Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9536 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 9536 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/04/2025
SENTENZA
sul ricorso 14887-2020 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
COGNOME titolare della IMPRESA INDIVIDUALE RAGIONE_SOCIALE COGNOME, rappresentato e difeso dall ‘avv. COGNOME
-controricorrente –
nonchè contro
COGNOME NOME COGNOME
-intimati – avverso la sentenza n. 349/2020 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata in data 13/02/2020
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto dott. NOME COGNOME
uditi l’ avv. NOME COGNOME per la parte ricorrente, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso, e l’avv. NOME COGNOME per la parte controricorrente, il quale ha concluso per il rigetto ricorso
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato l’8.2.2000 COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, proprietari di alloggi siti all’interno di una palazzina di nuova costruzione, evocavano in giudizio COGNOME NOME, titolare dell’omonima impresa edile individuale, che aveva edificato lo stabile, innanzi il Tribunale di Trani, sezione distaccata di Molfetta, chiedendone la condanna ad asservire ad uso parcheggio un’area esterna al fabbricato, con accertamento del diritto di essi attori di utilizzarla come parcheggio, ed al risarcimento del danno derivato dalla temporanea indisponibilità dello spazio predetto. Gli attori deducevano, a sostegno della loro domanda, che lo Sgherza si era impegnato, in base al
progetto autorizzato dalle competenti autorità, ad asservire ad uso parcheggio l’area oggetto della domanda, sulla quale aveva effettivamente realizzato il parcheggio, rifiutandosi però di consegnarla agli aventi diritto e di consentirne l’utilizzazione.
Si costituiva il convenuto, resistendo alla domanda ed eccependo che l’area asservita a parcheggio, come da atto unilaterale d’obbligo del 28.2.1991, era ubicata al piano seminterrato dello stabile.
Con sentenza n. 29/2009 il Tribunale dichiarava il proprio difetto di giurisdizione sulla domanda di asservimento dell’area oggetto di causa, condannando invece l’impresa convenuta al risarcimento del danno, da liquidare in separato giudizio.
Con sentenza n. 1678/2013 la Corte di Appello di Bari riformava parzialmente la decisione di prime cure, dichiarando gli attori titolari del diritto di utilizzare l’area controversa ed ordinando allo Sgherza di consegnarne le chiavi di accesso.
Con ordinanza n. 3842/2018 la Corte di Cassazione cassava la decisione di secondo grado, rilevando che il vincolo di destinazione a parcheggio insiste sui soli spazi appositamente indicati dal titolo autorizzativo all’edificazione; il giudice di appello aveva dunque errato, dichiarando l’area oggetto di causa asservita a parcheggio, senza prima accertare l’esistenza di una sua effettiva destinazione a tale scopo.
Con la sentenza impugnata, n. 349/2020, la Corte di Appello di Bari, in veste di giudice del rinvio, accoglieva il gravame proposto dallo COGNOME avverso la decisione di prime cure, rigettando la domanda degli originari attori. Secondo la Corte del rinvio, dalla concessione rilasciata dal Comune di Molfetta risultava asservito a parcheggio il solo piano interrato dell’edificio, e non anche l’area oggetto di causa. La Corte distrettuale aggiungeva che giammai il giudice ordinario potrebbe estendere il vincolo ad aree diverse da quella effettivamente
asservita, anche nel caso di accertata insufficienza di quest’ultima; ipotesi, quest’ultima, che nel caso di specie non è stata ravvisata, posto che il giudice del rinvio ha affermato che lo spazio destinato a parcheggio corrisponde alla normativa di settore.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME Francesco e COGNOME NOMECOGNOME affidandosi a cinque motivi.
Resiste con controricorso COGNOME Francesco.
COGNOME Olimpia, COGNOME NOME e COGNOME NOME, intimati, non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
In prossimità dell’udienza pubblica, il P.G. ha depositato requisitoria scritta, insistendo per il rigetto del ricorso ed ambo le parti costituite hanno depositato memoria.
