Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9561 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9561 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29472/2022 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la RAGIONE_SOCIALE della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO GENOVA n. 451/2022 depositata il 02/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
La Associazione Sportiva RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE con ricorso notificato l’1.12.2022, illustrato da successiva memoria, impugna per cassazione la sentenza della Corte di Appello di Genova, n. 451/2022 del 14.4-2.5.2022 non notificata, pronunciata relativamente al giudizio promosso da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
Quest’ultima resiste con controricorso.
Ha depositato altresì atto denominato ‘Memoria ex art. 380 -bis 1 c.p.c.’ che non può considerarsi tale, in difetto dei requisiti di legge.
La domanda di ASD è stata avviata con richiesta di emissione di un decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento di Euro 105.000 (oltre interessi) in forza di convenzione conclusa tra le parti. Il Tribunale di Genova, in seguito all’istanza di verificazione, dopo avere concesso i termini per le memorie istruttorie, all’udienza ex art. 184 cod.proc. civ. ha disposto CTU grafologica, in seguito alla quale ha dichiarato che la convenzione in base alla quale ASD ha agito in causa non è riconducibile al Genoa CFC perché non fu firmata dall’Amministratore Delegato del tempo, essendo stata accertata come apocrifa dal CTU. Conseguentemente ha respinto le domande di ASD. In sede di gravame la Corte d’Appello di Genova ha integralmente confermato la sentenza di primo grado, respingendo altresì le eccezioni di nullità processuale
sollevate dall’ ente appellante in merito al procedimento di verificazione della scrittura attivato dal giudice di primo grado dopo l’acquisizione delle memorie istruttorie ex artt. 183 -184 cod.proc. civ.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è affidato a due motivi.
Col primo motivo ASD censura la sentenza impugnata per non aver accolto l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado rilevata nel secondo motivo d’appello, sull’assunto che il procedimento di verificazione della firma dell’amministratore apposta in calce alla Convenzione si sarebbe svolto dopo il deposito delle memorie istruttorie ex art. 183 c. 6 cod.proc. civ. e non prima, con ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 214, 216, 217, 218, 219 e 220 cod.proc. civ., nonché delle norme inerenti alle preclusioni istruttorie in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3. cod.proc. civ.’. Il ricorrente assume che, a fronte di un documento consegnato alla società ricorrente dal Genoa RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo Direttore Generale, vergato su carta intestata del Genoa RAGIONE_SOCIALE, recante in ogni pagina i timbri sociali del Genoa RAGIONE_SOCIALE, tutte circostanze pacifiche e mai validamente confutate dalla controparte il giudice avrebbe omesso di avviare il subprocedimento per la verificazione, omettendo di consentire alla parte ricorrente di acquisire il materiale documentale idoneo per procedere alla fase di verifica dell’autenticità della sottoscrizione e del documento proveniente dalla società calcistica: acquisizione che non sarebbe stata possibile né prevedibile nella fase precedente, posto che la controparte non aveva formalmente disconosciuto la genuinità del timbro e della carta intestata della società sportiva, limitandosi a disconoscere formalmente la sola sottoscrizione del documento e non gli altri suoi elementi identificativi. Parte resistente deduce che ASD con il proprio appello non solo non ha contestato che il Dott.
COGNOME abbia mai sottoscritto la Convenzione (il che già basterebbe a respingerne ogni pretesa), ma neanche si è preoccupata di confutare gli ulteriori argomenti posti dal Tribunale di Genova a sostegno della decisione di rigettarne le pretese.
Il motivo è infondato.
Parte ricorrente deduce che la Corte d’appello avrebbe dovuto rilevare che il giudice di primo grado ha mancato di dar corso agli incombenti previsti nell’art. 217 cod.proc. civ., una volta constatata la rilevanza della scrittura disconosciuta di cui è stata chiesta la verificazione, avendo invece aperto la fase istruttoria ordinaria con concessione dei termini per il deposito delle memorie di cui all’art. 183 c. 6 cod.proc. civ.
Sul punto, la Corte di merito ha ritenuto che il Tribunale di Genova, dopo la presentazione della istanza di verificazione entro il termine in cui è possibile la produzione del documento (citando Cass. 17902/2018 e Cass. 2411/2005), abbia correttamente assegnato gli ordinari termini per il deposito delle memorie istruttorie e, successivamente a tale deposito, abbia esperito il giudizio di verificazione, disponendo una CTU grafologica, in tal modo lasciandosi la possibilità di decidere la questione sull’autenticità del documento mediante le prove assunte durante l’istruttoria.
