotta prima dell’entrata in vigore della l.n.46/2009; cfr. Cass. S.U. 5624/2022). A ciò si aggiunga che nella sentenza non definitiva d’appello (pag.7) e anche nella sentenza definitiva non si dà atto dell’eccezione di novità e di inammissibilità ex art. 345 c.p.c. sollevata dal privato, odierno ricorrente, in punto di non edificabilità dell’area ablata, e anzi risulta che egli avesse svolto difese di merito, a supporto dell’edificabilità. Sotto tale profilo, il motivo difetta di autosufficienza perché in ricorso non è precisato compiutamente quando, come e dove era stata sollevata quell’eccezione nel giudizio d’appello.
3. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la ‘ violazione dell’art.360 c. 1 n. 3 c.p.c., interposto con l’art.10 della L.1150/1942, con art. 3 della Legge Speciale del 26.2.1948 n.3 dello Statuto Sardo e con l’art.20 della L.45/1989 ‘. Denuncia l’errata interpretazione ed applicazione delle norme di riferimento, in punto di efficacia della variante al PRG con destinazione edilizia scolastica. In particolare sostiene che si tratta di variante approvata in assenza di legge regionale disciplinante il procedimento di formazione e pubblicazione degli strumenti urbanistici generali e loro varianti, rimarcando che la disciplina regionale è intervenuta solo con L. R. Sardegna (art. 20) del 22.12.1989. Di conseguenza ad avviso del ricorrente la variante del 1983, che era stata pubblicata solo sul B.U.R.A.S., avrebbe dovuto essere pubblicata anche sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, ai sensi dell’art 10 Legge 1150/1942, ed era errato ed inconferente il riferimento all’art. 3 Statuto Speciale, in ordine alla potestà legislativa esclusiva regionale in materia urbanistica. Rileva che la Sardegna è Regione autonoma a Statuto Speciale, evidenzia la differenza tra validità ed efficacia del provvedimento amministrativo, richiamando la pronuncia del TAR n.330 del 1996,
e deduce l’inefficacia della variante per omessa pubblicazione sulla G.U. e di conseguenza ribadisce la natura edificabile dell’area.
Il motivo è infondato.
4.1. Questa Corte ha avuto modo di affermare, in fattispecie concernente l’espropriazione di un’area sita nella regione Sardegna (Cass. 7139/2015), che « non appare infatti, condivisibile quanto i ricorrenti sostengono e cioè che ai fini della vincolatività della conformazione del territorio regionale con definizione dei vincoli d’inedificabilità, occorreva la pubblicazione dell’adottato piano paesistico oltre che sul BURAS, anche sulla GURI, questa nella specie avvenuta solo il 4.12.1992, dopo la scadenza del biennio di occupazione legittima da indennizzare. L’approvazione del P.T.P. costituiva, infatti, ai sensi del Capo 3 del D.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 e segnatamente del relativo art. 6, commi 1, 2 e 3, esercizio di funzioni amministrative in tema di tutela paesistico-ambientale affidate, unitamente alla potestà legislativa primaria in materia, alla Regione Sardegna (cfr. Corte Cost. sentenza n. 51 del 2006), sicché, trattandosi di provvedimento devoluto alla competenza regionale, doveva seguire le formalità di conoscibilità per la collettività statutariamente proprie degli atti interni all’ente autonomo territoriale (cfr. anche D.P.R. 19 maggio 1949, n. 250, artt. 17 e 18) ». Anche la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente affermato che la legale conoscenza di uno strumento urbanistico generale decorre dal compimento delle formalità pubblicitarie per essa previste dalla legge (Cons. Stato n.2919/2017; cons. Stato n.622/2017; Tar Cagliari sentenza n.254/2017 Tar Cagliari n.674/2015). In particolare si è precisato che « Il piano urbanistico comunale entra in vigore il giorno della pubblicazione del provvedimento di approvazione definitiva nel Bollettino Ufficiale della Regione Autonoma della Sardegna (oggi tale adempimento è previsto dall’art. 20, comma 8, della legge regionale n. 45/1989). Tale forma di pubblicità, obbligatoria e non
facoltativa, realizza la forma legale tipica di conoscenza di tale atto cui va ricollegata la decorrenza del termine per l’impugnazione delle disposizioni dirette a regolamentare l’uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi che in via immediata (come le norme di c.d. zonizzazione, la destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici, la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo) stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata. Nel caso di specie il Programma di Fabbricazione del Comune di Arzachena è stato pubblicato, in base alla disciplina antecedente la l.r. 45/89, sul BURAS n. 53 dell’8 novembre 1983 » (così le già citate Tar Cagliari 674/2015, confermata sul punto da Cons. Stato n.2919/2017; Tar Cagliari n. 622/2017).
Come correttamente affermato dalla Corte di merito, che ha recepito sul punto le deduzioni del Comune, alla Regione Sardegna, in virtù del suo Statuto Speciale, è stata attribuita competenza legislativa esclusiva in materia urbanistica (titolo II art. 3 comma 1 lett. f dello statuto) e tra le funzioni amministrative rientra l’approvazione dei P.R.G. e relative varianti, nelle materie nelle quali ha competenza legislativa ed in quelle delegate dallo Stato (titolo II art. 6). La competenza all’approvazione dei piani regolatori generali e degli strumenti urbanistici di attuazione nella suddetta Regione è attribuita, con apposito decreto, dell’Assessorato regionale degli enti locali, finanze ed urbanistica e detti atti di competenza regionale sono pubblicati sul B.U.R.A.S. come previsto dalle norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna (D.P.R. 19 maggio 1949 n. 250, art.17; solo per le leggi ed i regolamenti regionali è prevista la pubblicazione per notizia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, ai sensi dell’art.18). A seguito di detta pubblicazione, pertanto, gli strumenti urbanistici acquistano efficacia con valenza erga omnes ,
e ciò anche nel periodo anteriore all’entrata in vigore della l. r. n.45/1989 (nella specie la variante in questione risale al 1983).
5. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l” Errata violazione di norme di diritto ai sensi dell’art.360 c.1 n. 3 cpc interposta con l’art.31 delle NDA della Variante del Piano Regolatore Generale adottata con delibera della C.C. n.1444 del dicembre 1979 approvata con D.A.767/U/1983 del 19.4.1983 . Errata ed inconferente interpretazione della giurisprudenza della Corte con riferimento al caso di specie, il quale comunque offre elementi per mutarne l’orientamento (art.360 -bis) ‘. Deduce che, in ogni caso, anche a voler ammettere l’efficacia della variante del 1983, a parere del ricorrente si trattava di area in zona C ‘espansione residenziale’ con destinazione specifica di edilizia scolastica quale opera di urbanizzazione secondaria di iniziativa pubblica a servizio della zona residenziale. Il ricorrente afferma (pag. 34 e ss.) che « L’area di cui è causa, contrassegnata in cartografia ‘Csi’, con gli usi compatibili e assentibili di cui all’art.37 NdA (come riportato a pag.7 e segg. della c.t.u. acquisita in appello) destinata all’edificazione dei servizi di quartiere di carattere scolastico, edificabile con tale tipologia anche ad iniziativa privata, faceva parte dei mappali 652 e 571, dei quali era stata circoscritta (quale ‘comparto’) ad una minor superficie complessiva di ‘…mq 5.699, stralciata dalla maggiore superficie complessiva di mq 14.819 dei mappali interi’. Nelle more della causa è intervenuta la approvazione del Piano Urbanistico Comunale -PUC-, che ne ha confermato la destinazione urbanistica di espansione residenziale in ‘IC -espansione’ ad edificabilità ‘mista’ (residenziale e servizi previo piano attuativo di coordinamento come accertato dal CTU), a dimostrazione che non trattavasi (quello scolastico) di vincolo conformativo impresso con la destinazione di ‘zona’, nell’accezione comunque offerta dal nuovo orientamento giurisprudenziale, secondo il quale il carattere conformativo si ha con riferimento alla
cd. ‘Zona’, da intendersi nel suo significato letterale e giuridico dato dalla L.U. n.1150/1942: nel caso in ispecie, quindi, si versa nella diversa ipotesi di destinazione specifica di un terreno circoscritto (comparto ‘Scc -Ssi’), complementare alla ‘zona di espansione residenziale’ » . A parere del ricorrente, pertanto, si trattava di una previsione di ‘infrastruttura secondaria’ preventivamente individuata quale ‘comparto di sottozona edificabile’, a servizio di ‘zona’ edificabile (in termini tali da dover concorrere agli standards di cessione nell’ipotesi di un piano attuativo), e il vincolo era di natura ‘ablatoria’ e non ‘conformativa’, con conseguente ‘errore in giudicando’ del Giudice d’appello. Infine rileva che i vizi denunciati inficianti la sentenza parziale non definitiva erano destinati a travolgere per illegittimità derivata la sentenza definitiva.
Il motivo è infondato e in parte inammissibile.
6.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte che il Collegio condivide (tra le altre Cass.22921/2022; Cass. 32422/2023), per la determinazione dell’indennità di esproprio (o del risarcimento del danno da occupazione appropriativa), la destinazione di aree a edilizia scolastica, nella cui nozione devono ricomprendersi tutte le opere e attrezzature che hanno la funzione di integrare il complesso scolastico (nella specie, ristorante mensa, zone di soggiorno e ricreative, auditorium, sale per mostre), nell’ambito della pianificazione urbanistica comunale, ne determina il carattere non edificabile, avendo l’effetto di configurare un tipico vincolo conformativo, come destinazione ad un servizio che trascende le necessità di zone circoscritte ed è concepibile solo nella complessiva sistemazione del territorio, nel quadro di una ripartizione in base a criteri generali ed astratti. Per altro verso, non può esserne ritenuta l’edificabilità, sotto il profilo di una realizzabilità della destinazione ad iniziativa privata o promiscua pubblico -privata, in quanto l’edilizia scolastica è
riferibile ad un servizio prettamente pubblicistico, correlato al perseguimento di un fine proprio ed istituzionale dello Stato, su cui non interferisce la parità assicurata all’insegnamento privato.
La Corte di merito si è attenuta ai suesposti principi ed ha correttamente qualificato come conformativo il vincolo sull’area ablata, né il ricorrente offre validi argomenti per giustificare un mutamento di indirizzo di questa Corte.
6.2. La censura è inammissibile nella parte in cui si pone in discussione la caratteristica concreta del vincolo, che è questione meritale.
La Corte d’appello, con motivazione congrua, ha ritenuto che il piano dei servizi del 1983, interpretato anche alla luce delle norme di attuazione, avesse determinato un vincolo conformativo apposto dal pianificatore urbanistico, nell’ambito di una variante generale al P.R.G., prevedendo che in determinate porzioni di territorio comunale potessero essere realizzate solo opere pubbliche, scolastiche, a verde, per la sosta delle autovetture o altro, così conformando il territorio e cristallizzandolo mediante vincoli di destinazione di inedificabilità, rispetto alla possibilità di interventi edificatori ad opera del privato.
In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto (Cass. S.U. 23535/2019).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, che liquida in € 3.200,00, di cui €200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima sezione