Sono comparsi all’udienza pubblica il P.G., nella persona del sostituto dott. NOME COGNOME il quale ha concluso per il rigetto del ricorso, l’avv. NOME COGNOME per la parte ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento, e l’avv. NOME COGNOME per la parte controricorrente, il quale ha insistito per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la nullità della sentenza e violazione dell’art. 115 c.p.c., nonché l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente percepito le risultanze della C.T.U. esperita nel corso del giudizio di merito. Ad avviso dei ricorrenti, la consulenza tecnica non avrebbe affatto affermato, come ritenuto dalla Corte del rinvio, che con la concessione in variante richiesta ed ottenuta dal costruttore in corso d’opera erano state modificate le aree asservite a parcheggio.
Con il secondo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione degli artt. 31 e 41 sexies della legge n. 1150 del 1942 e dell’art. 8 della legge n. 87 del 1985, in relazione all’art.360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuto che la concessione edilizia in variante ottenuta dallo Sgherza costituisse variante essenziale rispetto al progetto originario.
Con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono altresì della violazione dell’art. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto asservita a destinazione a parcheggio anche la rampa di accesso al piano interrato, sulla base della possibilità concessa, in tal senso, dalla circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 3210 del 1967, senza verificare se detta porzione fosse stata effettivamente inserita dal costruttore nell’area vincolata a parcheggio.
Le tre censure, suscettibili di esame congiunto perché a vario titolo attinenti alla statuizione con la quale la Corte di Appello ha ritenuto che l’area asservita a parcheggio fosse soltanto quella al piano interrato dello stabile, sono infondate.
Il giudice del rinvio, infatti, ha affermato che ‘Nella specie il CTU, rispondendo ai quesiti postigli aveva infatti precisato che ‘in ossequio alla concessione edilizia e relativa convenzione, l’area a piano interrato è effettivamente destinata e vincolata a parcheggio residenziale ed ha una superficie, al lordo dei pilastri di struttura, di mq. 173,78′ (pagg. 10-11 relazione citata); a tale superficie va sommata quella di mq. 42,43, quale quota attribuibile all’autorimessa residenziale dell’intera estensione (pari a mq. 70,33) della rampa comune di accesso. Sicché la superficie totale in concreto vincolata e adibita al parcheggio residenziale in questione è risultata estesa per complessivi mq. 216,21. A questa estensione deve essere aggiunta quella complessivamente
destinata a parcheggio commerciale, risultata pari a mq. 142,17 (di cui mq. 114,27 di parcheggio e mq. 27,90 di quota di pertinenza della estensione della rampa comune di accesso). La sommatoria di tali estensioni corrisponde ad una superficie totale asservita e concretamente destinata a parcheggio di mq. 355,29 a fronte di quella misura inferiore prescritta per legge pari a mq. 355,50 (art. 18 l. 765/1967 come modificato dalla l. 122/1990: 3355 mc. realizzati / 10 = mq. 355,50)’ (cfr . pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata).
Trattasi di accertamento in punto di fatto, non fondato sul travisamento, bensì sull’interpretazione delle risultanze dell’accertamento peritale, rispetto al quale il richiamo, operato dal giudice del rinvio, alla circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 3210 del 1968 rappresenta, al pari dei richiami alle disposizioni di cui alle leggi n. 765 del 1967 e 122 del 1990, la definizione della cornice normativa applicabile al caso di specie. La Corte del rinvio, infatti, ha affermato che ‘La ratio della norma va ricercata nell’esigenza di ridurre, nei centri abitati, l’ingombro delle vie pubbliche causato da sosta, parcheggio o manovre di veicoli in corrispondenza degli edifici (Cass. 17 dicembre 1984 n. 6600, in Riv, not., 1985, 173) e si applica a tutti gli edifici, sia in presenza che in assenza di strumenti urbanistici, che possono prevedere misure maggiori, ma non inferiori a quelle fissate dal legislatore (circolare ministeriale n. 3210/68)’ (cfr. ancora pag. 10 della sentenza impugnata). In altri termini, il richiamo alla disposizione della predetta circolare è stato operato soltanto per definire lo spazio minimo da destinare a parcheggio, previsto dal legislatore e non derogabile dalla disposizione locale.
