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Videosorveglianza privata: quando è lecita?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7289/2024, ha stabilito che l’installazione di un impianto di videosorveglianza privata che riprende un’area soggetta a servitù di passaggio non richiede il consenso preventivo del titolare della servitù. La liceità del trattamento dei dati dipende dal bilanciamento tra il legittimo interesse alla sicurezza del proprietario e il diritto alla privacy altrui, valutando la necessità e la proporzionalità dell’installazione. La Corte ha cassato la decisione d’appello che si era basata unicamente sulla mancanza di consenso.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Videosorveglianza Privata e Privacy: Quando il Consenso Non È Necessario?

L’installazione di un sistema di videosorveglianza privata è una pratica sempre più diffusa per proteggere la propria abitazione. Tuttavia, sorge spesso un conflitto tra il diritto alla sicurezza e il diritto alla privacy dei vicini o di chiunque transiti nelle aree riprese. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, stabilendo che il consenso non è sempre il requisito fondamentale per la liceità dell’impianto. Vediamo nel dettaglio cosa ha deciso la Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla decisione di un proprietario di installare un sistema di videosorveglianza sulla facciata della propria abitazione. Le telecamere riprendevano un tratto di strada privata di sua proprietà, sulla quale però i vicini godevano di un diritto di servitù di passaggio. Questi ultimi, ritenendo lesa la propria privacy, avevano citato in giudizio il proprietario, chiedendo la rimozione dell’impianto e un risarcimento per i danni subiti.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva dato ragione ai vicini. I giudici di secondo grado avevano ritenuto l’installazione illecita in quanto avvenuta senza il preventivo consenso degli interessati (i titolari della servitù), violando così la disciplina sulla tutela dei dati personali.

La Decisione della Corte di Cassazione e la videosorveglianza privata

La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione della Corte d’Appello, accogliendo il ricorso del proprietario dell’immobile. Il punto centrale della pronuncia è che, in contesti di videosorveglianza privata per fini di sicurezza, il consenso dell’interessato non è l’unica condizione che rende lecito il trattamento dei dati.

Secondo la Suprema Corte, la Corte d’Appello ha errato nel fondare la propria decisione esclusivamente sulla mancanza di consenso. La normativa sulla privacy (nella specie, il D.Lgs. 196/2003, applicabile ai fatti antecedenti al GDPR) prevede infatti un’alternativa: il bilanciamento degli interessi. Il trattamento dei dati può essere lecito anche quando è necessario per il perseguimento di un legittimo interesse del titolare, come la protezione della proprietà e della sicurezza personale.

Le Motivazioni

La Cassazione ha chiarito che il trattamento di dati personali effettuato da un privato per fini diversi da quelli esclusivamente personali (come la sicurezza della proprietà) è lecito non solo con il consenso, ma anche se ricorre uno dei presupposti alternativi previsti dall’art. 24 del Codice Privacy. Tra questi, spicca il legittimo interesse del titolare, che deve essere bilanciato con i diritti e le libertà fondamentali delle persone riprese.

Invece di fermarsi alla mancanza di consenso, il giudice di merito avrebbe dovuto compiere una valutazione più approfondita, verificando se:

1. Sussisteva un legittimo interesse: L’installazione era giustificata da concrete esigenze di sicurezza per prevenire aggressioni, furti o atti di vandalismo?
2. Era rispettato il principio di proporzionalità: L’angolo di ripresa era limitato all’area strettamente necessaria da proteggere? Si era evitato, per quanto possibile, di riprendere luoghi circostanti non pertinenti (ad esempio, l’interno delle abitazioni vicine, aree pubbliche non indispensabili alla sicurezza)?
3. Era rispettato il principio di necessità: Il sistema era configurato in modo da ridurre al minimo l’uso di dati personali?

La Corte ha inoltre specificato che il richiamo alla normativa sul condominio (art. 1122 ter c.c.) fatto dalla Corte d’Appello era inappropriato, poiché il caso in esame non riguardava un condominio, ma un rapporto di servitù tra proprietà distinte.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un principio guida fondamentale per chiunque intenda installare un sistema di videosorveglianza privata. La liceità dell’impianto non dipende dal “sì” o dal “no” dei vicini, ma da una valutazione oggettiva di necessità e proporzionalità. Per essere in regola, il proprietario deve poter dimostrare un’effettiva esigenza di sicurezza e deve aver adottato tutte le cautele per minimizzare l’impatto sulla privacy altrui. L’angolo visuale delle telecamere deve essere limitato all’area di stretta pertinenza che si intende proteggere (es. il proprio ingresso, il perimetro della proprietà), evitando riprese inutilmente invasive di aree comuni o di passaggio. La mancanza di consenso, di per sé, non rende automaticamente illegale la videosorveglianza se questa rispetta il corretto bilanciamento tra il diritto alla sicurezza e quello alla riservatezza.

È sempre necessario il consenso dei vicini per installare una telecamera di videosorveglianza privata?
No. Secondo la Cassazione, se l’installazione è motivata da un legittimo interesse alla sicurezza, il consenso non è necessario. La liceità dipende dal bilanciamento tra l’interesse alla sicurezza e il diritto alla privacy, e dal rispetto dei principi di necessità e proporzionalità.

Quando si può installare una telecamera che riprende aree soggette a servitù di passaggio?
È possibile farlo se sussistono concrete esigenze di sicurezza che giustificano l’installazione (es. prevenzione di furti, vandalismi). Tuttavia, è indispensabile che la telecamera sia installata in modo proporzionato, limitando l’angolo di ripresa all’area strettamente necessaria per la protezione della proprietà ed evitando, per quanto possibile, riprese invasive dei luoghi circostanti.

Il trattamento di immagini tramite videosorveglianza rientra nella disciplina della privacy?
Sì. La raccolta, la registrazione e l’utilizzo di immagini di persone identificabili costituiscono un “trattamento di dati personali” e, pertanto, devono rispettare le regole previste dalla normativa in materia di protezione dei dati personali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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