Sul piano generale si osserva che la richiesta di verificazione in via incidentale, non richiede particolari forme (e, quindi, modalità sacramentali: cfr. Cass. 6 aprile 1995, n. 4036; Cass. 23 ottobre 2001, n. 12976), e può essere compiuta, entro i termini propri di ogni altra istanza istruttoria (v. Cass. 7 febbraio 2005, n. 2411; Cass. 5 ottobre 2006, n. 19067, e Cass. 11 novembre 2008, n. 26943, anche con riferimento alla sua ammissibilità per la prima volta in appello qualora il disconoscimento sia ritualmente intervenuto in primo grado), e,
comunque, se ed in quanto siano potuti avvenire la produzione e il disconoscimento. (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16915 del 02/08/2011).
Sotto il profilo processuale, la Corte di merito ha rilevato che il giudice di primo grado ha correttamente avviato il procedimento di verificazione, la cui istanza era stata tempestivamente inoltrata, con acquisizione di una CTU grafologica con la quale si è potuto appurare, unitamente ad altri elementi di prova, che la sottoscrizione del legale rappresentante della società calcistica resistente era apocrifa, in ciò uniformandosi alla giurisprudenza che ritiene che, una volta formulata in corso di causa l’istanza di verificazione, non è dato al giudice di merito, il quale ritenga il documento rilevante per la decisione della controversia, il potere discrezionale di non avviare il subprocedimento previsto nell’art. 217 cod.proc. civ., per esserne l’esito, in un senso o nell’altro, desumibile aliunde in base ad altre prove (cfr. Cass. Sez. 2, sentenza 10147 del 9/05/2011).
In merito, la giurisprudenza ha altresì chiarito che, allorquando sia proposta istanza di verificazione della scrittura privata perché ritenuta rilevante ai fini del decidere, il giudice non è tenuto a disporre necessariamente una consulenza tecnica grafologica per accertare l’autenticità della scrittura qualora possa desumere la veridicità del documento attraverso la comparazione di esso con altre scritture incontestabilmente provenienti dalla medesima parte e ritualmente acquisite al processo, mentre resta escluso che la questione in esame possa essere risolta attraverso il ricorso ad elementi estranei al procedimento di verificazione, quali ad esempio la condotta delle parti (Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 25508 del 21/09/2021; Cass. Sez. 2 – , Ordinanza n. 887 del 16/01/2018; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12695 del 19/05/2008).
Va al proposito rammentato che, da un lato, la vexata quaestio della natura del procedimento di verificazione proposto in via incidentale (se si tratti di un giudizio di accertamento oppure di un mero incidente istruttorio volto a rendere il documento utilizzabile come prova; ovvero abbia natura intermedia), è stata da tempo risolta ribadendo la tesi secondo cui detto giudizio di verificazione in via incidentale non costituisce esercizio di un autonomo potere d’azione, ma si inquadra nell’ambito dell’attività istruttoria delle parti e più precisamente del potere processuale di produrre documenti, rispetto al quale ha carattere e finalità strumentali. Si confronti, tra le altre Cass. n. 4036 del 06/04/1995 e Cass. n. 5599 del 15/09/1986).
Dall’altro, proprio perché il procedimento de quo è parte di un’attività istruttoria affidata al giudice, ciò cui è tenuto il giudice, ancorché abbia disposto una consulenza sull’autografia di una sottoscrizione disconosciuta ex art. 217 cod.proc. civ., è formare il proprio convincimento sulla base di ogni altro elemento di prova obiettivamente conferente e ritualmente acquisito, comprese le risultanze della prova testimoniale se tempestivamente dedotta, senza essere vincolato da alcuna graduatoria fra le varie fonti di accertamento della verità (si vedano, in particolare, Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 25508 del 21/09/2021;Cass., Sez. 3, Sentenza n. 9523 del 20/4/2007; Sez. 2, Sentenza n. 3009 dell’1/3/2002). Ragionando in termini diversi, infatti, entrambe le parti sarebbero pregiudizialmente espropriate del potere processuale di dedurre e provare in merito all’oggetto della verificazione che, costituendo una procedura di controllo necessitata per dimostrare la provenienza estrinseca del documento, attiene all’attività di selezione, nel rispetto del giusto contraddittorio, delle tecniche di indagine per verificare la provenienza della scrittura (così Cass. Sez. 3 – ,
Sentenza n. 25508 del 21/09/2021, in motivazione; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10147 del 09/05/2011).
