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Verità putativa: dovere di verifica del giornalista

Un’emittente televisiva e il suo direttore vengono citati per diffamazione da un uomo politico a causa di un servizio che riportava l’acquisto di un immobile a condizioni di favore da un ente pubblico. La notizia si basava su una visura catastale non aggiornata. La Corte di Cassazione interviene sul concetto di verità putativa, rigettando la tesi che la sola consultazione dei dati catastali soddisfi il dovere di verifica del giornalista. La Corte sottolinea la necessità di un controllo più approfondito, come l’esame dei registri immobiliari. La sentenza viene cassata con rinvio per un motivo diverso: l’omesso esame di un documento che potrebbe escludere la responsabilità del direttore del canale.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Verità Putativa e Dovere di Verifica del Giornalista: L’Analisi della Cassazione

Il confine tra diritto di cronaca e diffamazione è spesso sottile e si basa sul delicato equilibrio tra l’interesse pubblico all’informazione e la tutela della reputazione individuale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema centrale in questo dibattito: la verità putativa. La Corte chiarisce fino a che punto un giornalista possa fare affidamento su determinate fonti senza incorrere in responsabilità, ribadendo l’importanza di un diligente e serio lavoro di verifica.

Il Caso: Un Servizio Televisivo e l’Accusa di Diffamazione

La vicenda trae origine da un servizio televisivo, trasmesso in prima serata su un canale nazionale, che accusava un noto uomo politico di aver acquistato un immobile da una società pubblica a un prezzo di favore, insinuando l’esistenza di un privilegio ingiustificato.

La Notizia Diffusa e la Reazione del Politico

Il servizio si basava su informazioni ricavate da una visura catastale. Tuttavia, la notizia si rivelò falsa: l’immobile era stato acquistato dalla coniuge del politico da un soggetto privato, e non da un ente pubblico. Di conseguenza, il politico citava in giudizio l’emittente televisiva e il direttore del canale per il risarcimento dei danni derivanti dalla lesione della sua immagine e reputazione.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, accoglieva la domanda del politico. I giudici ritenevano che i giornalisti avessero agito con negligenza, basandosi superficialmente sui dati catastali – notoriamente non sempre aggiornati – senza compiere un passo ulteriore e doveroso: la verifica presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari, dove l’atto pubblico di acquisto era facilmente consultabile. Tale omissione, secondo la Corte, escludeva la possibilità di invocare la scriminante della verità putativa.

L’Analisi della Corte di Cassazione e la Verità Putativa

L’emittente e il direttore ricorrevano in Cassazione, sollevando tre motivi di impugnazione. L’analisi della Suprema Corte offre spunti fondamentali sul bilanciamento degli interessi in gioco.

Il Primo Motivo: L’Inaffidabilità delle Visure Catastali

I ricorrenti sostenevano che la Corte d’Appello avesse errato nel non riconoscere la verità putativa, affermando che i dati catastali, pur non perfetti, generano una presunzione di veridicità tale da giustificare un incolpevole affidamento. La Cassazione ha respinto con forza questa tesi. Ha ribadito che il giornalista ha un obbligo di “serio e diligente lavoro di ricerca” e di “accurata verifica” delle fonti. Limitarsi alla consultazione dei dati catastali, senza estendere l’indagine ai registri immobiliari (fonte di gran lunga più attendibile), integra una violazione di tale obbligo di diligenza professionale.

Il Secondo Motivo Accolto: L’Omesso Esame di un Fatto Decisivo

Il secondo motivo di ricorso, invece, è stato accolto. I ricorrenti lamentavano che la Corte d’Appello avesse completamente ignorato un documento prodotto in giudizio: una procura che, a loro dire, esonerava il direttore del canale da ogni responsabilità sul controllo dei contenuti delle trasmissioni riconducibili a una specifica testata giornalistica interna, autrice del servizio incriminato. La Cassazione ha ritenuto questo un vizio grave (omesso esame di un fatto decisivo), poiché la valutazione di tale documento era fondamentale per stabilire la concreta responsabilità del direttore. Per questo motivo, la sentenza è stata annullata con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello.