La ricostruzione prescelta dal giudice del rinvio è coerente con l’insegnamento di questa Corte, richiamato anche in sentenza, secondo cui le norme che prevedono l’obbligo, per le nuove costruzioni, di
individuare delle aree di pertinenza da destinare a parcheggio, ‘… in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione, configura norma imperativa ed inderogabile, in correlazione degli interessi pubblicistici da essa perseguiti, che opera non soltanto nel rapporto fra il costruttore o proprietario di edificio e l’autorità competente in materia urbanistica, ma anche nei rapporti privatistici inerenti a detti spazi, nel senso di imporre la loro destinazione ad uso diretto delle persone che stabilmente occupano le costruzioni o ad esse abitualmente accedono’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6600 del 17/12/1984, Rv. 438145; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6104 del 01/06/1993, Rv. 482611; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12495 del 17/12/1993, Rv. 484766; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13857 del 09/11/2001, Rv. 550115; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6329 del 18/04/2003, Rv. 562340). Ai fini dell’adempimento della disposizione in esame non è sufficiente adibire l’area vincolata a parcheggio ad autorimessa a pagamento, ancorché mettendola anche a disposizione dei proprietari delle unità abitative, poiché in tal modo viene meno la relazione necessaria e permanente tra la cosa principale e quella accessoria e la possibilità di utilizzazione dell’autorimessa da parte dei detti proprietari viene a dipendere da fattori soggettivi e variabili, mentre la finalità della norma si realizza soltanto con il vincolo reale di destinazione (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3717 del 19/04/ 1994, Rv. 486276). Tuttavia, ‘… i parcheggi realizzati in eccedenza rispetto allo spazio minimo richiesto dall’art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765 non sono soggetti a vincolo pertinenziale a favore delle unità immobiliari del fabbricato. Ne consegue che l’originario proprietariocostruttore del fabbricato può legittimamente riservarsi, o cedere a terzi, la proprietà di tali parcheggi, nel rispetto del vincolo di destinazione nascente da atto d’obbligo’ (Cass. Sez. U, Sentenza n.
12793 del 15/06/2005, Rv. 581954; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11402 del 16/05/2006, Rv. 589939; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1664 del 03/02/ 2012, Rv. 621449; nonché, da ultimo, Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21859 del 09/10/2020, Rv. 659332).
Il dato quantitativo previsto dalla norma imperativa, dunque, costituisce -come esattamente rilevato dal giudice del rinvio- un riferimento minimo, che da un lato non impedisce al costruttore di destinare spazi ulteriori a parcheggio vincolato a servizio dei proprietari delle unità comprese nell’edificio, i quali tuttavia, dall’altro lato, ben possono essere fatti oggetto di riserva o di atti dispositivi da parte del costruttore.
Alla ricostruzione prescelta dal giudice del rinvio, come detto fondata sulla corretta interpretazione delle disposizioni applicabili e conforme ai principi affermati da questa Corte, la parte ricorrente contrappone una lettura alternativa del compendio istruttorio, ed in particolare della C.T.U., senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, ivi incluse le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, dovendosi ribadire il principio per cui la valutazione della prova e ‘… la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento
o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
La Corte di Appello, inoltre, ha evidenziato che, sulla base degli allegati alle concessioni rilasciate dal Comune di Molfetta (C.E. n. 2139/1991 e C.E. in variante n. 2500/1992) ‘… lo spazio effettivamente vincolato a parcheggio era solo quello asservito a tali fini e costituito dall’intero piano interrato (destinato in parte ad autorimessa residenziale per netti mq, 172,07 e in altra parte ad autorimessa commerciale, per netti mq. 112,89) pari a complessivi mq. 284,96’ (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata). Ed infine, ha precisato che nell’atto d’obbligo per l’asservimento delle aree vincolate a parcheggio a rogito notar Colella del 22.2.1991 l’area esterna di mq. 130 oggetto di causa ‘… non compariva fra quelle asservite, destinandosi a parcheggio solo il piano interrato’ (cfr . pag. 12 della sentenza). Alla luce di tali considerazioni, il giudice del rinvio ha ritenuto erronea la decisione assunta a suo tempo dal Tribunale, con la quale era stata disposta l’instaurazione del vincolo di destinazione sulle aree comunque disponibili, e dunque anche sull’area esterna di cui si discute, a prescindere dal contenuto degli atti di concessione e del correlato atto d’obbligo, dianzi richiamati, valorizzati invece, giustamente, dalla Corte distrettuale.