In breve, ciò che il giudice di primo grado non avrebbe potuto fare, alla luce della giurisprudenza sopra richiamata, è omettere l’ apertura della fase istruttoria una volta acquisita e ritenuta rilevante l’istanza di verificazione della scrittura privata disconosciuta, non richiedendo necessariamente la fase di cui all’art. 217 cod.proc. civ. l’apertura di un sub -procedimento istruttorio distinto dalla ordinaria fase istruttoria, come erroneamente indicato nella censura, posto che il principio del libero convincimento del giudice di cui all’art. 116 cod.proc. civ. non impone alcuna graduatoria fra le varie fonti di accertamento. Del tutto corretta, pertanto, è la decisione della Corte di appello di respingere l’eccezione di nullità processuale dedotta ritenendo del tutto rituale il procedimento istruttorio avviato dal giudice di primo grado dopo l’accoglimento dell’ istanza di verificazione della scrittura disconosciuta, sfociato nell’ acquisizione di una CTU grafologica ex art. 217 cod.proc. civ. con cui, unitamente alle risultanze delle altre prove tempestivamente dedotte dalle parti, il giudice è pervenuto al riconoscimento della non autenticità della sottoscrizione del legale rappresentante della società calcistica, adottando le conseguenti statuizioni nel merito, che non possono costituire oggetto di doglianza in questa sede di legittimità.
Col secondo motivo la ricorrente denunzia la ‘ violazione e/o falsa applicazione delle norme afferenti al principio del legittimo affidamento delle parti nella corretta conclusione del contratto di cui agli art. 1337, 1338 e seguenti cod.civ. e l’ omessa valutazione di fatti decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 e 5 cod.proc. civ. – erronea applicazione derivante da un percorso argomentativo della Corte di Appello viziato sul piano logico e giuridico (in punto di esame della carta intestata,
timbri e sito internet) che ricondurrebbero la Convenzione al Genoa CFC. Censura altresì l ‘impugnata sentenza nella parte in cui risulta ivi indicato che ‘il Genoa CFC non ha mai iniziato ad adempiere le obbligazioni pecuniarie relative alla Convenzione ‘.
L’inammissibilità della censura è del tutto evidente là dove essa tende a offrire una differente valutazione dei fatti già compiutamente scrutinati dal giudice del merito, posto che viene messa in questione l’interpretazione o l’applicazione dei paradigmi normativamente indicati in tema di conclusione del contratto e di parziale esecuzione del medesimo da parte della resistente contestando l’esito della loro valutazione (così, Sez. U – , Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Cass., Sez. 6-3, ordinanza n. 26769 del 23/20/2018; Sez. 3, sentenza n. 20382 dell’11/10/2016; Cass. Sez. 3, sentenza n. 11892 del 10/6/2016).
Quanto ai vizi di motivazione ivi rappresentati, va rilevato che le questioni poste riguardano valutazioni di fatti e circostanze considerate in maniera conforme dal giudice di primo grado, richiamate dal giudice di secondo grado ai fini dell’applicazione delle norme. Nell’ipotesi di “doppia conforme” ex art. 348 ter, comma 5, cod.proc. civ., è onere del ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e del rigetto dell’appello, dimostrando che sono tra loro diverse. Così rettamente qualificato il motivo di ricorso, esso si palesa allora inammissibile, avuto riguardo alla regola di cui all’art. 348 -ter, ultimo comma, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, la quale esclude la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 dell’art. 360 dello stesso codice, nell’ipotesi in cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (c.d. ‘doppia conforme’); in proposito, questa Corte ha da tempo chiarito che la predetta esclusione si applica, ai sensi dell’art. 54, comma 2,
del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella c.d. ‘doppia conforme’ in facto , sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere nella specie non assolto -di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994; da ultimo, Cass. 28/02/2023, n. 5947).
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della società controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 24/1/2025