Il Terzo Motivo: La Prova del Danno da Diffamazione

Infine, i ricorrenti contestavano la liquidazione del danno, sostenendo che il politico non avesse fornito alcuna prova concreta del pregiudizio subito. Anche questo motivo è stato respinto. La Corte ha spiegato che, sebbene il danno da diffamazione non sia in re ipsa (cioè automatico), la sua esistenza può essere provata anche tramite presunzioni. Nel caso di specie, elementi come la diffusione della notizia su una rete nazionale in prima serata, l’argomento del servizio (abuso di funzioni pubbliche) e la posizione sociale della vittima costituivano un quadro indiziario sufficiente a dimostrare una significativa compromissione dell’immagine e della reputazione.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione, nel motivare la sua decisione, ha tracciato una linea netta tra l’errore scusabile e la negligenza professionale. Per poter beneficiare della scriminante della verità putativa, non basta la mera verosimiglianza della notizia, ma è necessaria la dimostrazione dell’involontarietà dell’errore. Questo si ottiene solo provando di aver controllato le fonti con ogni cura possibile, in rapporto alla gravità della notizia e all’urgenza di informare. Basarsi su una fonte notoriamente inaffidabile come il catasto, quando una fonte certa (i registri immobiliari) è facilmente accessibile, non costituisce un comportamento diligente. Al contempo, la Corte ha riconosciuto un errore procedurale della Corte d’Appello nell’aver omesso di valutare un documento potenzialmente decisivo per l’attribuzione di responsabilità a uno dei convenuti, imponendo un nuovo esame sul punto. Infine, ha confermato il principio secondo cui il danno alla reputazione, pur non essendo automatico, può essere logicamente desunto da una serie di elementi fattuali che ne attestano la concretezza.

Le Conclusioni: Implicazioni per il Giornalismo d’Inchiesta

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per il mondo dell’informazione. La verità putativa non è una scorciatoia, ma una scriminante che presuppone il massimo sforzo di verifica. La decisione ribadisce che il diritto di cronaca, per essere legittimamente esercitato, deve fondarsi su un lavoro di ricerca scrupoloso e approfondito, che non può arrestarsi alla prima fonte disponibile, specialmente se di dubbia attendibilità. Per i professionisti del settore, ciò significa che l’accuratezza e la verifica incrociata delle fonti non sono solo doveri deontologici, ma anche presidi indispensabili per evitare pesanti conseguenze legali.

Un giornalista può basarsi solo sulla visura catastale per pubblicare una notizia su una compravendita immobiliare?
No. Secondo la Corte di Cassazione, fare affidamento esclusivamente sui dati catastali, noti per non essere sempre aggiornati, non soddisfa il requisito del serio e diligente lavoro di ricerca. Il giornalista ha l’obbligo di verificare le informazioni consultando fonti più attendibili, come i registri immobiliari, per poter invocare la scriminante della verità putativa.

La responsabilità del direttore di un canale televisivo è automatica per i contenuti diffamatori trasmessi?
No, la sua responsabilità non è automatica e deve essere accertata caso per caso. Nel provvedimento esaminato, la Corte ha cassato la sentenza proprio perché i giudici di merito non avevano esaminato un documento (una procura) che avrebbe potuto escludere la responsabilità diretta del direttore sul controllo di quella specifica trasmissione giornalistica.

Il danno da diffamazione deve essere provato con prove dirette o può essere dimostrato tramite presunzioni?
Il danno non è automatico (non è in re ipsa), ma non richiede necessariamente prove dirette. Può essere validamente dimostrato attraverso presunzioni. Elementi come l’ampia diffusione della notizia, la sua gravità e la posizione sociale della persona diffamata possono essere considerati sufficienti a provare l’effettiva esistenza di un danno alla reputazione e all’immagine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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