Quest’ultima ha anche aggiunto che, nel caso in cui gli spazi vincolati a parcheggio non fossero sufficienti, il giudice ordinario non potrebbe comunque imporre il vincolo su aree aggiuntive, poiché lo strumento della disapplicazione del provvedimento amministrativo, che rappresenta la sola forma di intervento consentita al predetto giudice ordinario, non può mai implicare una modificazione del ‘facere’ al quale il costruttore si è volontariamente obbligato con la firma dell’atto d’obbligo accessorio alla concessione edilizia. Anche questa statuizione è conforme all’insegnamento di questa Corte. La convenzione accessoria alla licenza edilizia, che viene stipulata tra costruttore ed ente locale, infatti, ‘… non costituisce un contratto di diritto privato, né ha specifica autonomia e natura di fonte negoziale del regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, configurandosi come atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento finale, dal quale promanano poteri autoritativi della pubblica amministrazione. Ne consegue che, non potendosi qualificare l’atto d’obbligo come contratto a favore di terzi, ai sensi dell’art. 1411 c.c., i privati acquirenti dell’immobile edificato non hanno alcuna possibilità di rivendicare diritti sulla base di esso, né, quindi, di agire per il suo adempimento, salva l’ipotesi che detto obbligo sia stato trasfuso in una disciplina negoziale al momento del trasferimento delle singole unità immobiliari’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2742 del 23/02/2012, Rv. 621681; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3058 del 10/02/2020, Rv. 657097; cfr. anche, in termini, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9314 del 17/04/2013, Rv. 626114).
Dalle considerazioni che precedono discende l’infondatezza delle prime tre censure proposte dagli odierni ricorrenti.
Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza per violazione egli artt. 111 Cost. e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360,
primo comma, n. 4, c.p.c., perché il giudice del rinvio non avrebbe fornito alcuna motivazione, o al più avrebbe fornito una motivazione meramente apparente, a sostegno della sua decisione di riformare la decisione del Tribunale anche in relazione alla condanna generica del costruttore al risarcimento del danno derivante dalla parziale indisponibilità delle aree vincolate a parcheggio.
Ed infine, con il quinto ed ultimo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione o falsa applicazione degli artt. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942, 871, 872, 1218, 1223 c.c. e 278 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe dovuto configurare la responsabilità del costruttore per l’inadempimento dell’obbligazione, dallo stesso assunta, di destinare a parcheggio aree sufficienti, e confermare la condanna generica del medesimo al risarcimento del danno derivante dall’insufficienza degli spazi in concreto adibiti a parcheggio.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono infondate.
Come già evidenziato in occasione dello scrutinio dei primi tre motivi di ricorso, la Corte di Appello ha ritenuto che gli spazi in concreto vincolati a parcheggio dallo Sgherza, tutti collocati al piano interrato dello stabile, fossero sufficienti ad assicurare il minimo previsto dalla legge. In tal modo, il giudice di merito ha evidentemente escluso la configurabilità di un comportamento inadempiente, in capo al costruttore, rispetto alle obbligazioni che lo stesso aveva assunto con l’atto d’obbligo accessorio alle concessioni edilizie, originaria ed in variante, in forza delle quali l’edificio di cui è causa era stato realizzato. La riforma integrale della decisione di prime cure, anche in punto di condanna del costruttore al risarcimento del danno, si giustifica alla luce della ravvisata inesistenza del comportamento causativo del danno, rappresentato appunto, secondo la tesi degli odierni ricorrenti,
proprio dal mancato rispetto della previsione legale e dell’inadempimento dell’atto d’obbligo che la Corte distrettuale ha ravvisato insussistente.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 5.200, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda